La polizia della regione autonoma cinese dello Xinjiang comunica che è in corso un giro di vite contro “persone che promuovono la jihad online”, riportano i media di Stato. La notizia arriva nel bel mezzo della campagna contro “le indiscrezioni su internet”, estesa a tutta la Cina, che ha già portato all’arresto di alcuni blogger. L’enorme Xinjiang – la sua superficie corrisponde a oltre cinque “Italie” – è la regione più occidentale della Cina, collocata sul percorso dell’antica Via della Seta, geograficamente (e in buona parte anche culturalmente) già Asia centrale. Da decenni è teatro di una difficile integrazione tra la popolazione locale degli uiguri – una popolazione turcofona, oggi minoranza etnica in Cina – e gli han, i cinesi dell’etnia maggioritaria (oltre il 90 per cento della popolazione totale del Paese).
Entrambi i gruppi si attestano oggi circa sul 40 per cento della popolazione dell’area e da quelle parti si passa velocemente dal “melting pot” al “conflitto etnico”, come testimonia la rivolta di Urumqi del luglio 2009 e successivi “incidenti” con morti e feriti. In Occidente se ne parla meno che del Tibet, anche perché allo Xinjiang manca una “pop star” come il Dalai Lama.
Molti uiguri, che in genere sono musulmani, accusano lo Stato cinese di reprimere la propria cultura e religione. Ma il problema appare soprattutto sociale: per tante ragioni – non ultima quella relativa alla lingua – i xinjianesi “originari” hanno minori opportunità rispetto agli han, che calano sempre più numerosi sulla regione autonoma a caccia di fortuna.
Da parte sua, Pechino non nasconde le sue intenzioni di fare dell’area un futuro hub economico e tecnologico per riattivare l’antica Via della Seta e sviluppare sempre più i rapporti con i Paesi dell’Asia centrale. Ma le opportunità che discendono da questo grande progetto, a causa della diseguaglianza nelle condizioni di partenza, rischiano di essere ridistribuite in maniera diseguale tra chi vive in quel territorio, fomentando il rancore degli svantaggiati.
Alcuni uiguri si battono quindi per uno Stato musulmano autonomo e il Movimento Islamico del Turkestan Orientale – antico nome dell’area, poi ripreso da una repubblica separata da Pechino ma controllata di fatto dai sovietici tra il 1944 e il 1949 – è stato iscritto nella lista dei gruppi terroristici globali all’indomani dell’attacco alle torri gemelle di New York nel settembre 2001.
Questa la storia in pillole. Oggi la notizia ci dice che la polizia sta indagando 256 persone per la diffusione di “voci destabilizzanti” online, riporta il Quotidiano dello Xinjiang. Si dice che, di queste, 139 diffondevano messaggi sulla jihad, la guerra santa musulmana, “o altre idee religiose”. A ora, gli arresti sarebbero più di 100.
“I nostri uffici di pubblica sicurezza stanno attuando un energico giro di vite contro chi svolge attività illegali online”, scrive il giornale. “Lo Xinijang non può permettere che Internet diventi una piattaforma per la criminalità”.
Il giornale non specifica l’etnia degli arrestati – uiguri, han o magari hui, islamici di religione ma cinesi di origine (per semplificare all’estremo) – anche se parlando di jihad è quasi inevitabile giungere alle conclusioni.
Già dal suo inizio, la campagna contro le indiscrezioni online è stata denunciata da molti attivisti per i diritti civili come nuovo coniglio estratto dal cilindro di Pechino per fare piazza pulita delle critiche all’operato delle autorità.
Il South China Morning Post di Hong Kong riporta le parole di Dilxat Raxit, portavoce dell’organizzazione di esuli World Uygur Congress, secondo cui la campagna del governo si proporrebbe di impedire agli uiguri di accedere a informazioni su internet.
“Chi è stato arrestato esprimeva la propria insoddisfazione per il dominio della Cina sulla propria terra e per la sistematica repressione”, ha detto Raxit .
Il Quotidiano dello Xinjiang scrive invece che alcuni degli arrestati avrebbero girato e postato video, oppure aperto gruppi “su un sito di messaggistica istantanea”, per diffondere idee religiose militanti, mentre un contadino della prefettura di Hotan è stato arrestato per avere caricato del materiale che secondo le autorità conterrebbe “contenuti separatisti”, reato per la legge cinese.
[Scritto per Lettera43; foto credits: cloudfront.net]