Hanno confessato di aver torturato civili, ma per un tribunale militare indonesiano i tre soldati condannati oggi a pene che oscillano tra gli otto e i dieci anni di carcere sono colpevoli di insubordinazione. Un verdetto inadeguato, secondo le associazioni dei diritti umani, che hanno denunciato la “cultura dell’impunità” dell’esercito. A ottobre un video pubblicato su YouTube mostrava i tre -il sergente Irwan Rizkiyanto e i due soldati semplici Yakson Agu e Tamrin Mahan Giri- mentre bruciavano i genitali di un uomo e minacciavano un altro con un coltello durante un’operazione a Papua. Le vittime erano, secondo i soldati, militanti dell’Organisasi Papua Merdekà, un piccolo gruppo armato separatista contro cui il governo di Giacarta ha dispiegato un alto numero di militari, accusati di abusi e violenze contro la popolazione locale, in maggioranza cristiana e animista. Violazioni dei diritti umani che avevano spinto gli Stati Uniti a interrompere l’addestramento delle truppe di Giacarta. Un veto durato dodici anni e revocato soltanto l’anno scorso.
“Il verdetto non ha tenuto conto della violenza ripresa in quel video”, ha detto all’agenzia ‘France Presse’, l’attivista Haris Azhar, della Commissione per le persone scomparse e vittime di violenza, “non rende giustizia alle vittime e ai cittadini”. Per i militari invece non ci sono state prove a sufficienza per accusare i tre di tortura.
Papua, nella parte occidentale della Nuova Guinea, fu annessa all’Indonesia nel 1963 e da allora è attraversata da spinte indipendentiste che hanno ripreso vigore nel 1998 con la caduta del trentennale regime di Suharto. Tre anni dopo il governo di Giacarta concesse lo status di regione autonoma. Il governo locale poteva trattenere l’80 per cento dei profitti dall’esportazione di minerali e prodotti agricoli e alla regione fu concesso l’uso del nome di Papua al posto di Irian Jaya. Le concessioni non hanno cancellato le spinte indipendentiste e il malcontento. Giacarta, suggeriva un rapporto dell’International Crisis Group ad agosto, dovrebbe favorire forme di discriminazione positiva e fermare i flussi migratori verso Papua.
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