Cannoni ad acqua della guardia costiera di Pechino verso le navi di Manila su acque contese. Anche Marcos Junior dopo l’invasione russa dell’Ucraina ha rafforzato i legami con Washington. Si alza il rischio di incidenti nella regione
Il relitto di una nave della Seconda guerra mondiale, un atollo, cannoni ad acqua. Sono gli ingredienti del pericoloso confronto tra Cina e Filippine, pronto a tramutarsi in alta tensione con gli Stati uniti. La nave in questione è la Sierra Madre, di fabbricazione statunitense, che Manila ha arenato volontariamente nei pressi di Second Thomas: una piccola secca all’interno dell’arcipelago delle Spratly, un centinaio di piccole isole rivendicate dalla Cina e da una serie di paesi del Sud-Est asiatico.
I resti dell’imbarcazione sono utilizzati dalle Filippine come un avamposto, presidiato da una dozzina di militari, per rafforzare le pretese di sovranità. Pechino ha chiesto di rimuovere la nave, che si trova lì dal 1999, ma Manila non si smuove e denuncia il blocco di varie missioni di rifornimento. L’ultima sabato scorso, quando la guardia costiera cinese ha sparato con cannoni ad acqua in direzione di due imbarcazioni filippine. “Azione illegale e pericolosa”, dice Manila. “Un semplice avvertimento in direzione di navi entrate illegalmente in acque cinesi”, sostiene Pechino.
L’ambasciatore cinese nel paese del Sud-Est asiatico è stato convocato per proteste, ma la crisi diplomatica si è allargata agli Stati uniti, che hanno preso le parti dell’ex colonia. Il dipartimento di stato di Washington ha riaffermato l’impegno a rispettare gli “obblighi del trattato di mutua difesa”. Anche Australia, Giappone e Germania si sono espresse a favore di Manila, dove peraltro è stata in visita la scorsa settimana la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, aprendo a un possibile trattato di libero scambio.
Il ministero della Difesa cinese ha intimato agli Stati uniti di “non entrare in questioni in cui non è coinvolta per seminare discordia”. Ma tra gli attori asiatici non c’è nessun accordo su come gestire la situazione. La Cina non riconosce il pronunciamento del tribunale dell’Aia, che nel 2016 si è espresso contro la sua rivendicazione di sovranità su circa il 90% del mar Cinese Meridionale. E finora non si è mai riusciti a stipulare un agognato codice di condotta regionale.
Le tensioni sono aumentate molto negli ultimi mesi, uno degli effetti collaterali della guerra in Ucraina. Come già accaduto per Giappone e Corea del sud, anche le Filippine hanno reagito all’invasione russa rafforzando i rapporti con gli Stati uniti. Pechino dava per scontato che ciò accadesse con Tokyo e Seul, ma è stata sorpresa dall’inversione a u operata da Ferdinand Marcos Junior.
Appena salito al potere nel giugno 2022, il figlio del dittatore filippino ha rivoluzionato la postura filocinese del predecessore Rodrigo Duterte, che tre settimane fa è stato peraltro ricevuto da Xi Jinping a Pechino e che durante la sua presidenza aveva prefigurato la possibile interruzione di alcuni accordi militari con Washington. E invece, prima si sono svolte le esercitazioni congiunte più vaste di sempre con gli Usa, poi Manila ha aperto all’esercito americano 4 nuove basi militari nella parte settentrionale dell’arcipelago, quella più vicina a Taiwan. Non è tutto. Nella prima visita di questo tipo, Kamala Harris è stata a Palawan, la provincia che si affaccia sulle acque contese con Pechino. E Marcos, completamente riabilitato nonostante il passato della sua dinastia, è stato ricevuto alla Casa bianca. Pechino ha risposto aumentando le manovre militari nella regione. Prima dei cannoni d’acqua, a febbraio erano stati puntati dei laser sulle navi filippine.
Più sottotraccia, dinamiche non così diverse si stanno verificando sul Vietnam. E mentre si attendono nuove tensioni su Taiwan per l’imminente passaggio negli Usa del vicepresidente Lai Ching-te, c’è chi ritiene che i pericoli maggiori di un incidente non voluto tra le due superpotenze si corrano proprio nel mar Cinese meridionale. Dove, se possibile, le regole del gioco sono ancora meno chiare rispetto a quelle dello Stretto.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.