Arricchirsi è etico

In by Gabriele Battaglia

Il fondatore di Alibaba, leader nell’e-commerce in Cina, dal 2010 sostiene le piccole-medie imprese cinesi. Raccoglie dati su di loro e si rende garante presso le banche, sempre meno disposte a rischiare i propri capitali. Il prossimo passo? Erogare direttamente prestiti alle pmi. Risolvendo diversi problemi al Pcc.  Il volto del salvatore della Patria, in Cina, ha oggi i tratti di Jack Ma, fondatore e amministratore delegato di Alibaba.com, leader di mercato nell’e-commerce. Nel recente summit-happening della compagnia, Ma ha esplicitamente dichiarato che, visto che le banche non lo fanno, sarà lui a concedere prestiti alle piccole imprese cinesi attraverso un’apposita piattaforma di microcredito online.

Perchè una notizia tutto sommato circoscritta è così importante? Perchè il credito alle pmi, che generano il 60 per cento del Pil, è uno dei maggiori problemi che la struttura industriale cinese si trova attualmente ad affrontare.

Un problema che diventa immediatamente politico e genera disordine in una delicata fase di transizione. E infine perché la stessa entrata in campo di Jack Ma promette di avere conseguenze economiche e politiche enormi, dischiudere nuovi scenari. Alibaba di nome e di fatto: apriti Sesamo.

Se volessimo un’istantanea del biennio 2011-2012 punteremmo senz’altro l’obiettivo sulla crisi della piccola-media imprenditoria. Epicentro Wenzhou, città simbolo dei “padroncini” e delle piccole manifatture (nonché luogo d’origine di quasi tutti i cinesi in Italia), ragioni molteplici: prima di tutto il crollo degli ordini di merci da Occidente, poi il generale aumento del costo del lavoro , la necessità di rinnovare gli impianti in base a nuovi standard di sicurezza e sostenibilità ambientale, le continue tasse imposte dai governi locali.

Infine, vero colpo da KO, la stretta del credito, cioè meno liquidità a disposizione per far fronte alle bizze del mercato. Ai nostri occhi occidentali il credit crunch cinese apparirà sorprendente, visto che mezza Europa attende speranzosa denaro in arrivo sulla via della Seta. Ma esiste e le sue cause sono ben precise.

La prima è politica. Nel 2011 il governo di Pechino ha imposto alle banche, che controlla, di concedere meno prestiti. L’ha fatto per evitare che l’eccesso di denaro in circolazione creasse bolle speculative, prima tra tutte quella immobiliare, che aveva già portato i prezzi delle case allo zenit generando ulteriore instabilità. Ma la misura, decisa per colpire i palazzinari, ha di fatto inferto un colpo mortale anche ai fabbricanti di occhiali, di tostapane, di bambole.

I banchieri di Stato, che hanno dovuto aumentare la propria riserva obbligatoria (cioè il denaro immobilizzato nei forzieri), hanno quindi stornato il credito residuo verso le imprese pubbliche, negandolo ai piccoli e dinamici padroncini. È questa la seconda causa, che definiremo culturale.

Il banchiere pubblico concede prestiti all’impresa di Stato perchè è tenuto a farlo. È suo obbligo politico. Se poi l’azienda in questione è improduttiva e il baraccone crolla, fa niente. È colpa di un altro funzionario, nella fattispecie il manager (anche lui) di Stato. Il banchiere ne esce pulito.

Ma se concede prestiti al piccolo imprenditore privato, si assume una responsabilità. La sua scelta è figlia di una sua valutazione. E se poi quell’impresa va male? Qualcuno glie ne chiederà “politicamente” conto. Potrebbe, apriti cielo, addirittura essere accusato di corruzione. Continuando a fare credito alle imprese statali si dormono invece sonni molto più tranquilli.

Infine c’è una ragione economica. Da qualche anno, il baricentro economico della Cina si sta spostando dall’export alla domanda interna. Questa trasformazione epocale significa concretamente – notizia di qualche giorno fa – che il Dragone esporta ormai più capitali (per comprare merci) di quanti ne importi (per lanciare le proprie imprese).

Sono finiti gli anni in cui gli investimenti stranieri finanziarono il decollo del Dragone per un buon 70 per cento. Meno soldi che arrivano da fuori, significa inevitabilmente meno liquidità a disposizione delle imprese.

