Nel 2013 la “Guida delle ong in Cina” pubblicata dal centro di ricerca China Development Brief affermava che su 250 ong cinesi analizzate, 140 utilizzavano il termine advocacy nella descrizione delle attività svolte: ma cosa significa fare advocacy nella realtà cinese di oggi? Per alcune ong significa far rete per proporre un punto di vista indipendente da quello governativo.
Già nel 2006 il giornalista esperto di società civile Nick Young, in uno dei suoi report, si interrogava sul concetto di advocacy in Cina chiedendosi se i termini changdao e tichang potessero renderne il senso. In generale l’advocacy in occidente è un processo politico organizzato che si basa su uno sforzo comune dei cittadini al fine di cambiare politiche, pratiche, idee e valori che perpetuano ineguaglianza, pregiudizio ed esclusione, promuovendo un approccio dal basso. Sebbene il termine changdao sia il più utilizzato oggi e tichang sia in disuso, si è giunti alla conclusione che nessuno dei due possa essere considerato una valida traduzione di advocacy perché essi sono legati all’idea che ci sia una leadership delle autorità politiche, morali o religiose che prenda l’iniziativa, conseguentemente denota un approccio dall’alto. Proprio per questo motivo, il Prof. Deng Guosheng insiste sul fatto che in Cina solo i ricercatori famosi o le organizzazioni gongo sono nella posizione di poter fare attività di advocacy.
Sebbene nella Repubblica Popolare Cinese negli ultimi dieci anni si sia creato l’humus che ha permesso una maggiore libertà di proliferazione delle ong, la complessità dell’ambiente in cui si muovono si è amplificata, specialmente per quanto riguarda i rapporti con il governo che da una parte incoraggia all’azione, dall’altra mostra ostilità attraverso barriere burocratiche e divieti. Il governo, infatti, ha chiesto frequentemente l’aiuto delle forze sociali shehuililiang per fornire servizi e supporto sociali ma nello stesso tempo non ha mai realmente strutturato un framework di registrazione che permetta alle ong di essere riconosciute. La leadership del partito porta avanti l’idea di sviluppo basato sulla ricerca scientifica kexuefazhanguan, privo di dogmatismo ideologico, ma nello stesso tempo non si fa problemi ad ammonire pensatori o intellettuali che vanno fuori dalle linee di pensiero del partito ed è restio ad utilizzare preziose risorse che vengono dalle ong. Il governo cinese ha cercato diverse modalità per consultare l’opinione pubblica (basti pensare, per esempio, alle elezioni nei villaggi) ma allo stesso tempo fa di esse una modalità per rafforzare il controllo capillare e la trasparenza del governo a livello locale è spesso dubbia. Le autorità centrali e locali invitano le ong a partecipare nei sempre più numerosi servizi sociali attraverso appalti pubblici, ma poi gli stessi vengono attribuiti solo a organizzazioni gongo.
L’advocacy prende forma nelle società occidentali; queste ultime sono basate su sistemi politici e legali a sfondo antagonistico, mentre la storia politica e delle istituzioni cinesi insegnano che questa modalità è difficilmente applicabile per due motivi: il primo è che il governo cinese non vede di buon occhio forme organizzative che possano minare la sua autorità o la stabilità sociale promuovendo cambiamenti, il secondo è che di conseguenza la maggior parte delle ong cinesi mostra una tendenza a spostare l’obiettivo su un generico miglioramento della società cercando soluzioni pratiche in linea con il pensiero governativo. Capita anche che le ong ricoprano il ruolo di intermediari tra stato e società o partner del governo in progetti con svariate finalità, questo è forse il concetto che racchiude il termine changdao nel quale dao significa “guidare”, “condurre”: un’advocacy guidata dall’alto. Di solito l’attività di denuncia viene abdicata per lasciare spazio alla ricerca di soluzioni pratiche che possano trovare legittimità all’interno dell’ideologia dominante, come la società armoniosa hexieshehui o l’innovazione sociale shehuichangxin.
Nick Young sostiene che la Cina è uno specchio che riflette troppo spesso ciò che lo spettatore vuole vedere, quindi chi si propone di cercare la vera advocacy “all’occidentale” all’interno della Repubblica popolare certamente la troverà. Sebbene ci sia un fondo di verità, negli ultimi anni si sono sviluppati fenomeni che designano delle modalità nuove all’interno del panorama dell’advocacy delle ong cinesi. Alcuni fattori importanti hanno portato allo sviluppo di approcci diversi da parte delle ong: una maggiore consapevolezza dei diritti da parte dei cittadini, lo sviluppo dei media tradizionali e dei social media, il contatto sempre più frequente con i paesi occidentali. Una minoranza coraggiosa di ong o gruppi di ong ha rinunciato alla modalità changdao ingaggiandosi in un tipo di advocacy basato sui diritti, che parta dal basso e che conservi la propria autonomia di azione e pensiero. A questo proposito, esistono delle ong che dopo aver utilizzato metodi di basso profilo hanno deciso di cambiare strategia e rispondere attivamente ai problemi sociali, networks che sono nati con lo scopo di promuovere il concetto di advocacy e gruppi di ong che si uniscono per fare pressione sul governo.
