Il sultanato si avvia verso una progressiva introduzione della legge coranica. Benessere da primato nel Sudest asiatico e legittimazione del potere basata sulla religione: la Kyoto Review of South East Asia parla di Stato neo-tradizionalista.
Entro i prossimi sei mesi, il Brunei farà applicare il nuovo codice penale basato sulla legge islamica (shari’a), annunciato dal sultano Hassanal Bolkiah. Un provvedimento che imprime un’ulteriore svolta verso un islam conservatore.
“È per adempiere il nostro dovere verso Allah”, ha spiegato il sultano nel suo discorso, “In tutta la sua generosità ha creato la legge per noi, per fare sì che la usassimo per ottenere giustizia”. D’altronde la monarchia del piccolo regno del Borneo, i cui 400mila abitanti godono di uno dei redditi più alti del Sudest asiatico, garantito dalla risorse petrolifere nel Mar cinese meridionale, fonda la propria legittimità politica proprio sulla religione.
È l’ideologia della monarchia islamica malay grazie alla quale, spiegava a marzo la Kyoto Review of South East Asia, la casa reale è riuscita a cementare la fedeltà alla nazione, dandole un’identità, e a proporre se stessa come protettrice dell’Islam.
Malay e musulmana è circa il 70 per cento della popolazione del sultanato. La vendita e il consumo di alcolici sono già vietati, l’attività delle altre religioni posta sotto il controllo governativo. L’educazione religiosa è obbligatoria per gli studenti e i negozi devono restare chiusi per almeno due ore durante il venerdì di preghiera.
Il nuovo codice penale, ispirato dalla shari’a, amplia le norme che già i tribunali religiosi applicano per quanto riguarda la famiglia e le dispute matrimoniali. Il paese ha di fatto un sistema giudiziario misto, in cui convivono le corti islamiche e un sistema civile, basato sulle leggi britanniche, eredità del protettorato da cui il sultanato si emancipò nel 1984.
Le pene previste, stando a quanto trapelato, prevedono la lapidazione in caso di adulterio, l’amputazione degli arti per i ladri e la fustigazione per una serie di reati che vanno dall’aborto al consumo di alcolici.
L’applicazione della shari’a riguarderà soltanto i musulmani, è stato detto. “Spero che tutti i cittadini e i residenti siano fianco a fianco nel sostenere questa storica legislazione”, si è augurato però il sultano, salito sul trono appena ventunenne nel 1967, e tutt’ora anche primo ministro, nonché a capo della difesa.
La decisione non arriva tuttavia inaspettata. Due anni fa la procura generale annunciò un inasprimento del uso della legge islamica per punire i reati, lasciando maggiori spazio discrezionale ai giudici.
Del Brunei, sempre sulla Kyoto Review, Naimah S. Talib parla nei termini di uno Stato neo-tradizionalista, capace di soddisfare i bisogni di stabilità e sicurezza della popolazione, anche grazie al petrolio e al gas. In assenza di partecipazione, il parlamento reintrodotto nel 2004 è composto da nominati, il sultano cerca di mantenere l’immagine del regnante benevolo.
Una figura paternalistica e personalistica che ogni venerdì mostra il suo legame con Dio e la sua devozione, dando l’immagine non soltanto di un leader politico, ma anche di un esempio di virtù. Sebbene autoritario.
[Scritto per Linkiesta; foto credit: yahoo.com]