Brics – Alla guida dello sviluppo mondiale

In by Simone

Il focus che il Rapporto sui Diritti Globali 2013 dedica ai Brics svela i punti di forza e le macroscopiche debolezze del gruppo di paesi proclamatosi alla guida dello sviluppo dell’umanità. Crescita, inflazione, manodopera e costo del lavoro le sfide future di Brasile, Cina, India, Russia e Sudafrica.
Quest’anno il Rapporto sui Diritti Globali, edito da Ediesse, ha offerto anche un focus sui Brics, ovvero i paesi in via di sviluppo. Al di là dell’artificiosità del nome stesso, creato da Jim O’Neil, un economista della Goldman Sachs, quello dei Brics è un agglomerato che tiene insieme paesi che – a parte il Sudafrica – hanno avuto crescite economiche vertiginose, nonostante i pochi punti di contatto a livello politico.

Sistemi politici diversi, storie differenti e in alcuni casi anche vere e proprie contese territoriali, da secoli, come Cina e India o Cina e Russia.

I Brics, forti di rimarchevoli successi economici, pur registrando rilevanti contraddizioni interne, a conclusione di un incontro avvenuto ad aprile 2012 hanno affermato solennemente che “guideranno lo sviluppo dell’umanità”.

Come caso esempio delle insidie che attendono tali nazioni, il Rapporto porta quello del Vietnam. Un paese che dopo parecchi anni di crescita economica molto sostenuta (8,1% tra il 2003 e il 2007) si trova a rallentare e a scontrarsi con problemi ingenti come inflazione, corruzione, burocrazia inefficiente e disuguaglianze sociali. Problemi che insidiano, anche se in maniera e proporzioni differenti, anche le altre economie dei Brics.

La prima questione che si troveranno a affrontare è quella che gli economisti chiamano the middle income trap, ovvero il fatto che, a un certo punto dei processi di sviluppo di un paese, la sua crescita rallenta o svanisce del tutto. Dal punto di vista dei paesi emergenti, questo significa che, raggiunto un certo stadio di crescita, si possa perdere competitività nelle tradizionali industrie labour intensive e non riuscire a trovare nuove fonti di crescita.

Questo punto è stato sottolineato la scorsa settimana anche dal Business Confidence Survey 2013 della Camera di commercio europea in Cina proprio dal presidente Davide Cucino, che ha posto l’accento su come l’aumento del costo della manodopera sia una problematica seria che vada affrontata aumentando la competitività, diminuendo i monopoli e puntando sulla crescita dei consumi interni.

Altro elemento in comune tra i Brics è l’aumento dell’inflazione. Nel Rapporto si legge:

“L’India nel 2012 è risultata la peggiore per il livello di inflazione (11,2%) seguita dalla Russia, dove nel corso dell’anno i prezzi sono aumentati in totale del 6,6% (Russia Oggi, 2013). In Cina, a gennaio 2012, l’indice dei prezzi al consumo ha registrato invece un incremento su base annua del 4,5%, circa mezzo punto percentuale in più rispetto al mese precedente e a quanto avevano previsto gli analisti. Si tratta di livelli superiori in misura rilevante a quelli dei Paesi avanzati”.

C’è poi da riservare un capitolo a parte, come fa il Rapporto, alla questione del lavoro in Cina, sezione titolata con un evocativo Eppur si muove.

Il basso costo del lavoro è stato per trent’anni il motore economico di Pechino, la base su cui puntellare il proprio successo, come fabbrica del mondo. Negli ultimi tempi però, con straordinari scioperi e lotte importanti, i lavoratori hanno ottenuto grandi risultati, aiutati anche dalla necessità del paese di sviluppare il mercato interno, concedendo quindi più soldi ai propri lavoratori da spendere nel consumo, tenendo presente che il sistema dell’hukou, il certificato di residenza, che ancora il welfare alla regione di provenienza, costringe molti dei lavoratori che arrivano in città dalle campagne a spendere il proprio salario in casa, servizi sanitari ed educazione dei figli.

Il costo del lavoro è cresciuto e, per alcune categorie di operai specializzati, il salario arriva a toccare i 700 dollari al mese. Di questo passo, considerando anche il potere d’acquisto, il costo del lavoro cinese sui mercati internazionali si collocherà al livello degli Stati Uniti e dell’Eurozona entro cinque anni (Cosnard, 2012). Si conclude che quindi la competitività dei prodotti cinesi sarà gravemente indebolita.

“A questi ritmi – si chiede il Rapportoquanto tempo dovrà ancora passare perché i lavoratori cinesi guadagnino come quelli di Mirafiori?”.

Ma nel frattempo c’è un problema ancora più grande da risolvere: le limitate risorse fisiche del globo. Come sottolinea Chandran Nair, scrittore indiano citato nel volume, “certamente miliardi di cinesi e di indiani possono aspirare a standard di vita di tipo statunitense. Ma, se tali aspirazioni venissero realizzate, ci troveremmo di fronte a una catastrofe”.

Per questo suggerisce la soluzione del constrained capitalism, ovvero un capitalismo limitato che controlli l’uso delle risorse naturali e il comportamento dei consumatori.

[Tratto da articoli pubblicati sul Fatto Quotidiano e sul Manifesto; foto credit: bostonherald.com]