Possedere una portaerei è sempre stato uno dei sogni strategici per generazioni di militari cinesi. Sin dal 1974 dopo uno scontro con i vietnamiti per il controllo delle isole Paracel, chiamate Xisha in mandarino. Non stupisce che l’attenzione della stampa si concentri quindi sul varo della Varyag, acquistata 10 anni fa dall’Ucraina e salpata il 10 agosto per la prima volta dal porto nordorientale di Dalian. Ma in molti attendevano l’appuntamento già il primo agosto, data di fondazione dell’Esercito popolare di liberazione. Una traversata, ha scritto il South China Morning Post, che non mancherà di irritare Vietnam e Filippine, i due principali Paesi coinvolti assieme alla Cina in una trentennale disputa territoriale per il controllo di un tratto del mar Cinese Meridionale i cui fondali sono ricchi di risorse energetiche. UN VALORE SIMBOLICO.
«Siamo una potenza marittima e abbiamo bisogno di mezzi consoni alla nostra forza, come già gli Stati Uniti e l’impero britannico», ha detto al quotidiano di Hong Kong, il professor Ni Lexiong, esperto di diritto marittimo, convinto che il valore simbolico dell’ex portaerei sovietica superi di gran lungo il valore pratico. Al momento, fanno sapere da Pechino, limitato solo alla ricerca scientifica, all’esplorazione e all’addestramento in mare.
D’altra parte, ha sottolineato il Beijing Daily, voce ufficiale del Partito nella capitale, dei cinque componenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite soltanto la Cina non era ancora dotata di una portaerei. Ma ora che potrà contare sui 300 metri della Veryag, ha assicurato l’agenzia Xinhua, non cambierà la sua politica che è e resterà soltanto “difensiva”.
La mala gestione della Città Proibita
Per un simbolo del Paese che si affaccia sui mari, un altro, sulla terraferma, sembra andare in disgrazia. Il settimanale d’inchiesta Caixin dedica copertina e ampio spazio a quella che definisce la mala gestione della Città Proibita.
Gli episodi preoccupanti si susseguono, nonostante l’antico palazzo imperiale rappresenti una delle principali attrazioni turistiche del Paese, capace l’anno scorso di fruttare 590 milioni di yuan (59 milioni di euro). L’8 maggio, in spregio alle misure di sicurezza e alle telecamere, un ladro riuscì a infrangere una teca e rubare alcuni gioielli in mostra, provenienti dal museo Liangyi di Hong Kong. Il 30 luglio si ruppe invece una porcellana di epoca Song (960-1279 d. C.).
Notizia che ha immediatamente invaso i microblog del Paese di mezzo. Senza contare, nota ancora il settimanale, le fallimentari campagne di disinfestazione contro le termiti. C’è infine il problema della ristrutturazione iniziata nel 2002, con un finanziamento da 1,9 miliardi di yuan, e che andrà avanti fino al 2020, cercando di trovare un’armonia tra struttura e materiali e di preservare l’autenticità del monumento.
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