FOCAC 2024

Africa rossa – FOCAC 2024: verso un futuro condiviso

In Africa Rossa, Relazioni Internazionali by Alessandra Colarizi

Com’è andato il 9° forum Cina-Africa (FOCAC 2024)? Quali i temi discussi? Quali gli obiettivi stabiliti? Ma soprattutto: in cosa consisterà “il futuro condiviso nella nuova era” di cui ha parlato Xi Jinping? Di questo e molto altro nella nuova puntata di Africa rossa, la rubrica a cura di Alessandra Colarizi.

  • FOCAC 2024: Verso un futuro condiviso
  • Il piano d’azione
  • Dalle parole ai fatti
  • I prestiti cinesi tornano a crescere
  • Notizie sparse

“Dopo quasi 70 anni di duro lavoro, le relazioni Cina-Africa sono nel periodo migliore della storia”. Poi passa a snocciolare i numeri il presidente cinese Xi Jinping, arringando i cinquanta leader giunti questa settimana a Pechino per il nono Forum Cina-Africa: nei prossimi tre anni il gigante asiatico fornirà al continente 360 miliardi di yuan (50,6 miliardi di dollari) di supporto finanziario tra linee di credito (210 miliardi di yuan), investimenti da parte di aziende (almeno 70 miliardi) e 80 miliardi di yuan in “varie forme di assistenza”. Il tutto distribuito in un piano d’azione in dieci punti, che spazia dalla cooperazione agricola alla sicurezza. Con la promessa di creare “almeno un milione di nuovi posti di lavoro”.

“Unire le forze per promuovere la modernizzazione e costruire una comunità Cina-Africa di alto livello con un futuro condiviso“: il tema del forum – definito dai media cinesi “il più grande evento diplomatico ospitato dalla Cina negli ultimi anni” – è una chiara dichiarazione d’intenti. 

L’impegno finanziario torna su livelli sostenuti. L’importo stanziato dimostra come ci sia l’intenzione di continuare a investire nel continente, nonostante le difficoltà finanziarie, i pericoli legati alla sicurezza nonché l’instabilità politica di molti Stati africani: i 50 miliardi di dollari di quest’anno sono meno dei 60 miliardi del FOCAC 2018 ma più dei 40 miliardi dell’edizione del 2021, compromessa dalla pandemia. A fronte del calo registrato dal 2016 in poi, i prestiti al continente dovrebbero – secondo proiezioni del Nikkei – aggirarsi sui 10 miliardi di dollari annui, grossomodo quanto erogato ai tempi d’oro della Belt and Road Initiative.

Come da attese, cambia tuttavia la lista delle priorità. Xi ha citato innanzitutto il settore agricolo e industriale, da cui beneficeranno più direttamente le popolazioni locali. Le infrastrutture, pietra angolare del business model cinese negli ultimi venti anni, scivolano un gradino sotto, diventando esplicitamente non il fine bensì il mezzo per supportare la circolazione di merci e materie prime nel continente. Obiettivo ribadito con l’annuncio dell’eliminazione delle tariffe per le importazioni da 33 paesi meno sviluppati. 

Sul cambio di passo pesano le considerazioni sul debito africano e l’insostenibilità economica dei vecchi progetti infrastrutturali, permeabili alla corruzione dilagante nelle capitali africane. Ma è difficile non notare una sovrapposizione tra il piano d’azione e l’agenda nazionale di Pechino: l’enfasi attribuita alla tecnologia digitale e allo “sviluppo verde” acquista sfumature strategiche se interpretata alla luce delle tensioni tra la Cina e l’occidente su chip, veicoli elettrici e pannelli solari. Secondo i dati del Ministero del Commercio, nel 2023, le esportazioni cinesi verso il continente di veicoli a nuova energia, batterie al litio e prodotti fotovoltaici sono aumentate rispettivamente del 291%, del 109% e del 57% su base annua.

