Tra domenica e lunedì gli scontri di Dhaka hanno lasciato sul campo della guerriglia urbana 28 morti. Descritta come una lotta tra il governo secolare e l’Islam, si tratta invece di una faida tra due concezioni di Islam che insanguina il Bangladesh dal 1971.
Il controllo della stabilità politica sfugge completamente dalle redini delle autorità del Bangladesh, dove una gigantesca manifestazione lanciata dal gruppo Hefazat-e-Islam sfocia in violenza e degenerazione. Niente a che vedere, questa volta, con multinazionali e capi d’abbigliamento: si tratta del risultato di un conflitto che divora le interiora del Paese sin dal suo esordio in quanto stato-nazione, nel 1971.
La data di nascita del Bangladesh coincide con la sua indipendenza dal Pakistan dopo una guerra in cui milizie pakistane e battaglioni di civili ad esse solidali provocarono tre milioni di morti. Da allora, il collante civile del giovane Paese ha fatto leva sull’orgoglio nazionalista e sull’osanna retorica dei martiri per la libertà. Collante che, come dimostra la scalata di violenza che ricopre le strade di Dhaka dall’inizio del 2013, non basta più a coagulare due realtà sociali in conflitto.
Domenica 5 maggio una carrellata di tremila veicoli in affitto trasportano una fiumana di manifestanti dello Hefazat-e-Islam nel distretto economico Motijheel, centro nevralgico di Dhaka. La protesta, inizialmente autorizzata, si è protratta oltre i tempi consentiti dalle autorità e, noncurante del monito dei portavoce del governo a lasciare la città, si è trasformata in una caotica operazione di guerriglia urbana: 15 esplosioni di bombe artigianali davanti alla sede centrale del partito di maggioranza Awami League, 100 negozi e 50 veicoli in fiamme hanno indotto le forze dell’ordine ad intervenire con violenza inaudita.
Tra domenica e lunedì 6 maggio, diecimila unità fra polizia e forze paramilitari hanno disperso la colossale folla di manifestanti con repressione smodata. Tra manifestanti, forze dell’ordine e malcapitati innocenti di passaggio, il conteggio delle vittime è arrivato a 28, in quello che sarà ricordato come il conflitto più sanguinoso dai tempi della guerra d’indipendenza.
Gli artefici del disordine sono sostenitori delle frange più estreme dell’Islam: una dozzina di organizzazioni di matrice fondamentalista si sono organizzate nel recente gruppo Hefazat-e-Islam (“Protettori dell’Islam”) per completare un’agenda di tredici obiettivi, fra cui una nuova e più severa legge contro la blasfemia, l’impiccagione per gli atei, un’educazione religiosa obbligatoria, una maggior segregazione dei sessi, e il rifiuto delle politiche per l’emancipazione delle donne in quanto "contrarie all’Islam".
Il gruppo, che controlla 25mila madrase, è responsabile dell’assassinio del 16 febbraio del blogger Ahmed Rajib Halder, che invitava sui social network a boicottare istituzioni e aziende di proprietà di membri del partito filo-pakistano Jamaat-e-Islam.
L’esplosione del confronto pubblico fra le due contrapposte coscienze politiche del Bangladesh risale agli inizi di febbraio, quando il tribunale speciale per i crimini di guerra internazionali ha condannato sette membri del Jamaat-e-Islami per il genocidio del 1971.
Il 5 febbraio, la condanna all’ergastolo del criminale di guerra Abdul Qader Mollah è sfociata nella protesta di piazza Shahbagh, portata avanti dal motto “fashi chai”, lo vogliamo impiccato. Condotto da blogger, intellettuali, attivisti e membri della Dhaka University, il movimento per la tutela della democrazia secolare e della libertà religiosa continua a richiedere che il partito Jamaat-e-Islam venga messo fuori legge in quanto esplicitamente contrario all’esistenza di un Bangladesh indipendente e secolare.
All’inasprimento delle richieste di secolarismo è coincisa una sempre maggior mobilitazione delle branche più estreme dell’Islam: nei primi mesi dell’anno sono stati oltre 50 i templi distrutti e circa 1500 le abitazioni hindu attaccate dalle azioni vendicative musulmane nei postumi del movimento Shahbagh.
Riducibile a una semplicistica guerriglia fra libertà di stampo occidentale e fondamentalismo islamico, il confronto delle sfere civili del Bangladesh è una battaglia fra due Islam. La crociata del secolarismo portata avanti dall’Islam più moderato, inerente, per premesse storiche, al sostrato sincretico ed essenzialmente sufi dell’Islam nel Bengala, si scontra con la graduale estremizzazione dell’Islam nell’Asia meridionale.
Mentre il governo fallisce nel gestire in maniera pacifica il dialogo fra le insanabili divergenze culturali del Paese, sono i membri delle classi più disagiate ad essere reclutati come carne da macello per fare numero nell’infinita alternanza di scioperi e manifestazioni fra maggioranza e opposizione.
[Pubblicato in forma ridotta su Il Manifesto; foto credit: thetimes.co.uk]