Saigon, Ho Chi Minh City in verità, ma preferisco chiamarla con il nome che usano i suoi abitanti. Parto di mattina presto con un pulmino sgangherato per raggiungere la città di Tay Ninh. Era da anni che non volevo fare tardi a una messa.
La regione omonima che si trova circa 100 Km a nord di Saigon, al confine con la Cambogia, era uno dei passaggi del Sentiero di Ho Chi Minh e ospita le gallerie di Cu Chi, tunnel lunghi centinaia di chilometri, scavati a mano dai Vietcong durante la guerra contro i francesi e riutilizzati, sapientemente, contro gli americani. In queste zone si sono svolte cruente battaglie e sono state sganciate migliaia di bombe al napalm, tanto che solo da pochi anni è possibile coltivare il riso e far crescere gli alberi della gomma. Alcune carcasse di cingolati statunitensi sono state lasciate li, in mezzo ai campi e alle risaie, a memoria della guerra. Sembrano monumenti ai caduti, altari alla vittoria fatti di lamiere contorte.
Sobbalzo a ritmo con le buche della strada attraverso i campi, le coltivazioni e i villaggi, un tempo distrutti dalla follia americana e che le mani di questa gente hanno ricostruito pazientemente e con tenacia. Il caldo, l’umidità e l’andamento del furgone mi fanno assopire, immagino l’odore acre dei desfoglianti, vedo l’inferno di fuoco che avvolgeva case e persone, sento tuoni di morte e urla. Una buca più grossa delle altre mi fa aprire gli occhi e il conducente, che urla verso di me, mi sveglia del tutto, mi fa cenno di scendere parlandomi in vietnamita e l’unica parola chiara e comprensibile è Cao-Dai. Sono arrivato. Sto per vedere la Santa Sede, il Thanh That, il tempio Cao-Dai.
Mi trovo davanti a dei campi e chiedo al conducente, con il mio terribile vietnamita, indicazioni sulla strada da prendere. Lui m’indica con un dito l’orizzonte davanti a me con il tipico modo di dare indicazioni che hanno gli orientali. Capisco che dovrò arrangiarmi e lo saluto ringraziandolo. Il caodaismo: una delle religioni più singolari e più colorate di tutta l’Asia.
Ha cinque milioni di adepti in tutto il mondo e sedi religiose in Australia, Germania, Francia, Canada e Stati Uniti. Questa religione è stata fondata nel 1926 da Ngu Van Chieu, un funzionario del dipartimento investigativo della Cocincina oltre che mistico. Il caodaismo ha avuto molta importanza nella storia del Vietnam del sud e i suoi sacerdoti erano molto influenti durante la dominazione coloniale francese, tanto che avevano rappresentanti alla corte dell’imperatore fantoccio nella capitale Hué. Quando il popolo si ribellò alla Francia, proprio il fatto che molti rappresentanti della setta avessero, o avessero avuto, posizioni di rilievo nell’amministrazione coloniale del governo di Parigi prima e di Vichy poi, creò non pochi problemi.
Da un lato il credo caodaista perseguiva la pace e la non violenza, dall’altro è innegabile che politicamente ed economicamente la setta avesse un ruolo di potere nell’amministrazione di alcune regioni, come quella di Tay Ninh. Durante la guerra franco-vietnamita che durò dal 1946 al 1954, i caodaisti, pur cercando di mantenere una posizione neutrale, istituirono una milizia armata composta da fedeli, per difendere la regione. Dopo cinque anni iniziò la tragica guerra americana. Il periodo che va dal ’59 al ’73 è segnato dall’espatrio di molti adepti a causa della persecuzione da parte del governo sudvietnamita di Nguyen Van Thieu. Per il presidente, cattolico, la setta Cao-Dai rappresentava oltre che un “nemico” religioso da eliminare anche un potente avversario politico, poiché i suoi rappresentanti avevano una forte influenza sulla popolazione.
Con la liberazione del Vietnam del sud e la nascita della Repubblica Socialista del Vietnam i caodaisti ebbero altri decenni di difficoltà e furono estromessi da qualsiasi ruolo amministrativo. Furono dichiarati simpatizzanti del governo coloniale francese e perciò nemici del popolo. Ci fu una seconda diaspora.
Ora i caodaisti sono liberi di professare la loro fede, di costruire le loro chiese e di organizzare le feste religiose, sempre sotto l’occhio vigile del partito. In tutta la regione di Tay Ninh ci sono diverse costruzioni in stile caodaista e moltissime chiese, ma il fenomeno è volutamente circoscritto.
La chiesa che voglio vedere però è la santa sede, la San Pietro dei caodaisti. Entro in un immenso giardino. I fedeli vestiti di bianco si stanno riunendo. Decido di seguirli e dopo pochi passi davanti a me vedo la maestosa costruzione. E’ a pianta rettangolare e lo stile architettonico è unico nel suo genere, perché fonde elementi tipici delle chiese occidentali, come l’entrata e la cupola, a elementi decorativi propri dei templi buddisti e taoisti, come draghi e nuvole. I fedeli non mi notano o se lo fanno non sono minimamente indispettiti. La lunga e ordinata scia bianca per la messa è interrotta dalle tuniche rosse, blu e gialle, i colori del Confucianesimo, del Taoismo e del Buddismo, le tre religioni guida. La setta ha un’organizzazione simile a quella cattolica, ha preti, vescovi, cardinali e un papa.
