Lunedì 25 aprile un gruppo di estremisti islamici ha ucciso due attivisti lgbtq (lesbian, gay, bisexual, transgender e queer) nella capitale del Bangladesh, Dhaka. La notizia ha avuto un certo risalto sulla stampa internazionale anche grazie al curriculum di Xulhaz Mannan, 35 anni, impiegato di Usaid – agenzia governativa statunitense che gestisce fondi per progetti di sviluppo, aiuto e risposta ad emergenze umanitarie – e tra i fondatori di Roopbaan, il primo – e unico – «magazine lgbtq» nazionale. La striscia di vittime dell’estremismo islamico in Bangladesh continua, mentre il governo locale continua a negare la presenza di cellule del terrorismo islamico internazionale.A differenza dei precedenti attentati alla vita di blogger, professori, studenti e intellettuali laici nel paese, tutti uccisi in occasioni pubbliche e all’aperto, gli assalitori di Mannan sono lunedì scorso sono riusciti ad entrare nel suo appartamento, facendosi passare per dei corrieri. All’interno dell’appartamento c’era anche Mahbub Rabbi Tonoy, 25 anni, attore e attivista gay amico di Mannan, anch’egli ucciso da tre uomini che le autorità ancora non sono state in grado di identificare.
Mannan era tra i fondatori del magazine lgbtq Roopbaan, una pubblicazione che in Bangladesh – dove l’omosessualità a norma di legge è reato – veniva distribuita illegalmente. «È una pubblicazione che circola solo all’interno della comunità [lgbtq]» ha spiegato a Reuters un attivista gay bangladeshi che ha preferito restare anonimo. Mannan figurava anche tra gli organizzatori della Rainbow Rally, una sorta di Gay Pride bangladeshi che si tiene ogni anno in concomitanza col capodanno bengali (intorno a metà aprile). Quest’anno la manifestazione era stata bloccata dalla polizia per «problemi di sicurezza».
Quattro omicidi in un mese
I due attivisti sono stati uccisi appena due giorni dopo un altro omicidio di stampo estremista. Il sabato precedente a morire sotto i colpi di machete di uomini ancora non identificati era toccato a Rezal Karim Siddique, 58 anni, professore d’inglese presso un’università nel nordovest del paese, accusato di «ateismo». All’inizio del mese, con le stesse modalità, è stato ucciso Nazimuddin Samad, 28 anni, blogger «laico» e studente di legge alla Jagannath University di Dhaka.
Fanno quattro omicidi in un mese, che vanno ad aggiungersi alla schiera di blogger e attivisti colpiti a morte senza soluzione di continuità da almeno tre anni.
Ancora una volta emerge la totale incapacità del governo di Dhaka – guidato da Sheikh Hasina dell’Awami League, diciamo «centrosinistra» – di garantire la sicurezza di chi leva la propria voce contro la progressiva islamizzazione della società bangladeshi, che conta 160 milioni di musulmani tradizionalmente lontani dall’estremismo islamico di Isis o al-Qaeda.
Il problema delle rivendicazioni di Isis
Entrambi i gruppi hanno rivendicato l’uccisione dei due attivisti gay, mentre solo Isis si è impossessato della paternità dell’omicidio del professor Siddique. Preferiamo usare «impossessato» poiché – come scrivevamo qualche tempo fa – in Bangladesh al momento non esista una vera e propria cellula terroristica in contatto diretto con Isis, ma sia in atto una guerra tra Isis e al-Qaeda per appropriarsi dell’attivismo di gruppi fondamentalisti locali la cui azione terroristica ha moltissimo a che fare con l’instabilità interna del Bangladesh e lo scontro tra l’Awami League al governo e i partiti di opposizione – più conservatori e di stampo religioso – accusati di ospitare tra le proprie fila criminali della guerra d’indipendenza del 1971.
Reuters lo dice così:
Esperti di sicurezza occidentali dubitano che ci sia alcun contatto diretto tra Isis, attivo in medioriente, e i militanti operativi sul campo in Bangladesh.
Ma indicano che un sistema di «botta e risposta» di rivendicazioni e dichiarazioni di sostegno indirizzate agli attentatori attraverso i propri canali di propaganda permetta ad Isis di dare l’impressione di avere degli alleati [in Bangladesh].
[Scritto per Eastonline; foto credit: bdnews24.com]