Asiaticafilmmediale – Poliziesco alla pechinese

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Pechino come scenario di furti e inseguimenti tra ladri e finti poliziotti. Ma anche come città ammantata di malinconia e silenzi. Attraverso le atmosfere del poliziesco Beijing Blues Gao Qunshu riesce a portare lo spettatore a un passo dall’animo dei personaggi sullo schermo. E a quello di un’intera città. Un valido titolo alternativo per Beijing Blues (Shen Tan Heng Te Zhang, 2012), di Gao Qunshu, potrebbe essere “Beijing thieves”, perché per tutta la durata il film è scandito da scene di inseguimenti e catture di ladri, ladruncoli e truffatori per le strade caotiche di Pechino, sempre la stessa – per il tipo di umanità che la popola –e ogni giorno diversa da sé.

In realtà il “blues”, oltre a essere quello di una città malinconica in cui anche il traffico ha una sua tristezza insita, così come i palazzoni una loro strana bellezza, è quello del detective Zhang Huiling, che tra un’arresto e un altro si lascia andare a momenti di introspezione, con i colleghi, in famiglia e persino davanti alle telecamere di una trasmissione televisiva.

La brillante scena iniziale del Karaoke al ristorante è prima di tutto uno sfogo dello stesso Zhang contro la degenerazione dei tempi (di cui parla il testo): si sa che in Cina le canzoni sono un pretesto per dire in modo leggero qualcosa di meno leggero. La scena termina altrettanto tristemente con una crisi d’asma del protagonista: un momento paradossale, perché la malattia derivrebbe dal suo aver smesso di fumare – cosa che sembra aver arrecato più danni del fumo stesso.

Ma come per tante altre cose, compresa la criminalità, sradicare un male ne porta con sé altri: questo è il tema centrale di un film che è soprattutto una lunga riflessione visiva su una città a volte dormiente, altre schiacciata sotto una delirante frenesia, grondante di storie nascoste riportate alla luce dall’occhio vigile di Zhang e dalla regia di Gao.

È come se le strade di Pechino fossero un ecosistema autonomo governato da leggi ben precise. D’altra parte chi conosce Pechino lo sa: quel modo che la gente ha di interagire silenziosamente, prendendo atto della reciproca esistenza, o la maniera inspiegabile e improvvisa in cui scoppiano risse, avvengono incidenti di ogni tipo e si formano capannelli di curiosi, che sembrano uscire da una botola nascosta per assolvere a quell’unico compito. Non tanto quello che avviene, ma come avviene è ciò che definisce una città e le conferisce la sua specifica atmosfera.

Come nel caso del film di Mao Mao Here, Then, l’ambientazione in luoghi pubblici è facilitata dall’uso della videocamera digitale, che consente agilità e vicinanza ai soggetti ripresi. Questo stabilisce una relazione molto più stretta tra lo spettatore e il personaggio, ma anche il contesto diegetico generale. La sensazione di intimità che si avverte – come se ci venisse svelato un segreto – è trasmessa da questa vicinanza, che nel caso di Beijing Blues è contraddittoria perché implica anche il distacco successivo, un allontanamento dalla strada per tornare alla logica delle istituzioni e degli uffici dove le decisioni vengono prese.

Altro aspetto degno di nota è il riferimento, un po’ più di un fugace accenno, al mondo sommerso di finti poliziotti che popolano le strade della capitale cinese: fenomeno aberrante che rende la popolazione diffidente e sfiduciata, ma che fa risaltare i meriti dei poliziotti veri, esposti a rischi e critiche.

La carrellata di improbabili personaggi – dal truffatore distinto che butta i parenti sotto le macchine per riscuotere premi assicurativi, all’indovino ciarlatano che dispensa consigli e ancora il mendicante cieco o i ladri arrestati e ricercati, tra cui il “Cola” o il misterioso “Scimmia” – può lasciare perplessi ma è quella che sostiene l’impalcatura del racconto, prima ancora che le fragili spalle e il respiro affannoso del detective Zhang. 

[foto credits: guanying.com]

*Mariagrazia Costantino ha frequentato un Master in Media and Film presso la SOAS (School of Oriental and African Studies) di Londra e ha da poco conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Cinema presso il Dipartimento di Comunicazione e Spettacolo dell’Università di Roma Tre. È coautrice di Arte Contemporanea Cinese (Electa) e ha contribuito alla stesura del testo World Film Locations: Beijing.