Da una parte il disimpegno, dall’altra il rilancio. Come preannunciato dai recenti tentativi di rassicurazione inviati ai partner (o presunti tali) asiatici, gli Usa cercano di archiviare la batosta d’immagine del ritiro afghano con la moltiplicazione di piattaforme multilaterali nel Pacifico.
L’ULTIMO NATO SI CHIAMA AUKUS ed è un patto «di difesa» che comprende Usa, Regno Unito e Australia: il cuore dei Five Eyes. L’accordo, definito «storico» dalla Casa Bianca, è teso al rafforzamento di una partnership nell’Asia-Pacifico già esistente de facto. Prevede un passo in avanti sulla cooperazione nelle tecnologie militari avanzate e, soprattutto, il sostegno a Canberra per lo sviluppo di sottomarini a propulsione nucleare. «Omaggio» che ha portato il governo di Scott Morrison a stracciare un contratto firmato con la Francia per l’acquisto di 12 sottomarini d’attacco per una cifra superiore ai 35 miliardi di euro. Parigi non l’ha presa bene.
REAZIONE NEGATIVA anche dell’Unione europea. Per la seconda volta in poche settimane, i partner comunitari criticano Biden per non essere stati consultati o quantomeno informati su una decisione così rilevante. A Bruxelles non è andata giù neanche la tempistica dell’annuncio, esattamente alla vigilia della presentazione della strategia Ue sull’Indo-Pacifico.
Si tratta di un documento che prefigura, tra le altre cose, la creazione di una partnership digitale con paesi asiatici come Giappone, Corea del Sud e Singapore. Se prima il lancio della strategia poteva sembrare un tentativo di maggiore coordinamento transatlantico, ora la mossa europea appare depotenziata. Non a caso il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e l’alto rappresentante della politica estera Josep Borrell sono immediatamente tornati a parlare della famigerata «autonomia strategica» europea. Il timing del parto di Aukus crea un parallelo con l’annuncio dell’accordo sugli investimenti Ue-Cina (Cai) a tre settimane dall’insediamento di Biden.
E proprio la Cina, mai nominata durante la presentazione di un accordo che la mette nel mirino, potrebbe intravedere qualche spiraglio per riavviare il dialogo su quell’accordo che giace congelato nei meandri del parlamento europeo. Pechino, ça va sans dire, ha definito l’Aukus «estremamente irresponsabile» e «minaccia alla pace e alla stabilità regionale».
CON UNA MOSSA A EFFETTO il governo cinese ha anche presentato formalmente richiesta per entrare nella Comprehensive and Progressive Trans-Pacific Partnership (Cptpp), l’accordo di libero scambio che riunisce 11 paesi del Pacifico voluto da Barack Obama e sabotato da Trump. Il messaggio è chiaro: occupare gli spazi lasciati liberi dagli Stati Uniti. E sul piano della cooperazione commerciale multilaterale Pechino vede ancora dei pertugi lasciati da un Biden che con Aukus dimostra di tenere molto al capitolo difensivo.
Negli scorsi mesi il presidente americano ha provato a lanciare anche piani infrastrutturali: in primis il Build Back Better World presentato come l’anti Belt and Road durante il G7 di Cornovaglia, ma è stato riesumato in qualche nota governativa anche il Blue Dot Network. Eppure, per quanto riguarda il fronte asiatico, deve ancora riuscire a convincere i partner locali che le iniziative multilaterali a guida statunitense non hanno il solo intento di contrastare la Cina.
COREA DEL SUD E VIETNAM sono stati invitati più o meno ufficialmente a entrare a far parte del Quad Plus, ma per riuscire davvero ad attrarre gli attori regionali la piattaforma deve essere «pro Asia, non anti Cina», ha scritto Zachary Durkee su The Diplomat. Da qui il tentativo di includere nuovi capitoli di collaborazione oltre a quello prettamente militare, viste anche le ritrosie di Giappone e soprattutto India nel rendere il Quad una «Nato asiatica».
Quantomeno a livello esplicito. Da qui anche la nascita dell’Aukus, con un Regno unito che vuole tornare a essere «global» dopo la Brexit e un’Australia esasperata dalle ritorsioni commerciali e diplomatiche di Pechino. Il Pacifico è sempre più affollato. Non solo di navi, anche di sigle.
Di Lorenzo Lamperti
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.