Nel corso di una sessione di studio del Comitato centrale del partito comunista cinese, il presidente Xi Jinping ha esortato il paese ad accelerare lo sviluppo della tecnologia legata alla blockchain. Secondo quanto riportato dai media cinesi, Xi ha sostenuto che l’applicazione della tecnologia è già stata allargata a settori quali la finanza digitale, l’internet delle cose, la produzione intelligente, la gestione della catena di distribuzione e il trading digitale di asset.
Notando che il settore blockchain della Cina ha una solida base (in Cina il tredicesimo piano quinquennale lanciato nel 2016 citava ampiamente la tecnologia in questione così come numerosi report degli organi di controllo cinesi, come ad esempio banche o enti “regolatori”), Xi ha dichiarato che è necessario accelerare lo sviluppo della tecnologia blockchain e il progresso industriale guidato dall’innovazione. Secondo Xi, maggiori sforzi dovrebbero essere compiuti “per rafforzare la ricerca di base e aumentare la capacità di innovazione, per aiutare la Cina a guadagnare un vantaggio nel settore emergente a livello teorico, nel campo del progresso e dal punto di vista industriale”.
Le parole di Xi hanno subito portato a un beneficio per i bitcoin, benché blockchain e bitcoin non siano sinonimi, anzi. Molto spesso si intendono come fossero la stessa cosa, solo perché di blockchain se ne parla dal 2009, quando venne fuori il bitcoin. In realtà la blockchain è molto di più e per quanto ancora piuttosto misteriosa a livello mainstream, è già utilizzata in molti settori e in tanti paesi.
Tecnicamente per blockchain si intende un “registro digitale”. Senza dilungarsi in spiegazioni, su Wired Alessandro Moccia, esperto di sicurezza informatica che lavora per infrastrutture critiche nazionali nel settore bancario, lo ha spiegato così: “si tratta di un registro aperto di informazioni condiviso, decentralizzato e distribuito. Più tecnicamente, è un database che, anziché risiedere su un unico server, è strutturato in blocchi distribuiti su diversi nodi di una rete. Il punto di forza della blockchain sta tutto in questo concetto. Le informazioni inserite nel database si riproducono in tempo reale in tutti i nodi della rete, e i nodi stessi possono in qualsiasi momento verificare la validità delle informazioni inserite”.
L’esempio più classico è quello di una compravendita immobiliare, o la filiera di produzione di un determinato prodotto. Per chi è avvezzo alla tecnologia, il sistema ricorda quello crittografico di Pgp: due persone, o enti, si scambiano informazioni attraverso una chiave che consente la decrittazione; con la blockchain queste informazioni risiedono in tutti i nodi della rete e sono autorizzata in modo peer to peer, per semplificare, anziché da un’autorità centrale. Non a caso la blockchain viene spesso riferita a un sistema “decentralizzato”.
Alla base di questo sistema, e questo può aiutarci a capire perché la Cina è interessata al fenomeno, c’è la fiducia. Daniele Salvini su Il Sole24ore l’ha spiegato in modo piuttosto chiaro: “Il documentario di fine 2018: “Trust Machine” (la Macchina della fiducia) di Alex Winter, rivela già dal titolo l’impatto e le aspettative che potrebbe avere sulla società e ne racconta svariati utilizzi in atto. Unicef usa la blockchain per schedare i profughi, assegnando loro una identità per poterli inserire in una nuova società senza perderli di vista. Il World Food Program in Giordania la usa nei supermercati, per controllare la distribuzione dei viveri attraverso la scansione dell’iride. A New York il progetto Brooklyn Microgrid registra il consumo di elettricità verde in un condominio allo scopo di migliorare la distribuzione ed evitare sprechi. Nell’ambito del diritto d’autore i musicisti Imogen Heap e Dj Gramatik, monitorano gli utilizzi delle loro creazioni per la ripartizione dei proventi. L’innovazione tecnologica dunque non è la crittovaluta, ma è la “macchina della fiducia” che la stampa”.
