Mercoledì 13 Luglio fra le 18 e le 19, quando il caldo si dirada e gli abitanti della metropoli escono a fare acquisti, tre ordigni rudimentali nascosti in borse di tela e insospettabili pietanziere e collocati nei punti più affollati della città, hanno gettato nuovamente Mumbai nel terrore.
“Ecco, ci risiamo” – è il commento più ripetuto fra i cittadini di Mumbai, o Mumbaikar, che oramai stanchi e disillusi reagiscono con la rassegnazione degli habitué all’ennesimo attacco terroristico, stavolta apparentemente di matrice anonima.
E’ proprio sull’identità dell’ignoto esecutore che la polizia e la squadra anti-terrorismo si stanno arrovellando in queste ore. La gamma delle minacce esterne ed interne alla sicurezza indiana offre una vastissima scelta: fondamentalisti islamici, fondamentalisti hindu, gruppi terroristici pakistani, mafia locale, per non parlare poi di maoisti, naxaliti, separatisti dell’Assam, indipendentisti del Telangana e chi più ne ha più ne metta.
Una prima scrematura delle alternative, basata sull’analisi degli ordigni e dei bersagli, seleziona le scelte più probabili e dà loro un nome vago per placare l’irrequietezza: Indian Mujahedin.
Il dato di fatto al momento è che non si ha ancora la minima idea di quale sia la mente responsabile del più recente “black day” della storia di Bombay.
Potrebbe trattarsi di terrorismo pakistano: d’altronde anche l’attacco all’hotel Taj del 2008 precedeva di qualche giorno l’incontro tra due vertici della politica indiana e pakistana pronti ad aprire un dialogo più rilassato tra i due paesi confinanti. Similmente a quanto avvenne, le esplosioni che mercoledì hanno disseminato il panico nei centri affollati dell’Opera House, Zavani Bazar e Dadar, precedono in modo sospetto la visita del ministro degli Esteri pakistano in India per l’apertura di nuove trattative di pace.
Potrebbe trattarsi di un gruppo islamico indiano, indignato forse per l’incarcerazione di due membri degli Indian Mujahedin avvenuta a pochi giorni dalla catastrofe con l’accusa di furto di auto utilizzate durante gli attentati di Allahabad e Surat. Altri precedenti suggeriscono la possibilità che gli Indian Mujahedin siano stati aiutati dai maoisti, che avrebbero collaborato all’organizzazione dell’attentato fornendo l’esplosivo necessario alla preparazione degli ordigni.
Potrebbe trattarsi inoltre della potente mafia locale interessata a destabilizzare il mercato dei diamanti, come rivelano recenti ipotesi: Zavani Bazar, già preso di mira negli attentati del ‘93 e del 2003, è il punto nevralgico del commercio di diamanti. Inoltre, secondo l’Hindustan Times, il bersaglio principale nei pressi dell’Opera House sarebbe stato il Pancharatna Building, famoso per i suoi negozi di pietre preziose, per la compravendita di gioielli e per lo smercio di diamanti.
Mentre i giorni passano, le uniche attività in cui si possono sbizzarrire politici e forze dell’ordine sono mere congetture, ipotesi, elucubrazioni. Tuttavia, mentre si attendono rivendicazioni e prove schiaccianti, vi è un passatempo molto in voga fra le parti colpite e fra i partiti di opposizione: lamentarsi.
Gli abitanti di Mumbai sfogano la loro comprensibile instabilità lamentandosi delle forze dell’ordine: anche stavolta pare che i poliziotti “pasticcioni” del Maharashtra abbiano commesso gli stessi errori del post-attentato di Pune nel 2010 nel reperire e preservare le prove. Risultato: la pioggia ha lavato via i frammenti degli ordigni, l’area è stata recintata con palese ritardo, le auto parcheggiate nelle zone colpite non sono state schedate né perquisite. Il Congress dal canto suo assicura che da quando le nuove politiche e le riforme dell’intelligence sono entrate in vigore, “il 99% degli attacchi terroristici sono stati evitati con successo”; parola di Rahul Gandhi, prontamente biasimato dall’opposizione per “la precisione aritmetica e l’innocenza empirica delle sue affermazioni”.
Il CPI – Partito Comunista indiano – condanna severamente quanto avvenuto cogliendo l’occasione per inveire contro il governo e la sua incompetenza nel frenare i ripetuti episodi di violenza. “ E’ fastidioso notare che le forze che stanno dietro ai recenti attacchi nelle varie parti del paese non siano state né fermate né identificate”, sentenzia il Communist Party of India (Marxist) Politburo a New Delhi. Le accuse si spingono oltre, come riporta il quotidiano The Hindu: “ […] il governo non è capace di prendere misure adeguate e di gestire l’intelligence”, “ […] Il ministro degli interni P. Chidambaran fallisce continuamente nel mantenere la pace”.
Peccato che, proprio mentre l’emerito rappresentante dell’opposizione si prodigava nel criticare le relazioni politiche e diplomatiche tra il governo indiano e il Pakistan dei terroristi, una buona parte dei suoi esimi colleghi stava partecipando ad una serata di gala completamente noncurante dell’attentato che aveva appena fatto saltare in aria parte della capitale economica e cinematografica dell’India moderna.
Infatti, secondo Mid Day, il gran gala organizzato mercoledì sera a Delhi dall’ex Union Minister nonché anziano leader del BJP Ashok Kumar Pradan per presentare la nuova collezione della figlia stilista, si è svolto normalmente ospitando decine di celebrità e personalità politiche dell’opposizione. Intervistato durante il lussuoso party, il segretario generale del BJP Arti Mehra ha dichiarato: “Sono molto triste per quanto è successo. Ma d’altronde… la vita va avanti”.
Mentre i vertici del potere indiano approfittano dello scompiglio per gettarsi addosso le colpe, per diciotto cittadini indiani la vita non va avanti per nulla.
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