Una nuova accusa della magistratura fedele alla giunta birmana, la sesta nel giro di due mesi, piove sulla testa di Aung San Suu Kyi, già colpita da altri cinque capi di imputazione. Ieri in tribunale in video conferenza, la leader è apparsa in buona salute ma è la sua salute politica quella sempre più in pericolo. Durante l’udienza in un tribunale della capitale Naypyidaw, la leader della Lega e la de facto premier del Myanmar è stata nuovamente citata in giudizio per violazione della legge sulla gestione dei disastri naturali, per presunta violazione delle restrizioni anti Covid-19. La legge era già stata usata contro di lei per un altro capo di accusa che si somma ad altri quattro ancora per presunte violazioni della legge sull’esportazione e importazione, la legge sulle comunicazioni e quella sul segreto di Stato oltre a un capo d’accusa per corruzione per aver accettato denaro e oro.
Nel caso specifico l’accusa riguarda una sua visita alla residenza dei membri della Lega Nazionale per la Democrazia nella municipalità di Zabuthiri, a Naypyitaw in agosto, che avrebbe causato un assembramento eccessivo di persone. Un’accusa ridicola in un Paese dove ormai la pandemia è totalmente fuori controllo e il sistema sanitario è collassato.
La giornata di ieri si è intanto chiusa con il consueto bollettino di morte che porta il numero delle vittime a 710 mentre sono 3080 gli arresti praticati dalla giunta: ieri – riferisce il magazine birmano Irrawaddy – è stata gravemente ferita anche l’ennesima bambina (7 anni), colpita da proiettili quando Tatmadaw – l’esercito fedele alla giunta – ha lanciato un assalto per diverse ore a Tamu, nella regione di Sagaing, al confine con l’India nel Nord del Paese e dove, sabato, sarebbero stati uccisi 18 militari in scontri con la popolazione.
È un bollettino associato a episodi sempre più mirati e violenti del Movimento di disobbedienza civile che, dalla resistenza passiva e dalle manifestazioni festose dei primi giorni, sta reagendo con attacchi a caserme di polizia e incendi di mezzi e proprietà dell’esercito. Una situazione che si sta sempre più incendiando anche sul fronte militare vero e proprio in scontri ormai continui tra l’esercito nazionale e le autonomie militari armate: per esempio nella Township di Momauk nello Stato Kachin, dove Tatmadaw ha usato artiglieria pesante contro postazioni del Kachin Independence Army, colpendo case e monasteri.
Nella Township Ye (Stato Mon) – area controllata dalla Karen National Union – il monaco incaricato del monastero di Kanin Kamaw ha rifiutato le strutture religiose ai militari col risultato che il monastero è stato incendiato. Proteste continuano in tutto il Paese: a Mandalay la folla è stata dispersa con la forza mentre altre proteste sono state segnalate nella municipalità di Myingyan (regione di Mandalay), nella municipalità di Phyu (regione di Bago) e nella municipalità di Monhyin (Stato Kachin), mentre la campagna “Flash strike”- con rapide incursioni notturne – ha avuto successo in oltre un centinaio di Comuni.
Di Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]