Forte di una lunga esperienza nella produzione di batterie e di innovazione tecnologica e ingegneristica, la casa cinese è diventata rapidamente leader nel mercato nazionale dei veicoli elettrici. Ad oggi vanta un portafoglio di brand full electric e ibridi plug-in a diverse fasce di prezzo e oltre 30 parchi industriali nel mondo
Durante un’intervista a Bloomberg del 2011, un Elon Musk neanche quarantenne ride alle osservazioni della giornalista sulla presenza di un nuovo attore nel mercato delle auto elettriche, la cinese BYD. “Ma hai visto le loro auto?”, risponde il fondatore di Tesla, aggiungendo che in primo luogo la società dovrebbe fare attenzione a “non morire in Cina”.
BYD non è solo sopravvissuta. In poco più di un decennio è diventata il simbolo della rapida crescita del settore cinese dei veicoli elettrici, capace di battagliare sull’arena internazionale a suon di innovazioni tecnologiche e prezzi stracciati. A maggio 2023, commentando l’estratto dell’intervista a Bloomberg ricomparso su X (all’epoca ancora Twitter), Musk puntualizza che le sue dichiarazioni sono di molto tempo fa e che oggi “le loro auto sono altamente competitive”.
Di recente la società cinese ha guadagnato ancora più notorietà proprio per essere riuscita a sorpassare Tesla: nel quarto trimestre del 2023 ha venduto 525 mila veicoli (di cui quasi la totalità in Cina), a fronte dei 484 mila del colosso di Austin. In tutto il 2023 BYD ha immatricolato 1,6 milioni di veicoli elettrici (meno degli 1,8 milioni di Tesla), a cui si aggiungono 1,4 milioni di ibridi plug-in. Nello stesso anno la società ha registrato un boom di utili per un valore totale di 30 miliardi di yuan (poco meno di 4 miliardi di euro).
Chi si aspettava che dietro a un successo così decisivo si nascondesse un imprenditore eccentrico e dalla personalità esuberante è rimasto deluso. Nel 2022, durante un’intervista esclusiva a Forbes, il fondatore Wang Chuanfu si rivolge alla classe imprenditoriale pronunciando parole emblematiche: “Fate di più e parlate di meno”. Non interviene neanche all’evento di presentazione di BYD al Japan Mobility Show dello scorso ottobre, fiera tradizionalmente dominata dai brand locali: poco prima dell’inizio della conferenza stampa Wang esce dal backstage senza essere annunciato e siede tra il pubblico, in quasi totale anonimato.
Ma le dichiarazioni che rilascia a Forbes sono sufficienti per comprendere una strategia che si basa sulla “padronanza delle tecnologie fondamentali dell’intera catena industriale dei veicoli a nuova energia” (NEV). In sostanza, BYD produce in loco batterie, motori e controlli elettronici, ma anche i chip per le auto, la cui produzione è appannaggio della divisione BYD Semiconductor. L’integrazione verticale ha permesso all’azienda di superare senza tanti intoppi la crisi pandemica. Nel 2022, l’anno del tragico lockdown di Shanghai e delle proteste operaie alla Foxconn, il colosso annuncia di volersi dedicare completamente all’elettrico, interrompendo la produzione e la vendita di veicoli a motore. I profitti sono quadruplicati rispetto al 2021, con una crescita del 250% di auto elettriche immatricolate.
Classe 1966, Wang nasce in una famiglia contadina nella provincia rurale di Anhui. Completa gli studi come chimico e cavalca l’onda dell’apertura al mercato internazionale. La sua storia potrebbe servire a delineare il kit del “buon imprenditore”: contesto povero e rivalsa sociale, ma anche e soprattutto un ambizione che negli anni Novanta lo trascina nel centro del fermento tecnologico di quegli anni, la città che descrive al meglio il nuovo volto della Repubblica popolare: Shenzhen.
Insoddisfatto dal lavoro in un istituto di ricerca statale, chiede a un parente 2,5 milioni di yuan e nel 1995 mette in piedi una fabbrica di batterie agli ioni di litio per telefoni cellulari. Il nome che sceglie dà forma alla visione proiettata verso il futuro: BYD, acronimo di Build Your Dreams, “costruisci i tuoi sogni”. La prima auto arriva solo nel 2005, due anni dopo aver acquisito un’azienda automobilistica in fallimento: è una berlina a benzina, la F3.
[Estratto dell’ebook “Auto elettriche”. Scoprilo qui]
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.