Il Guangdong, l’hub economico-industriale della Cina, è continuamente scosso da scioperi e proteste per la terra. E le autorità si pongono domande strutturali sulla gestione e risoluzione dei conflitti. Wukan è un pallido ricordo: fino a quando la stabilità non sarà supportata dalla legge, non durerà. (UPDATED) 29 giugno 2012 – Update
Un lavoratore migrante di 31 anni è stato arrestato perché avrebbe diffuso online commenti "incendiari" sulla violenta protesta avvenuta negli scorsi giorni a Shaxi. Gli scontri hanno visto lavoratori migranti provenienti da tutte le grandi città del Guangdong e della vicina regione del Sichuan convogliare nel piccolo distretto di Zhongshan a seguito dell’arresto del figlio di uno di loro. Nella città, messa a ferro e fuoco nei giorni scorsi, si dice sia tornata una calma tesa. Secondo alcune fonti i locali stanno indossando una fascia rossa per permettere alla polizia di riconoscerli dai migranti. Il numero di feriti, morti e l’ammontare dei danni non è ancora stato reso noto dalle autorità.
28 giugno 2012 – La notizia e l’analisi
In cerca di stabilità. Così titolava la scorsa settimana il settimanale d’inchiesta Caixin, denunciando che diversi funzionari dell’amministrazione della ricca provincia meridionale del Guangdong avevano lamentato l’assenza di fondi per placare le sempre più numerose proteste della regione.
Le ultime sono in corso. Martedì, prima dell’alba, centinaia di poliziotti armati si sono scontrati con la folla radunatasi a Zuotan, un distretto della città di Foshan. Il bilancio della rivolta sono alcuni feriti e macchine della polizia ribaltate. Migliaia di manifestanti volevano discutere con il segretario di Partito del villaggio la svendita della terra comune agli sviluppatori immobiliari.
Contemporaneamente, a Shaxi distretto della città di Zhongshan a meno di cento chilometri di distanza, altri 60, 300 o alcune migliaia di manifestanti. I numeri dei partecipanti alle manifestazioni in Cina non sono mai troppo chiari e qui quello che si sa è che i lavoratori migranti sono continuati ad arrivare dalle vicine città come Guangzhou, Foshan, Jiangmen e come da tutta la regione del Sichuan.
Il bilancio è tragico: almeno cento i feriti, forse alcune persone morte, un centinaio di arresti; almeno due veicoli della polizia distrutti, molte le macchine ribaltate, le vetrine dei negozi fracassate e le fermate degli autobus distrutte. La stazione Zhongshan Fuhua è stata incendiata e ha bruciato per poco meno di ventiquattr’ore. Sembra che anche il palazzo comunale non abbia attraversato indenne gli scontri.
La tensione qui è diversa, corre sul filo della dialettica tra locali e lavoratori migranti. Anche lo scorso giugno lavoratori della stessa regione avevano dato fuoco agli uffici e alle macchine del vicino (per la Cina, a 150 km circa) governo locale di Zengcheng, guadagnandosi i titoli sui giornali di tutto il mondo.
Le attuali rivolte di Zhongshan pare siano state scatenate dall‘arresto di un quattordicenne figlio di lavoratori migranti di Chongqing. Avrebbe picchiato un compagno che l’avrebbe ricattato. Lunedì, a seguito dell’incidente, 30 coppie di genitori sarebbero andate a protestare, ma nella notte il numero sarebbe salito a 300 e quindi sarebbero iniziati gli scontri con la polizia.
I media di Hong Kong, più liberi, parlano di alcune migliaia di persone, in buona parte lavoratori migranti che condividevano con il ragazzo arrestato la regione d’origine, che avrebbero preso parte agli scontri. Anche su Weibo, il twitter cinese, si parla di uno scontro tra migliaia di manifestanti e centinaia di agenti.
Le autorità locali hanno comunque diffuso comunicati in cui si invita la popolazione a stare a casa e a non recarsi nei luoghi degli scontri che a tutt’oggi risulterebbero chiusi.
