arte del copiare in cina

Dialoghi – L’arte del copiare in Cina

In Dialoghi: Confucio e China Files by Camilla Fatticcioni

In Cina la copia ha un’accezione culturale e non la si intende come una strategia per sopperire alla mancanza di originalità. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano. Qui per recuperare le altre puntate.

 

Danfen è un piccolo villaggio alla periferia di Shenzhen dove migliaia di pittori lavorano senza sosta per riprodurre su tela i grandi capolavori dell’arte occidentale. Sono oltre 8 mila, distribuiti in circa 1.200 studi, e producono milioni di repliche di opere di Van Gogh, Claude Monet e Pablo Picasso per la vendita in patria e all’estero. Circa l’80% dei dipinti a olio esportati dalla Cina proviene proprio da Dafen.

Nel 2016, l’uscita del documentario “China’s Van Gogh” del regista cinese Yu Haibo ha posto sotto i riflettori non tanto la pratica di riproduzione in serie di quadri, ma la passione e lo studio che si celano dietro la copia di un’opera. Nel documentario viene raccontata la storia di Zhao Xiaoyong, artista specializzato nelle repliche di Van Gogh, aiutato dalla moglie e da un seguito di allievi.

Zhao (qui la sua pagina Instagram) studia e replica le opere del celebre pittore olandese da ormai più di vent’anni e il suo sogno è quello di visitare il Museo di Van Gogh ad Amsterdam. Pur non avendo mai visto un originale, nutre una stima tale per Van Gogh da essere capace di replicare a memoria tutti i suoi quadri alla perfezione.

In Cinese esistono due termini per la parola “copia”: fangzhipin (仿製品) e fuzhipin (複製品). Il fangzhipin è un’imitazione dichiarata, in cui la distanza tra originale e copia è ben visibile, mentre per fuzhipin si intende una riproduzione identica con lo stesso valore dell’originale. Se in Occidente la riproduzione di un falso viene associata a finalità ingannevoli, in Cina questo viene accettato culturalmente in quanto la copia assume la stessa valenza dell’originale. In sostanza, più sei bravo, più verrai copiato. L’imitazione non ha un’accezione negativa, ma diventa un omaggio assoluto nei confronti di un’opera di cui si riconosce la superiorità, come sottolinea Nicole Galaverni nella tesi “La copia cinese: fra tradizione e desiderio di modernità. Storia e disamina di questa pratica all’interno della cultura cinese, analisi delle sue conseguenze nel sistema dell’arte e nel suo rapporto con l’Occidente.”

Tale visione rientra nella prospettiva della concezione ciclica del tempo nell’Asia orientale, ma si lega anche all’ideologia confuciana, che enfatizza la condivisione per il bene della comunità. E, soprattutto, che regala un ruolo centrale al concetto di pietà filiale, caratterizzata dal rispetto assoluto verso l’autorità dei genitori, o in questo caso, degli insegnanti e dei maestri: la copia diventa quindi uno strumento di venerazione dell’opera originale, come menziona Liu Shu-hsien nel suo saggio “Time and Temporality: The Chinese Perspective.”

Come conseguenza, la determinazione della paternità di un’idea o di un manufatto non assume un’importanza primaria, diversamente dalla prospettiva occidentale che valorizza la creatività unica e irripetibile del genio. Questa prospettiva si riflette nella pratica tradizionale dei sigilli, usati da collezionisti e pittori direttamente sui dipinti. A differenza della firma occidentale che sancisce l’autore come individuo, i sigilli consentono allo spettatore di inserirsi nell’opera non in termini di paternità, ma piuttosto aprendo un dialogo che si estende nel tempo, oltre i secoli. La visione cinese del tempo come un presente assoluto non enfatizza i legami di causa-effetto ed evita di attribuire un’identità singola a un evento specifico.

Per molto tempo il plagio si è esteso anche a monumenti e opere architettoniche, portando ad un trend noto in Cina come “duplitecture”. Tra gli esempi di architettura imitativa vi sono una “Thames Town” a 40 minuti da Shanghai, una Parigi improvvisata con tanto di Torre Eiffel nella periferia di Hangzhou e un’imitazione dell’hotel Marina Bay Sands di Singapore a Chongqing. Esiste persino una replica della Casa Bianca nella provincia di Jiangsu. Nel 2020 il governo ha però posto un freno alle imitazioni architettoniche con lo scopo di promuovere il design locale. Pechino ha vietato alle nuove strutture pubbliche di “plagiare, imitare e copiare” il design, spiegando che gli edifici “rivelano la cultura di una città”.

“L’arte inizia nell’imitazione e finisce nell’innovazione”, recita uno dei noti aforismi dello statunitense Mason Cooley. L’imitazione è anche servita come strategia per sopperire al divario economico con le potenze mondiali che la Cina ha dovuto fronteggiare a partire dalla fine degli anni settanta, con l’apertura al mercato internazionale lanciata da Deng Xiaoping. L’imitazione del passato ha ceduto il passo a una strategia creativa che fonde idee globali con aspirazioni nazionali, dando vita a nuove e autentiche espressioni.