Lotta alla corruzione e riforma della struttura politica. Il presidente uscente cinese Hu Jintao ha aperto così a Pechino il 18° congresso del Partito Comunista cinese (Pcc), con un discorso agli oltre 2000 delegati. E’ la fine di un’era e l’inizio di una nuova decade.
“Se non affrontiamo il problema della corruzione – ha detto Hu Jintao parlando nella sala dell’Assemblea del Popolo su piazza Tian’anmen, addobbata con bandiere rosse e un’enorme falce e martello – essa potrebbe provocare una crisi del Partito e anche un crollo dello Stato”. Per questo secondo il presidente: “La riforma della struttura politica è una parte importante delle riforme generali e dobbiamo prendere iniziative positive e prudenti in questa direzione”, ha aggiunto Hu.
Nel congresso, che si concluderà domani, Hu Jintao lascerà il posto di segretario del Partito al suo successore designato Xi Jinping, che in marzo assumerà anche la carica di presidente della Repubblica popolare. Il processo di successione che vedrà salire al potere una nuova generazione di dirigenti politici cinesi è stato lungo e difficile.
Nei mesi scorsi il Partito è stato scosso dallo scandalo di Bo Xilai, l’ambizioso leader della metropoli di Chongqing, che verrà processato per corruzione e abuso di potere. In mancanza di un meccanismo istituzionale di successione, un ruolo di primo piano nel disegnare il nuovo gruppo dirigente è stato giocato dagli “anziani” del Partito, e in particolare dall’ex-presidente Jiang Zemin, di 86 anni, che sembra abbia imposto la promozione nel Comitato Permanente dell’Ufficio Politico (Cpup), il vero cuore del potere cinese, di molti dei suoi alleati.
Il nuovo Cpup verrà presentato al pubblico tra una settimana, a conclusione del congresso. Oltre a Li Keqiang, che è già nel Cpup e dovrebbe essere il prossimo premier, in sostituzione di Wen Jiabao, dovrebbero essere eletti tra gli altri il vice-premier Wang Qishan, il capo del dipartimento di propaganda Li Yunshan e il responsabile dell’organizzazione Li Yuanchao, tutti considerati uomini di Jiang Zemin.
Il diciottesimo congresso è storico perché segna il passaggio dalla quarta alla quinta generazione di leader e porterà la Cina dopo dieci anni di sviluppo economico a fare i conti con i nodi del proprio modello. Per capirne adeguatamente bene l’importanza, è necessario precisare alcuni riti e caratteristiche del Congresso.
Innanzitutto si tratta del congresso del Partito Comunista più grande al mondo e si svolge ogni cinque anni. In linea teorica è l’organo decisionale più elevato del Partito, ma in pratica tutte le decisioni importanti vengono prese prima che il Congresso si riunisca. Negli ultimi vent’anni è stato il luogo dove si sono formalizzati – almeno a livello simbolico – i nomi che poi avrebbero preso le redini del governo della Repubblica popolare cinese.
Quest’anno il Congresso è stato preceduto da lotte interne, che per la prima volta hanno dimostrato pubblicamente la spaccatura esistente all’interno del Partito, solitamente considerato un monolite. L’espulsione di Bo Xilai, potente leader di Chongqing, ha portato alla luce divisioni interne più complesse di quanto fossimo abituati a vedere.
Se tradizionalmente si è letta la storia interna del partito come una sfida tra i principini, i figli della generazione che ha fatto la Rivoluzione, e i tuanpai, gli appartenenti alla Lega dei Giovani Comunisti, oggi si può affermare che questa divisione risulta anacronistica. C’è una nuova sinistra che riecheggia nostalgie maoiste, c’è la potente cricca di Shanghai, guidata dal vecchio Jiang Zemin, ci sono i liberali che si appoggiamo a Wen Jiabao, gli statalisti che vivono di rendita sui grandi profitti delle industrie statali.
I recenti scandali, inoltre, che hanno rivelato gli imperi economici delle famiglie di Xi Jinping, futuro Presidente e Wen Jiabao, attuale premier, dimostrano come i legami all’interno del partito seguano accordi solidaristici e famigliari, che fanno capo ormai a piramidi economico- finanziarie di difficile comprensione.
Le ultime voci danno in vantaggio l’ala più conservatrice del partito, con la possibilità che l’Ufficio Politico del Comitato Centrale, il vero cuore politico della Cina, possa essere composto da sette membri anziché i consueti nove. Il Congresso, oltre a nominare i suoi futuri leader, provvede anche ad eventuali cambi del proprio statuto.
Nelle settimane precedenti – a seguito dell’incontro del Plenum pre Congresso – si è parlato insistentemente della possibilità che il pensiero di Mao Zedong venga escluso tra i pilastri dello statuto, mentre appare scontato l’inserimento della teoria del “processo scientifico del socialismo con caratteristiche cinesi”, che segnerebbe un colpo storico del suo artefice, l’attuale Presidente Hu Jintao, che stando alle ultime voci dovrebbe anche essere confermato alla guida delle forze armate.
Al di là delle nomine, però, quello che aspetta la Cina è un importante periodo di ripensamento del proprio modello economico. A questo proposito un altro scontro appare certo e i destini sono legati a doppio filo con le nomine di chi gestirà il paese. In un’economia che rallenta, seppure a ritmi impensabili in Occidente, il 7,4 per cento, la Cina deve infatti ripensare al proprio modello economico, basato fino ad ora su incentivi statali e proiettato sull’esportazione.
La crisi europea e americana ha messo in dubbio questo modello, rendendo indispensabile una riforma a livello economico. Ed eccoci allo scontro: c’è ormai una divisione netta, nella trasversalità dei legami politici, tra chi continua a sostenere l’importanza dell’intervento dello stato nell’economia, attraverso il supporto alle grandi aziende statali e chi invece chiede una liberalizzazione e una fine dei monopoli, capace di scatenare una vera e propria economia di mercato. Da questa sfida dipenderanno i destini cinesi e anche quelli europei e americani.
Le conseguenze del ricambio politico in Cina, infine, toccano un altro punto importante che ci riguarda: ovvero la stabilità sociale del Dragone. Il decennio che si chiude è stato un periodo di progresso economico, ma di pochi passi in termini di ampliamento delle libertà individuali dei cinesi.
Anzi Hu Jintao e compagnia, hanno tenuto sotto controllo il paese, dando fiato ad un‘ondata di repressione nel 2011 che non si ricordava dal tristemente noto 1989. Xi Jinping e la quinta generazione di leader hanno un compito importante: creare un equilibrio tra Partito e cittadini, perché la Cina non scoppi. La tenuta del paese è fondamentale non solo per i cinesi, ma per l’economia globale. Compito dei nuovi governanti rinnovare il patto sociale con i cittadini. E in questo caso, qualche apertura in senso più democratico potrebbe giovare.