Come si può leggere tra le righe, le tre cause sono riconducibili in ultima istanza a scelte politiche. E i piccoli imprenditori sono disorientati. Perchè il governo non ci aiuta? Perchè i funzionari si arricchiscono e i loro figli girano in Ferrari mentre noi stringiamo la cinghia? Una bomba a orologeria che rischia di spezzare il tacito accordo tra Partito e nuovi ceti emergenti alla base del sistema cinese di oggi: arricchirsi è glorioso, continuate a fare soldi e lasciateci governare. Ma quando c’è crisi, tutto rischia di saltare in aria.

Molti imprenditori si sono rivolti quindi al “credito ombra”, cioè ai prestiti illegali e a tassi altissimi degli usurai, con il risultato di non riuscire a ripagarli. Così, Wenzhou ha assistito tra la metà e la fine del 2011 a una catena di chiusure repentine, fughe all’estero di padroncini indebitati, suicidi.

Pechino ha cercato di porvi rimedio, rendendo proprio la città dello Zhejiang “zona sperimentale” aperta al credito privato. Ma tutt’ora non si capisce se il nuovo sistema stia effettivamente funzionando.

Ed ecco il nostro Jack Ma, con il suo colosso dell’e-commerce che, giusto per dare un’idea, vanta un fatturato superiore ad Amazon e sta ricomprando proprio in questi giorni dal partner Yahoo il 20 per cento delle proprie azioni per circa 7 miliardi di dollari.

Alibaba offre diversi servizi: Alibaba.com, Taobao.com e Tmall.com per lo shopping on-line; Aliyun è un servizio di cloud computing, Juhuasuan mette a disposizione le occasioni quotidiane; eTao è un motore di ricerca per i prodotti.

Il gruppo ha già trascorsi nel microcredito. Dopo avere partecipato alla fondazione della sezione cinese della Greemen Bank di Muhammad Yunus nel 2009, Jack Ma ha lanciato nel 2010 una piattaforma online, Ali-loan, che veicola prestiti bancari ai piccoli imprenditori che fanno parte del proprio database, garantendo per loro.

È un circolo virtuoso: businessmen e semplici “customer” vendono le proprie merci attraverso i diversi siti del gruppo, Alibaba raccogli così dati sulle loro performance e la loro affidabilità, gli stessi dati sono poi la garanzia per ottenere prestiti dalle banche.

Ora, almeno dalle dichiarazioni di Ma, sembrerebbe che il gruppo diventerà direttamente erogatore di prestiti, federandosi con Ma Huateng, fondatore e AD di Tencent Holdings (grande impresa internet), e con le assicurazioni Ping An.

Un colosso, certo, ma anche bella assunzione di rischio, dato l’estremo ricambio delle piccole imprese cinesi. Il tycoon di Alibaba è un benefattore? Non necessariamente, e questo lo lascia intendere lui stesso: “Fare soldi è etico – ha dichiarato nel corso dell’AliFest 2012 – e un business che non fa soldi è sprecato. […] Noi facciamo soldi perché vogliamo servire sempre più persone in futuro”.

Tradotto: Allargamento smisurato della clientela e dati, montagne di dati, su venditori, compratori, merci, tendenze di mercato.

Ancora più interessanti sono le conseguenze economiche e politiche su larga scala. L’ingresso di un player muscolare come Alibaba nel mondo finora bloccato del credito costringerà inevitabilmente le banche a fare i conti con la concorrenza. Il sistema del credito cinese diventerà più trasparente e più aperto? Quante posizioni di rendita, quanti piccoli feudi collasseranno? E poi c’è quella montagna di dati accumulati. Chi vi avrà accesso?

Al momento, anche i media ufficiali commentano favorevolmente. Dove lo trovi un altro signor “ghe pensi mi” così capace di togliere le castagne dal fuoco al Partito?

[foto credits: bloomberg.com]

*Gabriele Battaglia e’ stato corrispondente da Pechino per "PeaceReporter" ed "E-il mensile". Ha cominciato come web-giornalista e si e’ misurato poi con diversi media e piattaforme. In una vita precedente, e’ stato redattore di Virgilio.it e collaboratore di un certo numero di testate sui piu’ disparati temi: dalla cultura alla divulgazione scientifica, passando dai trattori e dalle fotogallery su Britney Spears. E’ autore, con Claudia Pozzoli, del webdocumentario "Inside Beijing". Oltre che la Cina e l’Oriente in genere, gli piace l’Artico, sia per interesse giornalistico sia per il clima. Non ha ne’ l’automobile ne’ la Tv e ogni tanto si fa male cadendo in bicicletta. Vive tra Pechino e Milano.