Interpellando alcuni operai del cantiere navale di Dhaka, Bangladesh, Italy Gram doveva essere un luogo quasi mitologico: tradotto letteralmente come Villaggio Italia, secondo le descrizioni doveva trattarsi di una piccola enclave italiana nel bel mezzo del distretto di Shariatpur, uno dei più poveri del paese. Lì, secondo la leggenda, i migranti bengalesi di ritorno avevano aperto chioschi per vendere caffé e cappuccino, i mercati vendevano anche prodotti italiani e la gente alternava al bengali parole o intere frasi prese a prestito dal paese che li aveva ospitati, l’Italia.
Ma appena messo piede a Naria, il centro abitato moderno più vicino ad Italy Gram, ogni sogno riposto in una colazione cornetto e cappuccino nel bel mezzo della campagna bengalese è sfumato tra gli onnipresenti banchetti di chai – té speziato con latte condensato – e l’assenza di sezioni made in italy del mercato locale. Togliendo tutte le fantasie affibbiate al distretto di Shariatpur, rimane pur sempre una realtà unica nel suo genere: Italy Gram esiste e il 90% delle famiglie che lo abitano vanta almeno un parente emigrato in Italia.
LA STORIA DI RAFIQ ISLAM- Oggi, secondo le ultime stime su popolazioni migranti legali ed illegali stilate dalla Caritas, vivono in Italia oltre ottantamila bengalesi, quinta comunità di immigrati dall’Asia dopo Cina, Filippine, India e Sri Lanka. Di questi, la maggior parte proviene dal distretto di Shariatpur, dove negli anni grazie ai legami familiari e al passaparola il flusso migratorio verso l’Italia si è sempre mantenuto costante.
Bastano alcune chiacchiere ad un banchetto del té per farci indicare la casa di Rafiq Islam, unico bengalese emigrato in Italia presente al villaggio al momento.
Rafiq ci accoglie nel suo soggiorno molto lussuoso per gli standard del villaggio – due ventilatori a pale, televisione, due divani – senza nascondere la forte inflessione veneta che caratterizza il suo italiano. Ha 25 anni, lavora come aiuto-cuoco in una trattoria di Mestre ed è tornato a casa per la seconda volta nel 2011: a gennaio si è sposato con una 19enne di Italy Gram, evento eccezionale che è valso un ritorno extra dall’Italia. Solitamente i migranti bengalesi possono tornare a casa, soldi permettendo, solo durante le vacanze invernali, quando non sono impiegati nei lavori stagionali o possono chiedere le ferie.
Rafiq è arrivato in Italia 10 anni fa in circostanze che non ricorda: “Ero troppo piccolo, è passato molto tempo!”. Probabilmente, come altri bengalesi arrivati in Italia alla fine degli anni Novanta, all’età di 15 anni ha raggiunto clandestinamente via terra la Russia, poi un volo per Tripoli e giorni di nascondiglio nella costa nord del paese, aspettando il proprio turno per salpare coi celebri barconi. Il tutto alla modica cifra di diecimila euro, sopravvivenza non garantita.
Dopo la gavetta obbligatoria da venditore di rose o accendini nelle piazze di Roma, condividendo la casa con un numero imprecisato di compatrioti nel quartiere-dormitorio di Torpignattara, la fortuna si concretizza in un posto di lavoro legale in Veneto, procuratogli dallo zio a sua volta migrante.
Trasferitosi al nord, Rafiq inizia a lavorare come lavapiatti in una trattoria di Mestre: contratto regolare, permesso di soggiorno, ferie e mille euro al mese. Uno stipendio dignitoso ed un datore di lavoro modello – “Mi ha sempre aiutato per tutti i documenti, mi ha trovato una casa…” – diventano i presupposti per cominciare a sognare il matrimonio, sempre ricordando i parenti di Italy Gram che mentre chiacchieriamo popolano il soggiorno circondandoci con facce meravigliate. Non solo ci sono due italiani seduti sul divano, ma Rafiq sta parlando con loro da quasi mezzora, in italiano!
MEZZO STIPENDIO PER UNA FAMIGLIA ALLARGATA – Dopo aver rotto il ghiaccio con un paio di battute, iniziamo a fare i conti in tasca a Rafiq. Quanti soldi gli servono per vivere in Italia? Quanti ne manda a casa? “Bastano 500 euro al mese, ma non mi posso comprare nemmeno un paio di jeans nuovi. Il resto lo mando qui con un money transfer: per 100 euro si prendono 5 euro di commissione”.
Metà dello stipendio di Rafiq, unica entrata di tutto il suo nucleo familiare, va mensilmente alla sua famiglia allargata di 8 persone. Le donne, che per tradizione in Bangladesh non possono lavorare, si occupano della casa in senso lato – pulizia, cucina, bestiame, orto – mentre gli uomini o hanno superato abbondantemente l’età lavorativa o semplicemente alzano le braccia al cielo recitando il mantra nazionale. Chakri nei, non c’è lavoro.
DISOCCUPAZIONE E SINDROME DELLA COMODITA’ – Che l’occupazione in Bangladesh sia un problema è cosa nota. Ma in casi come quello di Italy Gram, dove la maggior parte delle famiglie riceve soldi dall’estero per sopravvivere – e per gli standard bengalesi 500 euro al mese sono molti soldi! – si innescano delle dinamiche curiose. Rafiq ci racconta che molti migranti di ritorno decidono di investire i propri risparmi italiani in appezzamenti di terra da coltivare a riso, in punti vendita di alluminio – usato per rinforzare i tetti delle case o per recintare la propria abitazione – o in negozi di vernici. Ma nell’attesa che il familiare migrante ritorni in Bangladesh ad aprire un’attività, e di solito si tratta del primogenito maschio, il resto della famiglia si limita a vivere, magari iscrivendo i più giovani alle scuole inglesi in prospettiva di un’educazione migliore, forse universitaria. I coetanei del migrante, senza un’istruzione sufficiente per aspirare a lavori d’ufficio, in virtù del nuovo status sociale derivato dalle rimesse italiane rifiutano di abbassarsi ai lavori disponibili nel villaggio, principalmente occupazioni di bassa manovalanza. I soldi di Rafiq non solo permettono di avere sempre un piatto di riso e lenticchie sulla tavola, ma aprono le porte dell’umile casa immersa nel verde del villaggio a lussi prima ad appannaggio esclusivo della classe medio-borghese: cellulari con fotocamera incorporata, televisori, lettori dvd, piastrelle colorate sui muri esterni dell’abitazione, ventilatori.
Il nuovo tenore di vita garantito dal lavoro di un unico familiare all’estero automaticamente eleva le aspettative dei giovani familiari: se ho tutto quello di cui ho bisogno e non devo preoccuparmi di guadagnare soldi per permettermi i miei lussi, perché devo mettermi a fare il muratore o il contadino per alcuni spiccioli?
Ma nel sorriso di Rafiq è impossibile leggere alcun risentimento. Questo è il compito del primogenito e a Rafiq non è stata data la facoltà di scegliere.
Ora, quando la letargica burocrazia italo-bengalese gli permetterà il ricongiungimento familiare, toccherà a lui formare una nuova famiglia lontana dal villaggio, in Italia, con prospettive di gran lunga superiori ad un negozio di vernici ad Italy Gram.