Le tensioni c’erano già da qualche tempo, ma hanno deciso di deflagrare tutte nello stesso momento. E nel vero senso della parola. La Corea del Nord ha fatto esplodere l’ufficio di collegamento intercoreano di Kaesong e minaccia di mandare l’esercito nelle zone demilitarizzate, mandando di fatto in fumo oltre due anni di lavoro diplomatico e la politica di dialogo del presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in. Nello stesso tempo, lungo il confine conteso tra Cina e India le operazioni di de escalation nella valle del fiume Galwan si sono tramutate in un conflitto tra militari con morti (che sarebbero da contare nell’ordine delle decine) in entrambi gli schieramenti. Si tratta del peggior incidente degli ultimi 45 anni tra i due giganti asiatici, che ora rischiano davvero di vedersi invischiati in una pericolosa danza.
ALTA TENSIONE SULLA PENISOLA COREANA
Partiamo dalla penisola coreana. A Kaesong, alle ore 14.49 locali (7.49 del mattino in Italia), si è avvertita una forte detonazione e si è levata un’alta colonna di fumo. In breve tempo si è capito che a essere saltato in aria era l’ufficio di collegamento intercoreano e che non si trattava di un incidente ma di un’azione deliberata. D’altronde, negli scorsi giorni Kim Yo-jong, la sorella di Kim Jong-un, aveva implicitamente annunciato quello che è poi accaduto questa mattina. Kaesong si trova nella parte settentrionale del confine tra le due Coree ed era diventata, nel 2018, la sede di questo ufficio che avrebbe dovuto facilitare la cooperazione e il dialogo tra Pyongyang e Seoul. Era la rappresentazione plastica delle speranze di riavvicinamento lanciate dalla presidenza di Moon Jae-in e dalla momentanea distensione tra Kim Jong-un e Donald Trump.
Ma già da qualche tempo si era capito che qualcosa non andava. Da gennaio le attività dell’ufficio erano state sospese, ufficialmente a causa delle misure di prevenzione dal Covid-19. Dopo la sparizione e la ricomparsa di Kim, i rapporti con Seoul sono però andati in costante peggioramento. Pyongyang è tornata a effettuare test balistici, mentre da tempo sono riprese le minacce agli Stati Uniti. A scatenare, o fornire l’alibi, al regime per l’azione dimostrativa è stato il nuovo lancio di volantini e chiavette usb al di là del confine da parte di attivisti conservatori sudcoreani.
Vale a dire l’opposizione, tradizionalmente più dura sui rapporti coi “cugini” settentrionali. Opposizione che è stata duramente sconfitta alle elezioni legislative dello scorso 15 aprile ma che ora può sfruttare l’esplosione di Kaesong per tornare a mettere pressione sulla maggioranza, mettendone a nudo i fallimenti nella politica di dialogo. Si tratta di un duro colpo per Moon, che ha costruito la sua linea basandosi su un dialogo prettamente intercoreano, via via sempre più emancipato dai grandi attori globali (e regionali) come Stati Uniti e Cina.
La Corea del Sud “risponderà con fermezza a ogni possibile provocazione militare della Corea del Nord”: lo ha reso noto oggi il ministero della Difesa di Seoul. Ciò non significa che il dialogo tra Pyongyang e Seoul sia definitivamente pregiudicato. Difficile capire che cosa muove le decisioni del regime nordcoreano, ma la mossa di Kaesong potrebbe anche essere motivata dalla volontà di esercitare pressione su Seoul in materia economica. Kim si aspettava forse un aiuto sulle sanzioni, che fanno particolarmente male in un post Covid pieno di problemi e incognite interni. Insomma, un’esplosione che potrebbe avere la funzione di battere cassa. Alzare la tensione può essere strumentale anche ad acquisire una posizione di maggiore forza in un ipotetico nuovo negoziato.
Pyongyang, tramite lo Stato maggiore dell’Esercito del popolo coreano (Nord) ha anche minacciato che rivedrà i suoi piani d’azione per avanzare “nelle zone che sono state smilitarizzate in base all’accordo Nord-Sud, trasformando la linea del fronte in una fortezza e rafforzare ulteriormente la vigilanza”. Che cosa faranno (se faranno qualcosa) gli Stati Uniti? Si tornerà al clima del 2017 e al “rocket man” di Trump? Washington e Seoul, che non hanno ancora risolto il nodo delle spese di difesa, torneranno a cooperare in maniera più stretta? Oppure la stabilità della penisola sarà demandata all’azione (vera o presunta) della Cina su Pyongyang? Certo, con la penisola coreana di nuovo in subbuglio Seoul non potrà permettersi di perdere né Washington né Pechino.
LA DANZA PERICOLOSA DEL DRAGONE CINESE E DELL’ELEFANTE INDIANO
Intanto, molto più a sud ovest, si sta consumando un’altra grave crisi. Durante le operazioni di de escalation nella valle del fiume Galwan, in una delle aree più strategiche dell’enorme confine conteso tra Cina e India, è nato un “violento scontro” che ha portato vittime in entrambi gli schieramenti. L’esercito di Nuova Delhi aveva inizialmente reso noto che sono rimasti uccisi tre militari, di cui un colonnello e due soldati. Ma dopo qualche ora il bilancio è salito a 20, con 17 feriti gravi che non sarebbero sopravvissuti. Per molti di loro sarebbe stata fatale la caduta nelle acque gelide (e con una corrente impetuosa) del fiume Galwan. Da parte cinese, secondo un bilancio non ufficiale i morti sarebbero cinque con 11 feriti. Ma i numeri reali potrebbero essere anche peggiori. Non è chiara la dinamica degli scontri. Un ufficiale indiano ha dichiarato all’Afp che non ci sono stati colpi d’arma da fuoco ma un violento confronto fisico. Talmente violento da causare numerose vittime.
In ogni caso si tratta del più grave incidente tra i due giganti asiatici dal 1975. In questi 45 anni, negli episodi di scontri al confine, ci si era sempre limitati a pugni e lanci di pietre. Vero che le tensioni lungo il confine (qui un quadro dettagliato a livello storico e geografico delle zone contese e del perché Pechino e Nuova Delhi non trovano un accordo). Stavolta, però, la situazione sembra non poter essere derubricata (come hanno provato a fare in molti nelle ultime settimane) a semplici “baruffe”.
Le nuove tensioni sono nate dopo che l’India ha costruito tunnel e strade (una delle quali in un’area contesa con il Nepal, che proprio negli scorsi giorni ha dato il via libera all’approvazione di una nuova cartina che può esacerbare i suoi rapporti con Nuova Delhi) e dopo che la Cina ha creato nuove installazioni militari al confine e ha inviato i suoi militari al di là della linea di controllo e all’interno della valle del fiume Galwan.
Sembra che ora i rispettivi ufficiali stiano di nuovo cercando di completare le operazioni di de escalation senza ulteriori incidenti, ma il rischio è che questo episodio possa alimentare ancora di più la retorica nazionalista dei due big asiatici, che è poi l’ingrediente principale alla base dell’incidente stesso.
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.