China 4.0. Alla luce di alcuni passaggi del Piano emerge una preoccupazione circa la capacità di continuare ad innovare all’interno di quelli che sono i bisogni e gli obiettivi del Partito comunista
Sviluppo autonomo, equo e ordinato: sono le caratteristiche salienti del piano cinese per l’economia digitale relative al quattordicesimo piano quinquennale (2021-2025), pubblicato dal Consiglio di Stato mercoledì 12 gennaio. All’interno del documento ci sono obiettivi, miglioramenti da fare, sfide da affrontare, con la conferma di quanto già trapelato da documenti e dichiarazioni precedenti, relativamente ai Big Data inseriti come “quinto fattore di produzione” all’interno dell’economia nazionale (insieme a lavoro, terra, capitale e tecnologia) e alla necessità di rendere autosufficiente il paese per quanto riguarda i settori considerati più strategici.
In primo luogo Pechino ha stabilito alcuni obiettivi molto precisi: si prevede che la produzione digitale dovrà rappresentare – entro il 2025 – il 10% del Pil nazionale (nel 2020 era il 7,8%). In secondo luogo la Cina prevede che l’innovazione e la forza propulsiva del suo comparto tech possa portare una connessione rapida a sempre più persone. Per questo l’obiettivo è che le famiglie cinesi connesse con una velocità di almeno 1 giga al secondo diventino dieci volte le attuali, raggiungendo i 60 milioni entro il 2025, rispetto ai 6,4 milioni del 2020.
Più nel dettaglio, dal 2020 al 2025 si prevedono aumenti cospicui delle entrate dei settori legati allo sviluppo di software, delle vendite al dettaglio on line e delle transazioni legati all’e-commerce.Per raggiungere questi obiettivi, la Cina migliorerà la sua infrastruttura digitale, inclusa la tecnologia 5G e lo sviluppo del 6G, «promuoverà con forza la trasformazione digitale delle industrie e accelererà l’industrializzazione della tecnologia digitale. Il paese migliorerà anche i sistemi di governance e sicurezza dell’economia digitale e amplierà efficacemente – come riporta Caixin – la cooperazione internazionale».
Pechino da tempo è impegnata a coordinare al meglio i propri sforzi per creare un quadro generale per le sue attività digitali, attraverso un perimetro normativo stabilito di recente (privacy, sicurezza dati e algoritmi) e una rinnovata attenzione ad aumentare le capacità innovative delle aziende all’interno delle necessità nazionali, che da tempo procedono verso una forma di autosufficienza tecnologica. Non a caso nel piano si sottolineano le mosse di altri paesi, senza citare direttamente gli Stati Uniti, a sottolineare un ambiente globale più competitivo, difficile e insidioso.
Per questo nel piano si specifica che la Cina mira a migliorare «le sue capacità di ricerca di base in aree strategiche come quelle dei sensori, dei circuiti integrati, dell’intelligenza artificiale, delle blockchain e dei nuovi materiali». Il paese cercherà inoltre di migliorare «l’autosufficienza in hardware e software di base, componenti elettronici di base» per aumentare «la sicurezza della catena di approvvigionamento in settori chiave come 5G, circuiti integrati, veicoli a nuova energia, intelligenza artificiale e Internet industriale».
Alla luce di alcuni passaggi del Piano emerge una preoccupazione circa la capacità di continuare ad innovare all’interno di quelli che sono i bisogni e gli obiettivi del Partito comunista (ovvero rendere il progresso tech funzionale agli obiettivi economici e sociali del Pcc). Lo dimostra il riferimento alla concorrenza leale e alla necessità di frenare i monopoli, di proteggere la privacy e di prevenire «l’espansione disordinata del capitale». Nel piano sono poi menzionate anche alcune parole d’ordine: data center ecologici, smart production e le piattaforme per lo scambio dei dati (come quello di Shanghai già avviato).
Come specificato le nuove sfide che attendono la Cina sono immense, considerando che – come scritto nel piano – c’è una carenza di innovazione in aree chiave (semiconduttori ad esempio), portando il paese a dipendere ancora eccessivamente dall’estero.
Dal 2021 al 2025, «l’economia digitale cinese dovrebbe entrare in una nuova fase di sviluppo standardizzato e inclusività per tutti; nel 2035, lo sviluppo dell’economia digitale sarà entrato in una fase prospera e matura, poiché la Cina si sforza di formare un mercato dell’economia digitale unificato, equo e completo con una concorrenza ordinata diventando una forza trainante nell’economia digitale globale».
Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.