Le donne hanno molta importanza e possono ricoprire la carica di cardinale. Il primo papa fu il mandarino Le Van Trung, ma la carica è vacante dal 1933. I caodaisti venerano un unico dio, Cao Dai, che creò tutte le religioni del mondo, sono vegetariani e credono nella rincarnazione. Cao Dai si manifestò durante una seduta spiritica a Ngu Van Chieu il primo gran maestro della setta, che si serviva di diversi medium per creare un ponte con il mondo degli spiriti. Molte delle persone evocate dai medium sono diventate dei santi, come Giovanna d’Arco, Victor Hugo, Mosè, Maometto, Gesù, Lao-zi, Buddha, Confucio e Sun Yat-sen, padre della Cina.
Arrivo alla porta del grande tempio e uno dei fedeli mi blocca corrugando la fronte, facendomi segno di togliermi le scarpe. Mi scuso e sistemo le scarpe tra le migliaia che trovo ai lati del muro bianco. Ora posso entrare, la messa sta per iniziare. Entrato mi trovo davanti un affresco raffigurante tre figure singolari e una mi colpisce particolarmente perché raffigura un uomo occidentale in divisa militare. Cerco di chiedere spiegazioni a un fedele senza capire una parola. Vedo a lato una piccola targhetta, che risolve l’enigma. Sono i tre santi, Victor Hugo, Sun Yat-sen e Nguyen Binh Khiem (poeta vitnamita) che sottoscrivono la terza alleanza tra l’uomo e Dio.
Il primo tiene in mano una penna d’oca, il secondo un calamaio e il terzo un pennello. Scrivono in cinese e francese: “Dio e Umanità” e “Amore e Giustizia”. Entro nel tempio e sono circondato dai colori delle vesti dei fedeli e dalle colonne ornate da draghi. Il soffitto è un cielo stellato e all’estremità del tempio, dove c’è l’altare, scorgo una singolare sfera blu con un occhio al centro, che rappresenta Cao-Dai. L’affinità con l’occhio massone stampato sui dollari è sorprendente e non mi mette a mio agio, quasi m’intimorisce. La chiesa è immensa e affollata e i colori quasi mi ubriacano.
La liturgia è pura meditazione e solo un tamburo scandisce il silenzio. I movimenti dei fedeli sono così lenti che l’intera massa di gente forma un’onda bianca. Cerco di fare attenzione a tutti i particolari e i simboli di questa religione. Ogni cosa ha un significato, ogni oggetto è posizionato con un criterio e con uno scopo, ogni sfumatura di colore ha un perché, tutto rientra in un quadro preciso e bilanciato, perfetto e calcolato. Queste sono le radici decisamente orientali del caodaismo. Nel mio osservare in silenzio scorgo degli elementi insoliti, come delle increspature. Vedo sopra l’altare delle sculture di piccole dimensioni e sorrido. Penso che solo in questa parte del mondo si possano vedere certe cose.
Gesù, Sakyamuni, Lao-zi, Quan Cong (dio della guerra cinese) e altre figure che non identifico, tutte che posano una a fianco all’altra offrendo la loro immagine di speranza alle preghiere dei fedeli. Tutte le religioni del mondo sono una sola, dicono i caodaisti. Cercare di eliminare tutte le differenze religiose nel mondo predicando un solo dio unificatore è un concetto che mi affascina. Ma una religione ha pur sempre i suoi dogmi e le sue regole da rispettare:
“ I…vow that from now on I will know only one Cao-Dai Religion (God-Way Religion), I will never change my mind, I will live in harmony and be a close member of the believer’s comunity, I will observe Cao-Dai laws and Regulations. Should I change my mind, I shall be exterminated by Heaven and Earth.”
Leggendo la promessa per diventare un adepto caodaista mi risveglio dal romanticismo iniziale e mi arrendo di fronte alla profonda differenza tra filosofia e religione. Un brusio crescente segna la fine della messa. Tutti escono dal tempio e io scendo dalla balconata per i visitatori. Ritrovate le scarpe mi dirigo verso il furgoncino. Ritorno a Saigon. I colori mi accompagnano fino in città.
*Marco Tavino: nato a Conegliano veneto nel 1983, dopo la maturità classica si sposta da Treviso a Roma, dove si laurea in lingue e civiltà orientali all’università “ La Sapienza” con una tesi sul regno di Kashgar di Yakub Beg. Ha studiato per diverso tempo a Pechino, dove ha abitato fino al 2010. Ha lavorato per alcune aziende italiane come consulente commerciale. Attualmente lavora a vari reportage di natura sociologica in Cina e organizza in Italia mostre di fotografia in collaborazione anche con altri fotografi. Ha seguito attentamente e sul campo i cambiamenti della città di Pechino in questi ultimi tre anni, focalizzandosi sulla condizione degli Hutong.
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