G20

Al G20 prove di dialogo Usa-Cina. Il dossier più spinoso resta Taiwan

In Cina, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

G20: Sabato l’incontro tra Antony Blinken e Wang Yi. Per il il capo della diplomazia americana «sulla guerra in Ucraina non si può più essere neutrali quando c’è un chiaro aggressore». Pechino presenta una lista di errori e una proposta di cooperazione in otto settori

La durata non è tutto, ma è già un buon inizio. L’incontro tra Antony Blinken e Wang Yi al termine del summit dei ministri degli Esteri del G20 a Bali è stato lungo ben cinque ore. Era il primo faccia a faccia dallo scorso ottobre. Al di là dei contenuti, si tratta già di un segnale. Se poi il dialogo porterà risultati concreti è tutto da vedere, ma la notizia è che un dialogo è tornato a esistere.

Diversi i messaggi veicolati dai due governi. Più assertivo il comunicato americano, più positivo quello cinese. Ma se è vero che il diavolo sta nei dettagli, in questo caso tra le righe della retorica di Pechino riaffiora Donald Trump: «Wang Yi ha osservato che le relazioni tra Cina e Stati Uniti non sono ancora uscite dalle difficoltà causate dalla precedente amministrazione statunitense, e che anzi si trovano ad affrontare sfide sempre più impegnative», recita l’inizio del readout made in China. Il riferimento alla presidenza Trump come colpevole della crisi attuale è un segnale che va colto, anche perché si somma a una serie di commenti simili apparsi negli ultimi giorni sui media di stato cinesi.

È sempre Pechino a far sapere che il segretario di Stato americano e il ministro degli Esteri cinese hanno concordato sulla necessità di migliorare le relazioni dopo che il confronto «franco e approfondito» ha «contribuito alla comprensione» tra le due parti e a «ridurre equivoci e interpretazioni errate». Gli fa eco Blinken: «Nonostante la complessità del nostro rapporto, le nostre delegazioni hanno trovato le discussioni di oggi utili, schiette e costruttive», ha affermato. «Il rapporto tra Usa e Cina è altamente consequenziale per i nostri paesi ma anche per il mondo. Ci impegniamo a gestire questo rapporto, questa competizione, in modo responsabile». Wang dice di aver presentato una lista per migliorare le relazioni composta da 4 punti: l’elenco degli errori da fermare, i casi che devono essere risolti, gli atti politici americani che preoccupano la Cina e una proposta di cooperazione in otto settori.

Come ovvio, non mancano i punti di attrito. Blinken ha esplicitamente chiesto alla Cina di condannare la Russia: «Sulla guerra in Ucraina non si può più essere neutrali quando c’è un chiaro aggressore» ha detto il capo della diplomazia Usa, sottolineando che a suo parere la Cina non agisce in modo equidistante. Difficile, se non impossibile, che ciò accada. Pechino non ha mai abbandonato la retorica anti Nato e anti americana sul conflitto, pur senza fornire diretto sostegno all’invasione di Vladimir Putin. Appare già significativo che nel comunicato cinese la Russia non venga mai citata e che si dica en passant che i due diplomatici si sono «scambiati opinioni sull’Ucraina e la penisola coreana». Resta il riferimento alla «mentalità da guerra fredda» che Washington «dovrebbe abbandonare», ma slegato dall’allineamento soprattutto retorico con Mosca.

Il dossier più spinoso resta sempre quello di Taiwan, sul quale il massimo risultato raggiungibile dalle due potenze è quello di essere d’accordo sull’essere in disaccordo riportando però la contesa sui traballanti binari dello status quo. Blinken dice di aver espresso «profonde preoccupazioni riguardo all’attività sempre più provocatoria di Pechino nei confronti di Taiwan». Wang ha invece sollecitato gli Usa a smettere di «ostacolare la riunificazione pacifica» e ha ribadito la posizione «rigida» della Cina: «L’America deve essere cauta con le sue parole e azioni» e non deve «sottovalutare la ferma determinazione del popolo cinese a difendere la propria sovranità territoriale». Il solito armamentario retorico di Pechino sul tema. Nel comunicato cinese si legge anche che Blinken ha garantito che l’obiettivo degli Usa non è quello di cambiare lo status quo sullo stretto di Taiwan, né di cercare un regime change nella Repubblica Popolare, lo spauracchio agitato più volte dal predecessore Mike Pompeo.

Chiosa sulla necessità di rivedere sanzioni e tariffe, argomento su cui Blinken è stato più schivo. Il dialogo però è partito e potrebbe presto sfociare in una nuova telefonata tra Biden e Xi Jinping. Nel frattempo, il presidente americano ha parlato col premier giapponese Fumio Kishida per esprimere le sue condoglianze per la morte di Shinzo Abe e per ribadire il sostegno alla sua visione dell’Indo-Pacifico.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il manifesto]