Al Qaeda e la Cina

In by Simone

Gli incidenti avvenuti nello Xinjiang negli scorsi giorni sembrano assumere un  risvolto ben più ampio e di carattere internazionale, non solo per le eventuali responsabilità di organizzazioni estere che il governo di Pechino ritiene essere dietro gli scontri di Urumqi, ma per l’entrata in scena di Al Qaeda.
Nei giorni successivi ai disordini sono apparse su alcuni siti web legati a questa organizzazione e all’ Islam Maghreb, milizia islamica originariamente conosciuta con il nome di Gruppo salafista per la predicazione e il combattimento operante in Algeria, minacce rivolte alla comunità cinese residente all’estero, in particolare in Algeria ed Arabia Saudita, ed i toni non lasciano spazio a fraintendimenti: “tagliategli le teste a casa e sul posto di lavoro perché capiscano che è ora di smetterla di ridurre in schiavitù i musulmani”.

In realtà la Cina già da tempo ha legato il movimento separatista uiguro al gruppo di Al Qaeda, ma è la prima volta che l’organizzazione islamica reagisce apertamente a quella che definiscono una politica di repressione della minoranza musulmana. E le minacce non sembrano un semplice proclama considerando che lo scorso giugno un convoglio di forze di sicurezza algerino che scortava un gruppo di lavoratori cinesi verso il posto di lavoro è stato preso d’assalto causando la morte di 24 poliziotti. La preoccupazione di Pechino è quindi molto alta, non tanto per la possibilità che Al Qaeda organizzi azioni in territorio cinese – eventualità che, almeno per adesso, è da escludere visti i massicci controlli delle forze di sicurezza cinesi – ma piuttosto per i rischi che gli enormi interessi cinesi nei paesi musulmani corrono. Un pericolo molto serio per la Cina che intrattiene con questi paesi rapporti economici fondamentali.

A dar voce a questo timore, in un tentativo di riconciliazione con il mondo islamico, è stato il portavoce del Ministero per gli Affari Esteri Qin Gang (秦刚)che ha espresso “il desiderio che il mondo islamico e i fratelli musulmani possano comprendere la realtà degli incidenti di Urumqi del 5 luglio”, così da avere la capacità di “capire e sostenere la politica etnica e religiosa del governo cinese, e le misure da noi adottate per risolvere la questione”.

La faccenda è alquanto spinosa se si tiene conto anche delle forti condanne espresse da alleati strategici come l’Iran e la Turchia, la quale ha dichiarato di approfittare del suo posto temporaneo nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu per fare pressione sul governo di Pechino, e le diverse manifestazione di protesta avvenute negli scorsi giorni in molti paesi musulmani.

Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Con l’entrata in scena di Al Qaeda il governo cinese ha un ulteriore possibilità di far valere le ragioni della propria politica nello Xinjiang. L’eventuale legame con le organizzazioni islamiche internazionali offre a Pechino l’opportunità di trovare il sostegno della comunità internazionale che unanimemente si trova impegnata nella lotta al terrorismo musulmano.