Birmania – “Venite a investire da noi”

In by Simone

Appello video di Aung San Suu Kyi al forum di Davos per attrarre investitori in Birmania. Dopo le dichiarazioni di intenti, ora occorre intervenire su banche, finanza e tassi di cambio. Con l’aiuto del Fondo monetario internazionale
Se Aung San Suu Kyi in persona esorta gli stranieri a investimenti etici, qualcosa sta cambiando veramente in Birmania.
Il premio Nobel per la Pace, costretta agli arresti domiciliari per sedici degli ultimi vent’anni, ha potuto, ormai libera, intervenire in video al Forum economico mondiale di Davos.

Svestita la divisa, i generali che per cinquant’anni hanno schiacciato il popolo birmano hanno lasciato il posto a un governo civile eletto. Il futuro della Birmania sarà diventare la prossima frontiera economica dell’Asia, si legge nell’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale sul Paese dei pavoni, il primo pubblicato dal 1999.

Affinché ciò avvenga, hanno ammonito gli inviati dell’Fmi, il nuovo governo di Naypyidaw dovrà stabilizzare la propria economia e proseguire con le riforme avviate dopo le elezioni del novembre 2010, le prime indette dall’ormai disciolta giunta militare in vent’anni anni.

Le previsioni diventeranno realtà “se il governo saprà sfruttare a proprio vantaggio le risorse naturali, la forza lavoro giovane e la vicinanza con alcune tra le economie più dinamiche al mondo”, ha spiegato Meral Karasulu, a capo della delegazione che ha visitato il Paese a inizio mese.

Il nuovo corso fa già gola a molti, tanto più nell’attesa della probabile revoca delle sanzioni internazionali che per vent’anni hanno fermato la corsa alla Birmania, sebbene facilmente aggirabili. Basti pensare alla continua presenza cinese, indiana e thailandese o alla decisione della Total di non abbandonare il Paese perché i contratti firmati erano precedenti all’imposizione delle restrizioni.

In questa direzione va comunque la decisione dell’Unione europea di alleggerire le sanzioni, presa lo scorso 23 gennaio, cui potrebbero seguire nuove aperture dopo le elezioni suppletive di aprile. Così il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, ha annunciato aiuti allo sviluppo per 3,8 milioni di dollari l’anno.

Si stanno catapultando da noi”, ha ammesso il ministro del Commercio, U Soe Thane, in un incontro con la stampa a Davos, “ho avuto il piacere di incontrare molte persone, non soltanto ministri, sto parlando di amministratori delegati, cui ho spiegato le nostre potenzialità, il nostro essere la giuntura tra Cina e India. Senza contare le risorse idriche”.

Una pubblicità cui si aggiungono gli otto anni di esenzione fiscale per gli investitori stranieri annunciati dal viceministro delle Ferrovie Lwin Thaung. “E se gli investimenti saranno favorevoli per il Paese potremmo anche estendere gli incentivi, la bozze è già pronta, a febbraio diventerà legge”, ha aggiunto, una norma che comprende anche facilitazioni per la proprietà straniera sulle società locali e darà diritti certi sugli affitti dei terreni.

Secondo le stime del Fmi, messa da parte l’autocrazia, il Paese crescerà quest’anno del 5,5 per cento e del 6 per cento l’anno prossimo, contro gli irreali tassi di crescita del 12 per cento proclamati dal regime in passato. Mentre l’inflazione dovrebbe attestarsi attorno al 4 per cento quest’anno e al 5,8 nel 2012-2013.

Il debito estero è pari a 11 miliardi di dollari, ha rivelato giovedì il ministro delle Finanze, Hla Tun, dei quali 2,6 milioni contratti dalla giunta militare dopo il 1988, anno della sollevazione democratica studentesca. E sono già in corso trattative con Italia e Giappone affinché venga saldato.

La delegazione del Fmi ha esortato il governo a procedere con la modernizzazione del sistema finanziario e con liberalizzazioni nel settore del commercio e degli investimenti esteri diretti. In particolare bisognerà porre rimedio al doppio sistema di cambio in cui un dollaro vale ufficialmente 5 kyat (la valuta locale), ma è scambiato attorno agli 800 kyat sul mercato nero.

Una discrepanza contro cui, continua il rapporto, la Banca centrale sta già prendendo contromisure non più rinviabili, tanto più che, ha sottolineato il Financial Times, le stesse agenzie governative sono solite rivolgersi ai canali informali.

Nessuna decisione sarà presa prima della fine dell’anno”, ha detto al quotidiano londinese l’economista U Maung Maung, uno degli otto direttori che dipendono dal vicegovernatore centrale. Già dalla metà del 2011 la liberalizzazione dei tassi di cambio è stata autorizzata in 19 istituti privati e in quattro controllati dallo Stato.

I costi sono tuttavia ancora troppo alti e i cambiavalute non autorizzati sono comuni in tutto il territorio. Nell’ultimo anno il kyat si è apprezzato del 32 per cento, in parte per il rientro di capitali dall’estero e per la crescita degli investimenti. Se sostenuto, tale apprezzamento può penalizzare la già limitata competitività del Paese, si legge nell’analisi.

L’unificazione del tasso di cambio, ammoniscono gli inviati è tuttavia condizionata all’abbandono della politica che pone “le esportazioni prima di tutto”. Ma porterebbe nuove entrate fiscali e permetterebbe di conoscere i reali bilanci delle imprese statali, facilitando la riforma del sistema. Sul come riformare finanza e banche, ha ammesso U Maung Maung, il governo “ha molte idee”, ma differenza del passato ha deciso di rompere l’isolamento e “consultarsi” col Fmi.

L’improvvisa fiammata ha messo il Paese davanti alle carenze di personale qualificato. Un imprenditore che ha preferito rimanere anonimo ha detto al Financial Times che all’interno dell’esecutivo le personalità in grado di gestire i cambiamenti sono soltanto una ventina. Opinione condivisa da diplomatici ed espatriati.

In quest’ottica va letta la visita del presidente Thein Sein a Singapore accompagnato da sei ministri tra cui quelli dei Trasporti, dell’Agricoltura e Infrastrutture. Il governo della città-Stato ha messo a disposizione dei birmani la propria esperienza nel campo della finanza e del settore bancario fornendo corsi di formazione per i funzionari pubblici e imprenditori anche attraverso i centri per l’integrazione dell’Asean, voluti dal primo ministro Goh Chok Tong nel 2000.

Una preparazione necessaria perché come ha spiegato in una intervista a Hong Kong il vice presidente della Camera di commercio birmana, Hla Maung Shwe : “Siamo pronti ad accogliere chiunque voglia investire da noi”.

[Anche su MilanoFinanza] [Foto credit: theepochtimes.com]