Per Pechino, d’altro canto, contenere il problema dei debiti africani non è solo una questioni di numeri e bilanci: il rapporto con i governi locali deve davvero cambiare se la Cina vuole diventare un modello per il Sud globale, confutando “il mito che la modernizzazione equivale a occidentalizzazione”. Come la Cina maoista ai tempi delle guerre di liberazione dal colonialismo, la Cina di Xi attribuisce all’Africa sempre più un valore (geo)politico.

“La modernizzazione è un diritto inalienabile di tutti i paesi. Ma l’approccio occidentale ha inflitto immense sofferenze ai paesi in via di sviluppo”, ha dichiarato il presidente cinese annunciando che le relazioni col continente verranno elevate al rango di “comunità sino-africana per tutte le stagioni con un futuro condiviso nella nuova era”. Nel caso del Sud Africa si parla addirittura di “all-round strategic cooperative partnership for a new era”, linguaggio che ricorda velatamente la terminologia utilizzata da Pechino per descrivere ufficialmente l’“amicizia senza limiti” con la Russia. Nella “comunità sino-africana dal futuro condiviso” non c’è però posto per tutti: le porte del forum restano sprangate per Eswatini, l’unico Stato africano a riconoscere ancora Taiwan.

IL PIANO D’AZIONE

Cosa ci dice il piano d’azione cinese? Innanzitutto che il valore politico del continente ormai rivaleggia – o forse persino supera – quello economico. Va notato infatti come al punto uno Pechino si dica pronto a “migliorare le accademie della leadership africane per coltivare talenti” e a invitare “1.000 membri di partiti politici africani in Cina per approfondire gli scambi di esperienze nella governance di partito e Stato”. Al punto due compare l’impegno a promuovere gli scambi commerciali rimuovendo le tariffe per 33 paesi, seguito al punto tre da un passaggio sulla cooperazione tecnologica e digitale per far crescere le pmi africane. Dobbiamo arrivare al punto quattro per trovare un primo riferimento alla costruzione di infrastrutture: “La Cina è pronta a realizzare 30 progetti di connettività infrastrutturale in Africa, e promuovere insieme una cooperazione Belt and Road di alta qualità”. Anche quando si parla di infrastrutture l’attenzione è posta sui risvolti commerciali, come si intuisce dal riferimento allo sviluppo dell’African Continental Free Trade, l’Area di libero scambio continentale africana.  Secondo l’Africa Development Bank, il continente soffre un deficit infrastrutturale di oltre 130 miliardi di dollari l’anno che, se lasciato incolmato, renderà difficile centrare gli obiettivi economici stabiliti nonché migliorare l’accesso all’elettricità per i 600 milioni di africani ancora senza. 

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Punto nove: “La Cina è pronta a lanciare 30 progetti di energia pulita in Africa”, a creare un ”forum Cina-Africa sull’uso pacifico della tecnologia nucleare”, e a istituire “30 laboratori congiunti per collaborare al telerilevamento satellitare e all’esplorazione lunare e dello spazio profondo”. Come dicevamo, gli interessi personali di Pechino paiono ancora pesare notevolmente sul nuovo indirizzo delle relazioni sino-africane. Ma i riferimenti alle cosiddette “nuove forze produttive di qualità” ricordano come da tempo la Cina aspiri, se non a esportare in toto il proprio modello di sviluppo, quantomeno a replicare gli esperimenti meglio riusciti in patria per permettere al Sud globale di emanciparsi.  

Ultimo, ma non meno importante, il punto dieci: dedicato al “partenariato per la sicurezza comune”. Nel quadro della Global Security Initiative, Pechino darà al continente “1 miliardo di yuan di sovvenzioni in assistenza militare”, fornirà formazione a 6.000 militari e 1.000 ufficiali di polizia e delle forze dell’ordine e inviterà 500 giovani ufficiali militari africani a visitare la Cina. Le due parti condurranno esercitazioni militari congiunte, addestramento e pattugliamento”. Mentre la sicurezza ha fatto la sua comparsa in un piano d’azione fin dal FOCAC ministeriale del 2012, in realtà si è cominciato a parlare di “difesa” in senso proprio solo a partire dal 2018. Quest’anno è in assoluto la volta in cui il tema ha ottenuto più visibilità. Il fatto è che aumentano le morti violente di cittadini cinesi coinvolti in furti e attentati. Pechino deve fare qualcosa e per ora il metodo più semplice consiste nell’armare/addestrare i governi africani. 

