Asia-Files: anche in Birmania gli studenti protestano

In by Simone

Centinaia di studenti birmani hanno sfidato la giunta militare al potere e hanno manifestato a Kalaymyo, nello Stato di Chin, contro gli aumenti del prezzo dei biglietti degli scuolabus. Secondo quanto riferito dal sito ‘Democratic Voice of Burma’ (DVB) e da altri media d’opposizione al regime, gli studenti dei tre atenei dell’area -la Kalay University, la Kalay Technological University e la University of Computer Studies- si sono da prima radunati nella stazione degli autobus e dopo aver requisito tutti i mezzi hanno marciato fino alla sede del comando regionale dove hanno spiegato ai militari i motivi della protesta: oltre al rincaro dei biglietti, passati da 200 a 400 kyat (30 centesimi di euro) chiedono un servizio regolare e più collegamenti con le università. Il tutto sotto gli occhi dei soldati impassibili davanti alla protesta.

“Non ho paura di manifestare pacificamente”, ha detto una studentessa al mensile d’opposizione ‘Irrawaddy’. “Non è chiaro perché gli studenti non siano stati arrestati”, ha scritto ‘DVB’, i cui militanti nel 2007 documentarono la ‘rivoluzione zafferano’. La protesta prese il nome dal colore delle tonache dei monaci che per settimane manifestarono per chiedere al regime aperture democratiche e il rispetto dei diritti umani. Richieste cui i militari risposero con la repressione: i morti furono almeno 31 e in centinaia furono picchiati e arrestati. A oggi i monaci detenuti dal regime sono almeno 250 e la giunta tiene sotto controllo i principali monasteri. Fu proprio durante il novembre di tre anni fa che il regime militare vietò gli assembramenti per strada di più di cinque persone per timore che le proteste potessero trasformarsi in un movimento democratico come quello nato dalle manifestazioni studentesche nel 1988. Allora la protesta sfociò nelle elezioni del 1990, le prime convocate dai generali in trent’anni poi vinte dalla Lega nazionale della democrazia guidata dal premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi. Ma il regime impedì tuttavia con la forza l’insediamento del Parlamento democraticamente eletto.

Oggi Aung San Suu Kyi ha presentato appello alla Corte Suprema contro lo scioglimento dell’Nld. Il principale partito d’opposizione era stato messo al bando per aver boicottato le elezioni poltiche del 7 novembre, vinte dal braccio politico del regime, il Partito per lo sviluppo, l’unione e la solidarietà (Usdp). I verdetti della Corte sono tuttavia raramente sfavorevoli alla giunta militare. In passato i giudici hanno più volte respinto i ricorsi del premio Nobel contro i suoi arresti domiciliari, prima che la condanna arrivasse alla sua naturale scadenza il 13 novembre scorso.

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