Nella “Guida delle ong in Cina” del 2013 si è potuto osservare che sempre più ong tendono a inserire l’advocacy non solo come una delle attività svolte ma come fulcro del loro lavoro. Alcune organizzazioni si identificano con la loro attività di advocacy, come ad esempio Yirenping, un centro anti-discriminazione e per i pari diritti sul lavoro. Questa ha diversi uffici sparsi per tutto il territorio cinese e ha persino avuto un ruolo centrale in alcune celebri cause, come quella sullo scandalo del latte nel 2008. Oltre a Yirenping altre ong come Justice for All e Equity and Justice Inititiative sono organizzazioni radice impegnate per la difesa dei diritti e promuovono un proprio punto di vista indipendente da quello governativo: hanno così strutturato risorse professionali che permettono loro di sviluppare efficaci metodi di advocacy.
Tendenze nuove sono sottolineate anche dalla nascita di network di supporto per ngo che vogliono fare attività di advocacy. Esempi di questo tipo sono il famosissimo Zhongguo huangbao changdao xingdon wangluo(EAN-CN) o Network di Advocacy Ambientale, il Dongjen Human Rights Education Center e l’organizzazione Global Call for Action Against Poverty (GCAP). EAN-CN è un network che include più di trenta ong; si occupano principalmente di ambiente e collaborano per attività di advocacy capacity building, promuovono azioni per l’approvazione di importanti leggi e incoraggiano lo scambio di risorse e informazioni per la formulazione di politiche. Dongjen è un centro che si occupa invece di diritti, organizzando workshop per introdurre i fondamenti sui diritti umani e fare il punto sul gap esistente tra la protezione dei diritti in Cina e gli standard internazionali. Oltre ai workshop teorici, Dongjen sprona all’azione le ong del settore attraverso attività orientate all’esplorazione di strategie per combattere la discriminazione. GCAP lavora principalmente per motivare le ong cinesi e internazionali a fare dichiarazioni congiunte su argomenti che riguardano la riduzione della povertà.
L’unione tra ong è diventata una strategia comune di advocacy e assume diverse forme che servono ad esplorare come la collaborazione possa notevolmente aumentare l’efficacia. La più importante è sicuramente la Lvse xuanze lianmeng o Green Choice Alliance (GCA) composta da 46 ong che si occupano di ambiente. Questo gruppo fa ricerche indipendenti riguardanti i dati sull’inquinamento ambientale col fine di fare pressioni sulle imprese e far loro adottarne un tipo di produzione a basso impatto. Uno dei casi più famosi in cui l’alleanza ha ottenuto risultati è stato quello della catena di fornitura della Apple, la quale dopo aver ricevuto il report sull’inquinamento prodotto e sulla condizione dei lavoratori si è vista costretta a collaborare e confrontarsi.
Sebbene tutti questi esempi ci possano far pensare istintivamente che l’advocacy “all’occidentale” in Cina è viva e ben funzionate, è necessario però riflettere su alcuni punti: il primo è che tutte le ong o unioni/network di organizzazioni più temerarie sono spesso quelle che ricevono maggiori fondi e attenzione dalle agenzie di sviluppo e dai media internazionali; in secondo luogo, sebbene siano in prima linea per i diritti non hanno uno scontro politico diretto con il governo e tendono a fare del loro target la società o il pubblico in generale, quindi è ipotizzabile che, in fin dei conti, invece di scrivere l’agenda del governo la interpretino ed eseguano.
*Fiorinda Di Fabio nasce ad Ascoli Piceno nel torrido agosto 1986, si laurea in Lingue e Civiltà Orientali all’Università di Roma “La Sapienza”. Si specializza prima all’Universita’ di Lingue e Culture di Pechino poi all’Universita’Qinghua in Sviluppo Internazionale con una tesi sulle strategie di advocacy delle ong in Cina. Dal 2009 ha collaborato presso diverse ong e in due dei piu’ importanti centri di ricerca che si occupano di societa’ civile in Cina: China Development Brief e il Centro di Ricerca per le ONG dell’Universita’ Qinghua. Nel 2010 fonda morning tears Italia a Macerata che si occupa di figli di condannati a morte e detenuti in territorio cinese.