DALLE PAROLE AI FATTI

Gli annunci di questa settimana sono un buon inizio, ma passare dalle parole ai fatti è tutt’altra cosa. Prima del forum Pechino ha rilasciato una serie di dati che dovrebbero confermare il successo delle politiche varate gli anni passati. Ma validare indipendentemente quei numeri non è cosa semplice e – al netto dell’entusiasmo dimostrato al forum dalla maggior parte dei leader africani – qualche lamentela per alcune promesse rimaste disattese si è fatta sentire. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, per esempio, ha ricordato come la bilancia commerciale del suo paese penda ancora a favore della Cina. Problema che in futuro rischia di intensificarsi se la Cina continuerà a spingere sull’export per tenere a regime la crescita nazionale (oltre la metà delle misure antidumping annunciate dal Sud Africa sono state dirette contro la seconda economia mondiale).

Per il momento Pechino può godersi il suo momento di gloria. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, tra gli invitati al FOCAC, ha detto ai leader africani giovedì che l’espansione dei legami con la Cina – lodata per “l’eradicazione della povertà” – servirà a “guidare la rivoluzione delle energie rinnovabili”.

Cosa pensa l’establishment africano è scritto a chiare lettere sulla stampa locale (il giornalista Andrea Spinelli Barrile ha qualche interessante consiglio di lettura). Per sapere invece cosa pensano della Cina gli africani in generale occorre rivolgersi ai sondaggi, sempre più frequenti e dettagliati. L’ultimo a cura della Ichikowitz Family Foundation di Johannesburg, che ha intervistato 5.604 persone di età compresa tra 18 e 24 anni provenienti da 16 nazioni africane, riporta un livello di approvazione dell’82% rispetto al 79% ottenuto dagli Usa. Le opinioni positive sono state quasi unanimi in Ruanda e Ciad (96% ciascuno), Kenya (95%) e Nigeria (93%), mentre i fattori principali alla base della percezione favorevoli includono l’accessibilità economica dei prodotti cinesi (41%) e gli investimenti cinesi nello sviluppo delle infrastrutture (40%)

Va inoltre ricordato come Pechino insista da anni sulla formazione, anche nell’ottica di consolidare i rapporti con la futura classe dirigente. Secondo le statistiche più recenti, quattro anni fa la Cina si attestava seconda dopo la Francia tra le principali destinazioni per l’istruzione superiore all’estero per gli studenti africani. Gli Stati Uniti erano al terzo posto. Stando al ministero dell’istruzione cinese, nel 2018 in Cina c’erano 81.562 studenti africani, di cui 6.385 risultavano iscritti a un dottorato di ricerca. Quell’anno, al FOCAC, Xi promise agli africani 50.000 borse di studio e un numero analogo di opportunità di formazione in tre anni.

