Nella Cina di Xi Jinping, modificare il finale vecchi e nuovi film è pratica sempre più diffusa. È la rettificazione dell’industria dell’intrattenimento, dove la linea morale del Partito vince sul botteghino. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione tra China Files e Istituto Confucio di Milano
Me lo ricordavo diverso. Sempre più film in Cina si stanno trovando al centro di controversie perché distribuiti in versione pesantemente editata tramite finali alternativi con “caratteristiche cinesi”. Un’operazione censoria che sotto la veste del target oriented modifica i contenuti dei film stranieri in arrivo sul mercato cinese, ri-adattandoli con finali considerati “appropriati” dal Partito comunista. Dal protagonista di Cattivissimo me alla linea saffica di Friends, sono molti i contenuti finiti sotto la falce della nuova rettificazione dei prodotti culturali a opera del Pcc.
Finali alternativi per una sfera culturale “appropriata”
Forma più sofisticata della tradizionale censura a priori, quello messo in pratica dai censori dell’industria dell’intrattenimento in Cina è un controllo per revisionismo, fatto di tagli e finali alternativi. Un compromesso a cui Hollywood spesso scende volentieri per avere accesso a quello che dal 2020 è il primo box office al mondo. Nella Cina di Xi Jinping, il Pcc si erge a supervisore dei film in circolazione per proteggere gli spettatori da contenuti “moralmente riprovevoli” o non in linea con “i valori socialisti”. Specie se gli spettatori in questione sono minori.
Ecco così che lo scorso agosto il film Minions 2: Come Gru diventa cattivissimo è stato distribuito in Cina con un finale diverso dall’originale. Nella versione cinese, un addendum racconta agli spettatori che il protagonista di Cattivissimo me ha cambiato vita per “tornare dalla propria famiglia” e che il suo più grande risultato è stato “essere padre delle tre bambine”. Crisi di coscienza anche per il personaggio del criminale Wild Knuckles, che invece di sfuggire alle autorità si costituisce.
Nel cinema della Repubblica popolare cinese, non c’è spazio per i criminali
Allo stesso modo lo scorso gennaio Fight Club, film cult di David Fincher, era stato presentato nel catalogo della piattaforma di streaming cinese Tencent Video in una versione editata, senza il finale sovversivo dell’originale. All’iconica scena del film cult di David Fincher, nella quale “il narratore” (interpretato da Edward Norton) osserva le esplosioni causate dal progetto Mayhem mano nella mano con l’amante Marla Singer (Helena Bonham Carter), si sostituisce un messaggio su sfondo nero che vedeva la polizia intuire il piano terroristico e arrestare tutti i criminali. Delusi da questa modifica, gli utenti social hanno accusato Tencent di revisionismo cinematografico, contestando i salti logici del messaggio finale in un film già conosciuto ai più. La compagnia di distribuzione ha poi fatto marcia indietro restaurando il finale originale.
Stessa cosa è accaduta per i film Le Ali della Libertà e Lord of War, colpevoli di mandare messaggi sovversivi e di incitamento alla guerra. Così come per l’anime giapponese Ultraman, considerato troppo violento. Anche qui il pubblico cinese non ha gradito l’intervento della mano censoria. La sensibilità degli utenti cinesi sembra così più incline ad accettare un cambio di trama in un film di nuova distribuzione, invece che film occidentali diventati cult per intere generazioni. Insomma, prima regola del Fight Club, non cambiare il finale di Fight Club.
Silente era gay, ma adesso sta con lei
Non solo finali violenti e fuorilegge. Nell’universo della distribuzione cinematografica cinese degli ultimi anni, a essere censurati sono anche intere sottotrame considerate “controverse”, come quelle che riguardano l’omosessualità di alcuni personaggi. Lo scorso aprile l’ultimo film della saga Harry Potter, Animali Fantastici: I Segreti di Silente, ha fatto notizia per la rimozione all’interno della trama delle allusioni sull’omosessualità di un giovane Albus Silente (interpretato da Jude Law). Qui, a essere falciato dall’editing di Partito è stato un dialogo di sei secondi che fa riferimento a una possibile storia d’amore tra Silente e il rivale Gellert Grindelwald (Mads Mikkelsen). Anche in questa occasione sulle piattaforme social cinesi gli utenti hanno contestato il taglio.
Sorte peggiore è capitata ai dangai, drama storici in costume molto popolari in Asia che presentano ambiguità sessuale nel rapporto tra due protagonisti (uomini). Il genere, particolarmente apprezzato in tutta l’Asia, è divenuto famoso all’interno della comunità LGBTQ+ proprio per il suo giocare sulla bromance spinta dei protagonisti. Lo scorso marzo però, le autorità dell’Ufficio radiotelevisivo municipale di Pechino hanno vietato la proiezione di dangai drama sulle piattaforme di streaming della città. Tutto nel nome della creazione di una sfera culturale e di un cyberspazio “pulito e sano”, come voluto dallo State Administration of Radio, Film and Televisiom (SARFT), l’ente che controlla le pubblicazioni del settore dell’intrattenimento del paese. Negli ultimi due anni Pechino ha infatti lanciato una vera e propria campagna contro questo tipo di prodotti di intrattenimento e degli idols che li rappresentano, eliminando contenuti considerati “effeminati” dai social media e promuovendo uno stile più “virile” per attori e celebrità. Il tutto per contrastare quello che le autorità cinesi hanno definito “la caotica industria dell’intrattenimento”.
Ad essere stata smussata è anche l’intera story-line della ex moglie di Ross in Friends, che lo lascia per intraprendere una relazione con una donna. Nella distribuzione in streaming nella Rpc le scene che riguardano il personaggio di Carol sono state eliminate. Al centro delle polemiche anche per il film Light Year, la cui distribuzione in Cina non è ancora prevista. All’interno del cartone animato è presente un bacio saffico tra due personaggi e la Disney ha comunicato di non voler distribuire il film in paesi che solitamente richiedono una revisione dei footage, tra cui anche la Cina.
I criteri di censura che riguardano i prodotti cinematografici e televisivi in Cina continuano a mutare. E anche a fronte della protesta di molti utenti sui social, il Pcc continua a ripulire la sfera dell’intrattenimento da potenziali “influenze negative”.
Nel taglia e cuci del Pcc, neanche i cult sono al sicuro.
Di Lucrezia Goldin
Giornalista praticante, laureata in Chinese Studies alla Leiden University. Scrive per il FattoQuotidiano.it, Fanpage e Il Manifesto. Si occupa di nazionalismo popolare e cyber governance si interessa anche di cinema e identità culturale. Nel 2017 è stata assistente alla ricerca per il progetto “Chinamen: un secolo di cinesi a Milano”. Dopo aver trascorso gli ultimi tre anni tra Repubblica Popolare Cinese e Paesi Bassi, ora scrive di Cina e cura per China Files la rubrica “Weibo Leaks: storie dal web cinese”.