Ovviamente il sistema non è in sé “la” fiducia, ma poiché in Cina si sta cercando da tempo di creare un ecosistema basato sulla fiducia, lo dimostra il sistema dei crediti sociali, potremmo sostenere che la spinta di Xi verso questa tecnologia sia determinata dalla volontà di garantire sicurezza in alcuni settori specifici, come ad esempio quello alimentare, finanziario (e tutto sommato anche in quello sanitario: immaginiamo di poter gestire i nostri dati sanitari in modo sicuro e fiduciario attraverso un sistema decentralizzato che di fatto protegge i nostri dati e registra in qualsiasi momento una variazione di essi comprese eventuali cancellazioni di dati).
Ora, la domanda sorge spontanea: come può un sistema decentralizzato piacere al partito comunista cinese? Nel 2018 il Quotidiano del popolo ha pubblicato un libro proprio sulla blockchain, Blockchain, a Guide for Officials. Come riportato da Qz, “Mentre il presidente cinese Xi Jinping ha ufficialmente approvato la blockchain come una tecnologia che “influenzerà profondamente il destino del paese”, lo scorso anno Pechino ha vietato il commercio di criptovaluta”. Per Pechino i bitcoin erano diventati fuori controllo: tanto meglio, ora la Cina si organizza per riportare tutto sotto il suo controllo. “L’approccio della Cina – hanno spiegato i giornalisti di Qz – è diventato più chiaro nel corso di uno spettacolo di un’ora sulla blockchain trasmesso dalla China Central Television a giugno 2018, quando un alto funzionario ha detto: “Quando si parla di blockchain, molte persone parlano di “decentralizzazione”. Vorrei apportare una piccola modifica alla parola. Penso che l’essenza della blockchain sia la “disintermediazione“.
Non c’è modo di sbarazzarsi del centro, scrivono i giornalisti di Qz. Ed è così.
Per quanto riguarda la critpovaluta, sarà la banca centrale a stabilire le regole. Ugualmente accadrà con la catena blockchain: “Le autorità cinesi hanno anche discusso di istituire un regolatore blockchain per supervisionare il settore. In altre parole, il governo cinese vuole sfruttare il potere della tecnologia blockchain, purché sia blockchain con caratteristiche cinesi. Questa nozione rifiuta molte delle idee fondamentali associate alla blockchain e alle criptovalute”.
La Cina vorrebbe dunque fare con la blockchain quanto fatto con la rete: consentire una comunicazione armoniosa, sotto lo stretto controllo del partito.
I progetti blockchain in Cina sono già molti, oltre 200, un altro record detenuto dall’ex Impero celeste e vedono un attivismo piuttosto interessante da parte delle municipalità. Tutto andrà a concorrere con l’internet delle cose, come specificato da Xi, e con tutto quell’impianto “fiduciario” – tra social credit, controllo tradizionale e smart city – che la Cina sta preparando per il futuro. E che in Cina si progredisca molto velocemente lo si intuisce da alcuni progetti già in atto.
Come riportato dal China Daily nell’aprile del 2019, “dal 2016 Alibaba utilizza la blockchain in aree legate al settore alimentare e quello santirario. Con 90 brevetti relativi alla blockchain, si è classificata al primo posto nella classifica dei 100 migliori brevetti di Blockchain Enterprise, seguita da IBM 89 brevetti”. E ancora: “ad agosto, l’ufficio delle imposte di Shenzhen, nella provincia del Guangdong e Tencent ha annunciato che era stata emessa la prima fattura elettronica blockchain della Cina. Du Xiaoman Financial, precedentemente noto come Baidu Finance, ha pubblicato il suo white paper blockchain per delineare le sue capacità nello sviluppo di applicazioni in otto aree: finanza, gestione dei clienti e costruzione della comunità, digitalizzazione delle risorse, welfare pubblico, sistemi di identità, copyright dei contenuti digitali, interconnessione tra prodotti diversi e tracciabilità”.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.