Sabato 4 luglio si è concluso il Far East Film Festival, l’annuale rassegna di cinema asiatico che solitamente ha luogo a Udine ma che, a causa del Covid-19, quest’anno si è tenuta su una piattaforma online. A vincere quest’edizione è stato il film cinese di Derek Tsang, “Better Days”. Nonostante il titolo in inglese sembri avere un’accezione positiva, poiché ci fa sperare in “giorni migliori”, ciò su cui la pellicola vuole mettere l’accento è l’oggi, un oggi che appare tutt’altro che roseo. La storia della giovane Chen Nian, una studentessa liceale prossima a sostenere il gaokao – lo spartiacque nella vita accademica e lavorativa di milioni di cinesi – ci trascina infatti nel dramma del bullismo in Cina.
Contestualmente, il 28 giugno il media governativo cinese Xinhua ha annunciato che la bozza della Legge per la Protezione dei Minori sarebbe stata discussa durante la ventesima sessione del Comitato Permanente della tredicesima Assemblea Nazionale del Popolo. Nella bozza, tra le altre cose, viene sottolineata l’importanza da parte delle scuole “di non celare nessun serio atto di bullismo, ma di riportarlo prontamente alle autorità di sicurezza pubblica e istruzione, e di cooperare con gli uffici relativi per gestirlo secondo la legge”.
Sebbene non ci sia causalità tra questi due elementi, è possibile affermare che ci sia tuttavia una correlazione. La pellicola e la proposta di legge sono senza dubbio la cartina al tornasole di un problema rilevante anche nel contesto cinese. Tuttavia, gli studiosi non sono d’accordo sulla portata di tale fenomeno. Una parte di loro, infatti, sostiene che in una cultura incentrata sulla collettività come quella cinese gli atti di bullismo siano meno frequenti che altrove, in particolare rispetto agli Stati Uniti, dove la cultura è prettamente individualista.
Nonostante gli aspetti di valenza culturale abbiano una loro rilevanza, e pur considerando la situazione in Cina migliore di altre, non è difficile immaginare come il bullismo possa avere un impatto concreto e alienante per una buona parte degli studenti cinesi. A tal proposito, uno studio del 2015 di PLoS ONE afferma che la principale causa di morte dei giovani tra i 15 e i 34 anni di età in Cina sia il suicidio. Uno studio del 2019 di BMC Psychiatry ha invece dimostrato l’associazione tra atti di bullismo, cyber-bullismo e il suicidio in Cina. Appare chiaro, dunque, che anche se il fenomeno fosse poco diffuso, la sua gravità non sarebbe opinabile.
L’opera di Derek Tsang mette in risalto anche un aspetto particolare della questione in Cina: la mancanza dei genitori. La madre di Chen Nian infatti non vive con lei e la ragazza è lasciata sola ad affrontare le violenze delle compagne. È anche lei una dei “left-behind” della società cinese, dove spesso i genitori sono costretti a trovare lavoro lontano da casa e a lasciare i figli senza alcun affidamento. A questo riguardo, il disegno di legge sopra citato afferma che i genitori di questi ragazzi debbano contattare i minori almeno una volta al mese per venire a conoscenza della loro vita, dei loro studi e delle loro condizioni psicologiche. Anche questo aspetto sembra aggiungersi e aggravare la loro situazione, al punto da richiedere l’intervento dello stato a difenderli.
“Better Days”, innestando la realtà nel prodotto cinematografico, sembra evocare un’ansia generalizzata che viene forse non sempre ascoltata. Il fatto che il governo cinese stia prendendo misure a riguardo può far pensare, da una parte, che il problema ottenga finalmente l’attenzione richiesta, ma dall’altra, che la situazione sia più seria di come ce la si immagini. Nonostante si possa sperare che tali misure abbiano presto dei riscontri concreti, forse bisognerà ancora attendere del tempo prima che tutti i giovani cinesi abbiano davvero “giorni migliori”.
Di Eva Mazzeo*
*Studentessa di Relazioni Internazionali e di cinese all’Università di Torino e al SOAS di Londra