Quando, a novembre, il parlamento si riunirà per dare l’incarico, lo scenario più plausibile è quello di un governo di minoranza. Tra elezioni americane e il potenziale ritorno di Donald Trump, il tempismo dell’inedita instabilità giapponese potrebbe non essere dei migliori
Il 27 settembre, era convinto che la parte difficile fosse passata e che finalmente sarebbe stato il suo momento. Il 27 ottobre, ha scoperto che il meglio potrebbe essere già alle spalle. Esattamente un mese dopo aver vinto a sorpresa il voto interno per la leadership del Partito liberaldemocratico (Pld), Shigeru Ishiba ha rimediato una sconfitta clamorosa alle elezioni legislative. Dopo lunghi anni di grigia stabilità, il Giappone ha mostrato desiderio di cambiamento. Il partito conservatore, che ha governato per 65 degli ultimi 69 anni, ha perso 56 seggi alla camera bassa del parlamento. Per raggiungere le 233 poltrone necessarie alla maggioranza assoluta non basta nemmeno la stampella del Komeito, partito di ispirazione buddista e consolidato partner di coalizione.
Per governare c’è bisogno di rinforzi. La prima ipotesi è quella del reintegro di una decina di epurati per lo scandalo dei finanziamenti, causa primaria della débacle alle urne. D’altronde, nei giorni scorsi è emerso che il Pld ha continuato ad aiutare la loro campagna elettorale, prova finale del senso di inattaccabilità coltivato dai vertici del partito. Episodi che hanno inchiodato anche Ishiba, incapace di scrollarsi di dosso il passato e debole sin dall’inizio per l’auto sabotaggio dell’ala ultranazionalista del partito, delusa per la sconfitta di misura alle primarie di Sanae Takaichi.
Nonostante il curriculum da outsider interno e critico del sistema di potere dell’ex potentissimo premier Shinzo Abe, la sensazione di molti elettori è che alla fine anche Ishiba sia “come tutti gli altri”. Per governare, il traballante premier dovrà comunque andare oltre al turarsi il naso di fronte ai compagni di partito un tempo criticati. Il problema è che praticamente tutti i partiti dell’opposizione sembrano sin qui chiudere le porte. Ishiba avrebbe bisogno di fare concessioni sostanziose sul programma di governo, autonomia che però non ha visto che l’esito delle urne lo pone già sulla graticola di chi vorrebbe sostituirlo.
Dall’altra parte, gongola Yoshihiko Noda, ex premier e vecchio volpone che già in passato era riuscito a scardinare temporaneamente il dominio del Pld. Spinto da un ampio programma di misure sociali e di sostegno al reddito, il suo Partito costituzionale democratico ha conquistato 50 seggi in più della precedente legislatura, ma difficilmente sarà in grado di unire le tante anime di una opposizione che va dal Partito comunista alla destra radicale. Quando, a novembre, il parlamento si riunirà per dare l’incarico, lo scenario più plausibile è allora quello di un governo di minoranza. L’esecutivo potrebbe restare in piedi soprattutto per approvare il bilancio suppletivo prima di Natale e, forse, quello dell’anno fiscale 2025 in aprile. Una sorta di purgatorio a tempo per Ishiba, le cui chance di restare in sella a medio lungo termine sembrano quasi inesistenti. C’è chi si accontenta del record di 73 seggi al femminile su 465, vale a dire il 16%. Peccato che il target sbandierato a suo tempo fosse il 35%.
La fase di grande incertezza avrà ovvie ripercussioni sulla politica interna. Sul fronte economico ci si può aspettare una sostanziale stabilità, nonostante i giovani chiedano misure per contrastare l’aumento del costo della vita. Per quanto riguarda le riforme, pare tramontare la chiacchieratissima ipotesi della revisione della costituzione pacifista per favorire il riarmo. La discontinuità maggiore potrebbe arrivare sul fronte internazionale, dove le incognite interne potrebbero erodere la recente stabile e assertiva postura del Giappone al fianco degli Stati uniti. Anche qualora Ishiba fosse confermato premier, sarebbe di fatto un’anatra zoppa sin dall’inizio. Non una grande notizia per Washington, abituata a contare sull’azione proattiva di Tokyo nel rafforzamento del suo sistema di alleanze e nella costruzione di una rete di sicurezza interamente asiatica, con pensiero esplicito alla Corea del nord e alla Russia ma (più o meno) implicito alla Cina. Osservano con qualche preoccupazione anche i vicini asiatici. Tra elezioni americane e il potenziale ritorno di Donald Trump, il tempismo dell’inedita instabilità giapponese potrebbe non essere dei migliori.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.