I PRESTITI CINESI TORNANO A CRESCERE

Poco prima del FOCAC il Boston University Global Development Policy Center ha pubblicato un nuovo studio sui prestiti cinesi. Dai dati raccolti emerge che il 2023 è stato il primo anno in cui l’importo destinato all’Africa ha ricominciato a crescere dopo un calo che durava dal 2016. In tutto sono stati riportati 13 nuovi impegni di prestito per un valore cumulativo di 4,61 miliardi di dollari a otto paesi africani e due istituzioni finanziarie regionali. Al di là dei numeri, i ricercatori hanno notato alcune tendenze interessanti: oltre la metà del credito è stato erogato attraverso la mediazione di istituti bancari africani, fattore che dovrebbe ridurre i rischi e sollevare il creditore dalla responsabilità di decidere a chi devolvere i finanziamenti. Considerato però che i paesi che hanno beneficiato dei nuovi prestiti (Angola, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea, Madagascar, Nigeria e Uganda) non brillano per stabilità finanziaria, pare chiaro che i prestiti rispondo spesso a scelte diplomatiche e strategiche più che economiche. Ai microfoni di Bloomberg alcuni esperti hanno espresso preoccupazione per il modo in cui Cina e Africa stanno cercando di rinegoziare vecchi accordi con ancora meno trasparenza. Guterres ha definito la situazione dei finanziamenti nel continente “insostenibile e una ricetta per disordini sociali”. Altra cosa è però abbracciare la tesi della cosiddetta “trappola del debito”, smontata dagli analisti internazionali e contestata dagli stessi leader africani. Sul tema, rimasto sottotraccia nei primi giorni del FOCAC, si è espresso anche il governo cinese nella “Dichiarazione di Pechino” con un invito alle istituzioni finanziarie internazionali “a canalizzare più finanziamenti verso i paesi africani e gli altri paesi in via di sviluppo, a migliorare le procedure di approvazione per la fornitura di finanziamenti […] nonché a condividere equamente gli oneri per aiutare i paesi africani”. 

L’altra novità consiste in un ritorno ai prestiti energetici, bloccati nel 2021 contestualmente alla sospensione dei progetti a carbone all’estero: secondo la ricerca, lo scorso anno 501,98 milioni di dollari sono finiti nelle rinnovabili, soprattutto nel settore idroelettrico e solare. 

NOTIZIE SPARSE

Non solo calligrafia, kung fu e propaganda. Il nuovo Istituto Confucio dell’Università di Venda (Sud Africa) alterna l’insegnamento della lingua cinese alla fornitura di competenze sull’energia rinnovabile, in collaborazione con l’Università di tecnologia dello Hubei.

Da fine luglio a metà agosto, Cina, Tanzania e Mozambico hanno effettuato le esercitazioni congiunte  Peace Unity-202, nell’ambito delle operazioni militari antiterrorismo. Questa è la prima volta che l’Esercito Popolare di Liberazione ha inviato intere unità per condurre un’esercitazione nel continente con aerei da trasporto strategico del tipo Y-20, dimostrando le capacità di trasporto aereo a lunga distanza.

Gli Stati Uniti stanno preparando un pacchetto di assistenza economica e militare a favore del Gabon con l’obiettivo di impedire alla Cina di radicare la propria presenza militare in un paese strategicamente importante dell’Africa. Lo riferiscono fonti menzionate da Bloomberg, secondo cui l’accordo prevede un programma di addestramento per le forze speciali di Libreville e 5 milioni di dollari a sostegno della transizione democratica del paese. Secondo le indiscrezioni il pacchetto, non ancora definito, sarà presentato in occasione della visita negli Stati Uniti del presidente gabonese ad interim Brice Clotaire Oligui Nguema, tra la fine di settembre e l’inizio del prossimo mese di ottobre.

La conclusione di un accordo tra il Marocco e gli Stati Uniti per l’acquisizione dei sistemi missilistici Atacm (Army Tactical Missile System) rappresenta un significativo potenziamento per le Forze armate reali (Far) marocchine. Questa mossa non solo migliora la capacità di attacco a lungo raggio del Marocco, ma potrebbe anche “rimodellare la dinamica militare regionale”. Il contratto, del valore di 227 milioni di dollari, non ha rivelato il numero esatto di missili acquistati, ma segna una svolta importante per il Marocco, che storicamente è stato dipendente dalle armi di fabbricazione cinese.

A cura di Alessandra Colarizi

Per una panoramica d’insieme, in libreria trovate “Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro” (L’Asino d’Oro, 14,00 euro). Partendo dal racconto dei primi contatti nella storia, il testo cerca di restituire un’immagine a tutto tondo dei rapporti sino-africani, superando la dimensione puramente economica. Mentre la narrazione dei mass media ci bombarda quasi ogni giorno con le statistiche del debito africano e degli investimenti cinesi, “Africa rossa” cerca di riportare al centro della narrazione gli scambi politici e socio-culturali tra i rispettivi popoli.