Il giurista cinese Xu Zhangrun è stato prelevato da casa sua lunedì, dove era già ai domiciliari e senza possibilità di collegarsi a internet, a seguito di un breve saggio molto critico nei confronti della leadership cinese nella gestione dell’emergenza coronavirus.
Si tratta dell’ennesimo arresto di un intellettuale (cui vanno aggiunti attivisti e lavoratori) voluto da Xi Jinping e va a colpire un eminente studioso della Tsinghua University, una delle più prestigiose del paese, quella dove si forma la classe dirigente che guida la Cina. Secondo amici del professore, Xu sarebbe stato prelevato dalla polizia insieme a computer e altro materiale trovato in casa; stando alle prime parziali informazioni Xu sarebbe accusato di reati collegati a un presunto giro di prostituzione.
UNA SCUSA, come tante volte è capitato di vedere in Cina, per zittire una voce critica la cui posizione, però, aveva portato a una notevole diffusione dei suoi scritti. Prima del saggio sul Covid, infatti, Xu aveva scritto un articolo nel quale aveva attaccato lo strapotere di Xi Jinping e la sua volontà a smantellare quel sistema di guida collegiale del partito che lasciava, quanto meno, spazio anche ad altre posizioni all’interno del Pcc.
LA DECISIONE DI XI di rompere con il passato e rimuovere il limite del doppio mandato per il ruolo di presidente della repubblica e di segretario del partito ne è un esempio. L’articolo relativo al coronavirus, come altri precedenti, era stato tradotto in inglese e reso disponibile su Chinafile, grazie al lavoro del sinologo Geremie R. Barné.
Nell’intervento, dal titolo «Allarme virale, quando la rabbia supera la paura», Xu scriveva che «Questo focolaio virale, che è stato esacerbato dal comportamento dei detentori del potere e trasformato in una calamità nazionale, è forse più pericoloso della stessa guerra totale. Tutto è coinvolto nella lotta: il tessuto etico della nazione, la sua politica, la nostra società, nonché l’economia. Lasciatemelo dire ancora: la situazione è ancora più pericolosa della guerra totale, perché sta lasciando la nazione aperta a una sorta di devastazione che persino gli invasori stranieri non sono riusciti a effettuare in passato. Gli antichi lo dicevano bene: “Solo i ladri nutriti in casa possono davvero spogliare una patria”. Sebbene gli americani stiano probabilmente cercando di minare la nostra economia, Xi Jinping li sta battendo qui a casa!».
CRITICHE che si ritrovano anche nei diari di Fang Fang, scrittrice di Wuhan divenuta ormai celebre in tutto il mondo ma ormai etichettata in patria come una sorta di «traditrice» della Cina. Nel «Sogno cinese» di Xi non c’è spazio per questo genere di critiche, tanto più in un momento nel quale il controllo ideologico su scuole e università è concepito dalla leadership come un ambito di battaglia politica senza nessuno sconto.
In precedenza Xu aveva criticato Xi proprio per la sua opera di accentramento di cariche e di silenziamento di ogni voce critica, specie se confrontato con il periodo precedente, ovvero la decade dal 2002 al 2012, durante la quale ci furono operazioni imponenti di arresti nei confronti di dissidenti, ma furono permesse critiche o suggerimenti provenienti dagli ambienti accademici.
Nei giorni dell’approvazione e delle prime attuazioni della legge sulla sicurezza nazionale l’arresto di Xu è anche un monito per chi volesse intraprendere rischiose critiche alla leadership del paese.
Come spesso accade in Cina questi arresti sono segnali dedicati a chi ancora non ha trovato il coraggio di porsi pubblicamente contro Xi. Come dice un proverbio cinese, Xi ha ammazzato il pollo per spaventare le scimmie.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.