A chi appartiene l’altra “metà del cielo”? Su Banbiantian (半边天 “metà del cielo”) raccontiamo le storie di chi in Asia orientale lotta per la giustizia di genere in tutte le sue declinazioni.
Sedotte e abbandonate due volte: una dagli uomini che avevano promesso di sposarle, una dalla giustizia. Nel Myanmar post-golpe, le donne vittime del cosiddetto “raggiro sessuale” (ossia il caso in cui gli uomini vengono meno alla promessa di matrimonio dopo aver avuto rapporti intimi con loro) subiscono in modo sproporzionato il protrarsi della guerra. Nella società birmana questo fenomeno è sempre esistito, ma dopo il colpo di stato del febbraio 2021 si è fatto più frequente, meno punito e meno denunciato. I militari hanno bruscamente interrotto la timida apertura democratica che il Paese aveva sperimentato negli anni 2012-2020. Lo stato di diritto è collassato su se stesso, riportando il Myanmar nel loop dell’autoritarismo militare. È al 128esimo posto su 139 Paesi rispetto alle libertà e ai diritti individuali, secondo un rapporto del World Justice Project pubblicato alla fine del 2021 – otto mesi dopo la marcia del Tatmadaw (l’esercito) verso il Parlamento appena eletto. Il Myanmar è scalato di sei posizioni rispetto all’anno precedente. Da allora, secondo osservatori ed esperti, il sistema giudiziario è stato piegato alla volontà del regime.
«Ora i giovani uomini osano di più, perché approfittano dell’indebolimento delle forze dell’ordine in seguito al colpo di Stato», ha detto a Frontier Myanmar una rappresentante dell’Organizzazione delle donne Kayan con sede nello Stato di Kayah. «Alcune persone vogliono sporgere denuncia, ma non si fidano del sistema legale ed esitano ad affrontarlo», ha aggiunto Ma Wai Wai dell’Unione delle donne birmane. «La cultura prevalente dell’accusa alle vittime aggiunge ulteriori difficoltà – ha detto – Le vittime scelgono quindi spesso di non perseguire la giustizia». Secondo Un Women Myanmar, in tutto il territorio esistono istituzioni legali non governative a livello di villaggio che si occupano di risolvere controversie locali. Non solo perché il Myanmar ospita circa 135 etnie diverse, ciascuna con le proprie consuetudini. Ma anche perché, come evidenzia l’agenzia Onu per le donne nello studio Women’s Access to Justice in the Plural Legal System of Myanmar, la violenza di genere, gli abusi familiari, il raggiro sessuale, vengono trattati nell’ottica di riportare armonia nella comunità piuttosto che di garantire giustizia alle donne li hanno subiti.
Le denunce presentate dalle vittime di inganno sessuale ricadevano nella fattispecie dell’articolo 417 del codice penale birmano, di epoca coloniale, che punisce l’imbroglio fino a un anno di carcere (poi aumentato a tre nel 2016) e una multa. Il perpetuatore era identificato come colui che induce una persona a fare qualcosa che non avrebbe fatto se non fosse stata ingannata. Promettere a una donna birmana di sposarla per avere relazioni sessuali con lei e poi abbandonarla significa distruggerle la reputazione agli occhi della sua comunità. Quando questi casi passavano per il sistema giudiziario, si dicevano conclusi con il pagamento di un risarcimento. Alle donne viene chiesto di non denunciare per evitare la vergogna familiare.
«Non possiamo dire che la donna vince solo perché l’uomo deve pagare una multa», ha commentato un’attivista per le donne intervistata da Un Women Myanmar. «La comunità crede comunque che abbia perso la dignità – spiega – Il denaro è una cosa, ma questa percezione ha una conseguenza che dura tutta la vita». «La cosa principale – ha aggiunto una donna dello stato Kachin – è mantenere la pace nella comunità, e in questo le donne ci perdono». Un funzionario del Governo di unità nazionale (Nug) che controlla un’amministrazione parallela rispetto alla giunta militare, ha detto a Frontier Myanmar che «i casi di inganno sessuale durante la rivoluzione sono dovuti principalmente alla debolezza dell’applicazione della legge, con i trasgressori che pensano di non dover affrontare alcuna conseguenza per le loro azioni». Dopo il golpe, i casi di raggiro sessuale sono ancora lì. Sono aumentati, come raccontano le portavoci di diverse organizzazioni femminili, insieme alla violenza della guerra civile. Ma per le donne birmane è ancora più difficile chiedere aiuto.
Di Agnese Ranaldi
[Pubblicato su Il Manifesto]Laureata in Relazioni internazionali e poi in China&Global studies, si interessa di ambiente, giustizia sociale e femminismi con un focus su Cina e Sud-est asiatico. Su China Files cura la rubrica “Banbiantian” sulla giustizia di genere in Asia orientale. A volte è anche su La Stampa, il manifesto, Associazione Italia-Asean.