Due iniziative uguali e contrarie: le statue coperte ai Musei Capitolini e la protesta di Ai Weiwei che ritira due esposizioni in Danimarca. In mezzo, la confusione dei cosiddetti «valori occidentali» e l’arte come espressione della lotta politica. Un intervento di Francesca Berneri su China Files.In questi giorni il mondo dell’arte è scosso da due sparizioni uguali e contrarie: da un lato la copertura delle statue ai Musei Capitolini per la visita del presidente iraniano Hassan Rouhani – che, per inciso, non aveva affatto chiesto un simile trattamento -, dall’altro il ritiro da parte di Ai Weiwei di due sue esposizioni in Danimarca, rispettivamente «A New Dynasty – Created in China» dal Museo d’Arte di Aarhus e «Ruptures» dalla Faurschou Foundation di Copenhagen. Il motivo di questa decisione, come sempre quando si tratta di Ai Weiwei, è politico: in seguito alla decisione del governo danese di sequestrare i beni dei profughi e di ritardarne il ricongiungimento familiare, l’artista cinese ha scelto di uscire dal sistema museale e culturale di quella nazione.
Qualche mese fa Ai aveva già avuto qualche attrito in terra danese, nello specifico con Lego: il noto brand di mattoncini si era infatti rifiutato di fornire all’artista il materiale necessario per realizzare ritratti di attivisti e dissidenti, poiché non voleva che il suo prodotto venisse utilizzato per fini politici. Ai Weiwei aveva però sottolineato come proprio in quel periodo Lego fosse in trattativa per aprire un parco di divertimenti a Shanghai, e quindi come le motivazioni dell’azienda fossero in realtà più economiche che ideali.
La protesta aveva raggiunto il culmine con la foto, pubblicata sul profilo Instagram dell’artista, dei famosi mattoncini nella tazza del wc. In seguito alla risonanza della vicenda, la Lego aveva poi diramato un comunicato in cui sottolineava che chiunque è libero di richiedere ed utilizzare i mattoncini come meglio ritiene.
Una foto pubblicata da Ai Weiwei su Instagram il 14 settembre 2015.
Business is business, in entrambi i casi – prima la Lego, poi il governo danese -, e poco importa se il mondo dell’arte e della cultura insorge.
Lo stesso deve aver pensato il funzionario che ha deciso di inscatolare i reperti classici dei Musei Capitolini per la visita di Rouhani: un investimento di 17 miliardi di euro val bene qualche statua, si sarà detto questo Enrico IV di provincia. A Roma come a Copenhagen, si è preferito mettere da parte i valori universali che sono alla base della cultura europea e occidentale per cercare di trarre qualche profitto – irrisorio nel caso danese, indipendente dalle discutibili scelte di cerimoniale in quello italiano.
Sembra che Ai Weiwei si sia trovato a incarnare non tanto questi valori, ma un più comune buon senso, sabotando un governo che ha rinunciato a quegli ideali «tipicamente occidentali» di cui un tempo non molto lontano era il baluardo.
Se infatti ultimamente l’Occidente sembra aver dimenticato il suo spirito, quello spirito di cui solo chi ha conosciuto il rigore di regimi marcatamente non-occidentali oggi sembra capire l’importanza, il gesto di Ai Weiwei non vuole esserne un richiamo, o almeno non era quello l’intento originario; è più probabile che l’artista volesse semplicemente segnalare che il sequestro di qualche zaino – quando va bene – non è la chiave per risolvere un’emergenza di proporzioni simili; ma, soprattutto considerando i suoi trascorsi, può anche darsi che volesse soltanto ricordarci di restare umani.
*Francesca Berneri è nata il 23/03/1990; nel 2013 ha svolto attività di ricerca alla Beijing Language and Culture University, nel 2014 si è laureata in Relazioni Internazionali all’Università di Pavia, nel 2015 si è diplomata allo IUSS con una tesi sull’arte contemporanea cinese e, nello stesso anno, ha lavorato per l’internazionalizzazione e l’ufficio stampa con Confindustria.