Al Giappone di Abe il rilancio nucleare del Pentagono piace

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Tokyo esprime «massimo apprezzamento» per la nuova dottrina Usa che punta a rafforzare l’arsenale nucleare e apre all’uso di mini-atomiche. La svolta turba il Paese, da sempre alfiere del disarmo. E a Washington guardano con apprensione alle enormi riserve nipponiche di plutonio


Forse è stata una svista. Una frase sfuggita e regalata troppo in fretta alla stampa. Fatto sta che il ministro degli Esteri giapponese Taro Kono ha espresso il suo «apprezzamento» per la Nuclear Posture Review approvata dalla Casa Bianca a inizio febbraio, in cui l’amministrazione Trump rivendica il diritto alla deterrenza e all’uso — seppur limitato, in caso la deterrenza fallisse — di armi nucleari. Anche in risposta ad attacchi non nucleari.

“Il panorama della sicurezza internazionale è molto cambiato rispetto al 2010 (anno dell’ultima Npr, ndr)” si legge nel documento di sintesi diffuso dal Dipartimento della Difesa. “Le capacità nucleari americane non possono prevenire tutti i conflitti e non ci si deve aspettare da loro un tale effetto. Tuttavia, contribuiscono in modo unico alla deterrenza di atti di aggressione nucleare e non. Sono essenziali per questi scopi e lo saranno anche nel prossimo futuro”. E per rispondere alle “nuove minacce”, costituite in primis dagli “avversari Russia e Cina” oltre che dalla Corea del Nord, gli Stati Uniti si preparano ad ampliare e rinnovare l’arsenale, sviluppando armi atomiche con una potenza ridotta da utilizzare, se necessario, anche nei “teatri di guerra locali”.

Forse cosciente delle critiche a cui sarebbe andato incontro, Kono ha tenuto a precisare che «deterrenza nucleare e disarmo non si escludono a vicenda». Questa precisazione però non è bastata. Anzi, ha attirato nuove critiche.

L’Asahi Shimbun, secondo quotidiano più diffuso nel Paese, in un editoriale ha attaccato il governo accusandolo di aver “venduto l’anima” del Giappone. “Per sua stessa natura — si legge nell’articolo — la Npr va contro la corrente del disarmo nucleare”.

“Uno studio del ministero degli Esteri quattro anni fa — continua l’editoriale — aveva stimato che in una città contemporanea di circa un milione di abitanti, circa 270mila persone morirebbero se una bomba dello stesso tipo di quella di Hiroshima esplodesse. Una bomba a idrogeno ucciderebbe circa 830mila persone».

“Il Giappone — prosegue ancora l’articolo — conosce molto bene quanto siano disumane le armi nucleari e ha il dovere di guidare il mondo verso il disarmo”.

Nel 1967, in linea con la propria costituzione pacifista, il Giappone ha adottato — anche se mai formalizzati in una legge — i tre principi non nucleari: non possesso, non produzione e non introduzione di armi nucleari sul territorio nazionale.

I tre principi non nucleari sono diventati fondamento della politica estera non aggressiva di Tokyo e sono stati ribaditi nel tempo dai capi di governo che si sono susseguiti, in particolare in occasione delle giornate del ricordo delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. In occasione della visita di Barack Obama a Hiroshima del 2016, Shinzo Abe e l’allora presidente americano avevano dichiarato il proprio intento a realizzare un mondo senza armi nucleari.

A distanza di poco meno di due anni, Tokyo sembra essersi adeguata al nuovo corso americano, mantenendo però una costante: l’accumulo di plutonio.

A metà gennaio, il governo giapponese e il governo statunitense hanno trovato un accordo per prolungare automaticamente la validità di un trattato di cooperazione nucleare tra i due Paesi. Il patto permette al Giappone di produrre plutonio, elemento usato negli ordigni nucleari ricavato dalla combustione dell’uranio usato nella maggioranza dei reattori nucleari. Proprio per il suo potenziale bellico, la produzione del plutonio è limitata e osservata da alcuni enti sovranazionali.

Negli anni, il Giappone ha accumulato circa 47 tonnellate di plutonio stoccate dentro e fuori i confini nazionali. Dal disastro di Fukushima del 2011 e dal conseguente spegnimento degli oltre 50 reattori nucleari del Paese la quantità di plutonio stoccata è aumentata. Secondo quanto riporta il Nikkei, primo quotidiano economico giapponese, a oggi le scorte sarebbero sufficienti a costruire 6mila testate atomiche. Tutto ciò all’estero — e secondo il Nikkei nella stessa amministrazione americana — suscita preoccupazione. Ma l’attuale crisi nordcoreana impone a Tokyo e Washington di fare fronte comune.

Il governo giapponese, infatti, per bocca del ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria Hiroshige Seko, difende il patto come fondamentale per i rapporti bilaterali con gli Usa e aggiunge che con la riattivazione di nuove centrali lo stock è destinato a diminuire. Ma le cose — per i controlli severi dell’autorità sugli standard nucleari nata dopo Fukushima — potrebbero non essere così semplici e, in assenza di un vero piano di utilizzo del plutonio, i tempi di smaltimento molto lunghi.

di Marco Zappa

[Pubblicato su Eastwest]