Eppure nella regione del Guangdong, ci si sarebbe aspettati una dialettica diversa con le autorità. L’anno scorso, il segretario di Partito e astro nascente della politica cinese Wang Yang, era riuscito a gestire la rivolta del villaggio di Wukan in maniera egregia professando un nuovo credo tra i quadri di partito cinesi: i conflitti vanno risolti secondo la legge ed è compito del governo (in questo caso locale) ridurre la possibilità di tensioni con i locali quando i suoi progetti vanno ad interferire con la loro quotidianità.
Una posizione che aveva stupito e che aveva fatto credere a molti che in Cina fosse arrivato il tempo della democrazia.
Ancora il 30 maggio, a meno di un anno di distanza da queste affermazioni, Zhu Mingguo, un alto funzionario della stessa regione, ha annunciato di aver cambiato i regolamenti in merito al mantenimento dell’ordine pubblico. Da quando sovraintende all’ufficio che gestisce polizia, procuratori e tribunali, il governo locale – dice – non è stato più passivo nella gestione dei conflitti.
Anzi, le nuove linee guida, seppure un po’ vaghe, recitano che bisogna passare dal controllo degli “incidenti” di gruppo al controllo degli incidenti individuali; dalla gestione orientata all’annientamento a quella orientata ai servizi; da un controllo caso per caso a uno più sistematico.
Negli ultimi anni il Guangdong ha fatto fronte a un numero sempre crescente di conflitti. Le stime ufficiali indicano circa 1800 proteste l’anno, con picchi di quattromila, nonostante gli abitanti del Guangdong (forse proprio grazie all’elevato benessere economico) siano stati tra i primi a raggiungere una certa consapevolezza dei propri diritti e a costruire organizzazioni sociali mature.
Il caso di Wukan ha fatto scuola. Le rivolte – nate dal sospetto che alcuni quadri di partito avessero venduto ettari di terra comune a una società di costruzioni e amplificate dalla morte nelle mani della polizia di uno dei leader della protesta – avevano avuto il risultato di una vittoria totale della cittadinanza con le elezioni che hanno campeggiato sulle prime pagine di tutto il mondo.
Nel dicembre scorso centinaia di migranti erano scesi in strada in Guangzhou per reclamare mesi di paga mai ricevuta. Alcuni avevano anche un cartello: pagatemi il salario! La polizia, come si trattasse di una qualsiasi manifestazione in un qualsiasi paese occidentale, invece di disperderli aveva deviato il traffico.
Non era stato così in passato. Nei già citati incidenti del giugno scorso a Zencheng, la miccia delle proteste era stata accesa dall’aggressione fisica di un poliziotto a una venditrice ambulante incinta. A quel punto il governo locale aveva inviato migliaia di poliziotti armati di pistole e gas lacrimogeni per controllare la folla.
Ma con un numero sempre crescente di lavoratori in sciopero e proteste per la terra, oggi la polizia non ha più le risorse per mantenere l’ordine in questo modo. Si è provato a percorrere quindi un cammino più sociale.
Nell’agosto 2011 il comitato regionale ha provato diverse strategie tra cui anche un comitato che dovrebbe garantire più servizi sociali. Nel 2011, ha addirittura iniziato un indagine che avrebbe dovuto determinare l’origine dei conflitti sociali nella regione.
Ma, come in tutta la Cina, la sfida più importante è mantenere la stabilità sociale, costi quel che costi. E ancora una volta il caso di Wukan insegna a non lasciarsi ingannare. Lo stesso articolo di Caixin denuncia che in quel caso – unico ad oggi – i contratti di vendita a privati di terreni pubblici sono stati stracciati solo per calmare la rivolta.
L’avvocato di un’azienda immobiliare avrebbe infatti sottolineato il fatto che il governo locale ha trasgredito la legge recidendo il contratto e restituendo la terra ai locali.
Di fatto, è la prova di quello che sono sempre di più a sostenere: se la stabilità non è supportata dalla legge, non dura. Per la Cina il momento di intraprendere riforme giuridiche e politiche non è più procrastinabile.