Il brutale assassinio di un professore "progressista" in Bangladesh rilancia l’allarme dell’estremismo islamico in un paese tradizionalmente musulmano moderato. I fanatici di Jamaat e Islami sono una minuscola minoranza in Bangladesh e le loro azioni violente hanno motivazioni decisamente di carattere locale.
Notizia da boxino allarmista sulla stampa italiana: professore universitario viene ammazzato a colpi di machete in Bangladesh, reo di imporre alle proprie allieve di non indossare il velo durante le sue lezioni, così da diminuire il rischio di barare / copiare. Rivendica un gruppo estremista islamico minore, che dà dell’ateo apostata al professore, ma i bangladeshi sono in gran parte musulmani moderati, quindi non preoccupiamoci. Partiamo da qui per fare un po’ di ragionamenti.
Si tratta di una notizia evidentemente non abbastanza allarmista da essere affiancata al terrore Isis ma, in tempi di pogrom anti immigrati e "non mettiamo moschee, non diamo spazio agli assassini con la barba" – paracitazione del vate Salvini – è utile allargare un po’ il microscopio e osservare la situazione d’insieme del Bangladesh.
Che ci riguarda da vicino essendo Roma, ad esempio, la seconda città per popolazione bangladeshi in Europa (la prima è Londra), mentre i bangladeshi sono la quarta minoranza in Italia dopo rumeni, filippini e srilankesi (nota: prima dei cinesi. Dati del 2011 ma dubito siano cambiate sensibilmente le cose, se avete dati più aggiornati please mettete nei commenti).
Dunque, il Bangladesh è storicamente un paese musulmano moderato, molto più orgoglioso e identificato dalla propria cultura bengalese (cucina, letteratura, musica) piuttosto che dalla propria religione e che, prima della Partition del 1947, vedeva la convivenza pacifica di hindu e musulmani (come del resto l’intera regione dell’Asia meridionale). I problemi arrivano nel 1947 con l’annessione dell’attuale Bangladesh al Pakistan, come Pakistan Orientale, e la conseguente migrazione forzata di milioni di bengalesi hindu in India e altri milioni di bengalesi musulmani in Bangladesh.
La gestione della propaggine orientale fatta dal potere centrale pakistano si poggiava su una islamizzazione coatta del territorio, in linea col piglio dittatoriale in vigore nel Pakistan, condizione che – semplifichiamo molto ma alla bisogna allarghiamo in prossimo post, se interessa, soprattutto con innesti di persone che conoscono la questione meglio di me, tipo la professoressa Mara Matta – porta nel 1971 a una rivolta nel Pakistan Orientale, guidata dai moderati del padre della nazione Sheikh Mujibur Rahman (padre dell’attuale prima ministra Sheikh Hasina).
La Guerra di Liberazione è una guerra civile, coi fedeli al governo centrale di Islamabad a scontrarsi con gli indipendentisti bengalesi appoggiati, in un secondo momento, dall’India. Il Bangladesh conquista l’indipendenza pagando un prezzo di sangue altissimo: le stime variano da 300mila a 3 milioni di morti, con stupri di massa operati dai pakistani e dalle milizie pro Pakistan nell’ordine delle centinaia di migliaia.
Nel 2012 il governo di "centrosinistra" dell’Awami League, guidato da Sheikh Hasina, ha aperto una commissione d’inchiesta per far luce sui crimini di guerra di cui si sono macchiate numerose personalità politiche bangladeshi ancora in attività nelle fila di partiti sostanzialmente conservatori come il Bangladesh National Party (Bnp) o, peggio, di estrazione estremista islamica come il Jamaat e Islami (alleato del Bnp nelle ultime elezioni).
Dall’anno scorso sono arrivate le prime sentenze: condanna a morte, eseguita, per Abdul Kader Mullah, detto "il macellaio di Mirpur", leader di Jamaat e Islami e capo torturatore delle milizie pro Pakistan durante il 1971; condanna a morte non ancora eseguita per Motiur Rahman Nizami, anch’egli leader di Jamaat e Islami, accusato di genocidio, stupro, omicidio e torture.
Questi i due colpevoli eccellenti che hanno portato a proteste in tutto il paese, animate dagli attivisti di Jamaat e Islami, tra cui figurano anche cellule violente come quella che, settimana scorsa, ha massacrato a colpi di machete il professor Shafiul Islam della Rajshahi University, nel nord ovest del paese.
Islam, 49 anni, non era solo un apostata anti musulmano (figurarsi, era anti velo al massimo), ma, dice la stampa bangladeshi, era soprattutto un pro Awami League e un seguace della filosofia baul, movimento autoctono di origine tantrica (yoga tantrico) con innesti di sufismo, caratterizzato dal superamento delle discriminazioni a sfondo religioso (caste, fede, uomo e donna, non-tribali e tribali) in favore della cosiddetta Religione dell’Uomo, idea teorizzata meglio di altri da Rabindranath Tagore agli inizi del Ventesimo secolo.
Una roba che ha mandato fuori di testa estremisti hindu e musulmani in egual misura e che, grazie a Dio, ancora oggi vanta una certa presa negli ambienti rurali come nelle sacche di "borghesia illuminata" delle città.
Tutto questo per dire che in Bangladesh, come nel resto del mondo islamico, i pochi che trucidano i molti non lo fanno per delle motivazioni "minori" come il velo o il cibo halal, ma c’è sempre dietro l’ombra della Storia, della politica e della gestione del potere.
Di tanto in tanto ricordarlo non fa male.
[Scritto per East online; foto credit: thedailystar.net]