L’unificazione tra le due Coree non riscuote più l’entusiasmo popolare. Così Seul trasmetterà programmi radiofonici e televisivi per propagandare l’idea di una Penisola nuovamente unita dopo sessant’anni. Il pellegrinaggio di una delegazione di monaci buddisti e un concerto di musica classica diventano piccoli passi verso la distensione.
A Sud del 38º parallelo, l’interesse per la riunificazione tra le due Coree sta scemando. Per arginare il fenomeno, impensabile fino a qualche decennio fa, Seul produrrà programmi radiofonici e televisivi di propaganda e diffonderà questi prodotti sul web. Il 26 settembre ha aperto una piattaforma multimediale online che riflette la svolta impressa da Seul ai rapporti con il regime di Pyongyang.
A fine agosto Yu Woo-ik ha preso il posto di Hyun In-Taek alla guida del ministero per l’Unificazione. Il suo predecessore era fautore di una linea intransigente verso il Nord e padre della strategia di concedere aiuti umanitari in cambio di uno stop al nucleare, strategia mai digerita da Kim Jong-il e dai suoi generali. Ufficialmente tuttavia il cambio al vertice del dicastero non porterà nessun ripensamento. Sia Yu sia il suo predecessore non vogliono concedere alcuno sconto a Pyongyang che, prima di tornare al dialogo, si dovrà scusare per gli attacchi degli ultimi tre anni. Lo stesso ex ministro è stato al nominato Consigliere speciale del presidente per la riunificazione.
Gli esperti, scrive Kim Mi-kyoung sul Korean Times, ipotizzano un vertice inter-coreano, forse già entro l’anno. A giugno il presidente conservatore Lee Myung-bak disse che per la ritrovata unità “non bisognerà attendere a lungo”. Un discorso che fece paventare a Pyongyang il rischio che il Sud capitalista pianifichi di assorbire il nord distruggendo il sistema socialista.
È di questi giorni la notizia del Chosun Ilbo sui nuovi equipaggiamenti dell’esercito di Seul per la “guerra psicologica”: nuovi veicoli per sparare volantini oltre confine-si parla di 80mila messaggi al giorno- o ancora radioripetitori e altoparlanti disposti lungo la zona demilitarizzata sulla frontiera.
D’altronde, nel 2010 i rapporti tra i due governi hanno toccato il punto più basso dalla fine della guerra nel 1953. A novembre un bombardamento dell’artiglieria nordcoreana contro l’isola di Yeonpyeong fece quattro morti, di cui due civili, e chiuse un anno di tensione segnato a marzo dall’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan, in cui morirono 46 marinai.
Per quanto riguarda i costi dell’unità, invece, oscillano da un minimo di 55mila miliardi di won (circa 36 miliardi di euro) fino a 249mila miliardi di won. Basti pensare che al Nord il reddito pro capite è il 5 per cento rispetto al Sud.
Ma a preoccupare il governo Lee è soprattutto la mancanza di entusiasmo al riguardo. Secondo un sondaggio del Peace Research Insitute alla domanda se i nordcoreani siano o no “fratelli” con cui ricongiungersi il 44 per cento dei sudcoreani ha ammesso di iniziare a considerare il Nord uno Stato a parte. E se il 52,9 per cento sente ancora la solidarietà etnica, il 30 per cento dice di iniziare a sentire i cugini del Nord come stranieri mentre il 9 per cento li considera già tali.
Per il professor Andrei Lankov, dell’università Kookmin di Seul, parlare apertamente contro l’unificazione è ancora un tabù. Il sentimento popolare sembra tuttavia andare proprio in questa direzione. Per molti la questione nordcoreana è semplicemente irrilevante. A questo processo contribuì negli anni Novanta l’arrivo di rifugiati e la presa di coscienza sulla disastrosa condizione economica del regime. In più le nuove generazioni sanno poco dei “cugini” e non hanno più legami affettivi con i familiari costretti oltre la frontiera quando la penisola fu divisa oltre sessant’anni fa. E sono ancora pochi quelli coinvolti nei programmi di ricongiungimento familiare.
Per Dong-Joon Park su The Diplomat puntare soltanto sul “nazionalismo etnico” non è più sufficiente perché i sudcoreani si appassionino all’unificazione. Bisognerebbe enfatizzare l’empatia con le sofferenze dei nordcoreani o marcare le differenze tra la gente comune e il regime.
Nell’ultimo mese ci sono stati segnali di distensione. All’inizio di settembre una delegazione di 37 monaci buddisti sudcoreani, compreso il capo dell’Ordine Jogye, il più importante del Paese, ha potuto visitare la Corea del Nord per celebrare il millesimo anniversario della Tripitaka, una delle più importanti reliquie buddiste della penisola. E il direttore d’orchestra Chung Myung-Whun è stato autorizzato a recarsi al Nord per un concerto, dopo che nel 2006 un’altra esibizione fu sospesa all’indomani dei test nucleari di Pyongyang.