Seguendo il corso del fiume Amur verso Oriente, poco dopo il punto in cui affluisce il Songhua, si staglia all’orizzonte un mastodontico viadotto ferroviario. 7.194 metri di ponte uniscono oggi Nižneleninskoe sulla sponda russa con Tongjiang su quella cinese. Quando negli anni ’90 si iniziò a parlare di questo progetto infrastrutturale, l’idea venne presto accantonata. D’altronde, quelli erano ancora gli anni in cui la Repubblica popolare cinese tornava nell’immaginario collettivo russo sotto forma di “pericolo giallo”. Tempi ormai immemorabili. Solo all’inizio dello scorso decennio si decise di rivalutare il progetto, per poi portarlo a termine nell’agosto del 2021. E così, proprio su quel confine testimone di innumerevoli episodi spiacevoli, sorge oggi la rappresentazione fisica dell’evoluzione positiva dei rapporti bilaterali tra Mosca e Pechino.
Russia e Cina oggi “sono determinate a trasformare il proprio confine in una cintura di eterna sicurezza ed amicizia da tramandare di generazione in generazione”. Così si legge in una dichiarazione congiunta rilasciata lo scorso giugno. Tuttavia, la stabilità del confine orientale con la Cina è qualcosa di ormai assodato per il Cremlino. Frontiera comune a parte, dunque, è un’altra concatenazione di fattori sia interni che esterni a spingere la Federazione a voltarsi ad Oriente. Prima su tutte la spinta strutturale. Con il progressivo deterioramento dei rapporti tra Mosca e l’Occidente, la Russia si è trovata costretta a guardare altrove. Ed è proprio l’Asia, o meglio la Cina, il luogo in cui il Cremlino ha trovato terreno fertile. Sottratta del suo ruolo di superpotenza con il crollo dell’Unione sovietica e afflitta da un profondo senso di inferiorità, la Russia oggi trova nel proprio vicino orientale il partner ideale per provare a cambiare le carte in tavola. La Cina è infatti percepita come un compagno che non solo condivide le sofferenze derivanti dall’egemonia statunitense, ma anche un diverso assetto mondiale, che si allontana dal sistema liberale a trazione americana.
Sebbene il regime russo e quello cinese si presentino sotto forme ben diverse, è indubbio che entrambi condividano una linea non prettamente democratica. Quando l’Occidente si apre alla Russia, lo fa mettendo dei paletti dettati dai propri valori liberali. Quando, invece, è la Cina ad interloquire con i russi, questo non accade. La Federazione è dunque naturalmente più propensa a dialogare con qualcuno che non le ricordi continuamente di Naval’nyj, della censura dei media o delle restrizioni sulla libertà d’espressione. A completare il tutto vi è una particolare inclinazione personale da parte di Putin verso il presidente cinese. Dall’inizio del 2013 ad oggi sono stati ben 38 i colloqui a livello presidenziale. D’altra parte, però, la questione personale rappresenta solo la cornice di un quadro più ampio. Se e quando si dovesse avverare un cambio di leadership da entrambi le parti, la Russia non metterebbe sicuramente un punto a questo partenariato dall’oggi al domani. PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO OTTIENE IL NOSTRO ULTIMO MINI EBOOK
Di Camilla Gironi