L’accordo sulla fornitura di gas tra Russia e Cina è storico e cambierà per sempre gli equilibri geopolitici ed economici dell’intero pianeta. C’è lo zampino di quella consueta dose di ironia che solo la storia può regalare. La crisi ucraina, che avrebbe dovuto compattare Unione europea e Stati uniti, ha finito per creare quel periplo geopolitico, capace di accelerare i tempi di un accordo rincorso da dieci anni. Un patto economico, che sancisce anche una vicinanza politica, soprattutto per volere di Putin e che scompagina totalmente i calcoli di chi riteneva che le sanzioni conseguenti alla crisi ucraina, avrebbero potuto mettere in ginocchio la Russia. La firma sul trattato di Shanghai, infatti, pone la Cina come principale mercato per il gas russo per i prossimi trent’anni, facendo immediatamente preoccupare l’Europa.
Non a caso Barroso, poco dopo la notizia circa l’ufficialità dell’accordo, ha tuonato: «La fornitura di gas non deve essere interrotta, conto sulla Russia perché mantenga i suoi impegni, è responsabilità di Gazprom assicurare le consegne di gas come stabilito dai contratti con le società Ue».
Quello che i media cinesi e russi hanno definito come «l’accordo del secolo», d’altronde è stato rincorso per oltre dieci anni e firmato alle 4 del pomeriggio di Shanghai, un segnale rilevante circa la fretta di Putin di non andarsene dalla Cina senza la firma, e la pazienza cinese che da anni tira in basso il prezzo, servendosi del gas turkmeno e birmano, come soluzione alternativa.
L’accordo però è arrivato e nonostante la segretezza sul dettaglio più rilevante, il prezzo, sancisce un passaggio epocale tra la russa Gazprom (che ne ha subito approfittato in borsa) e la cinese China National Petroleum Corporation (Cnpc). Si tratta di 38 miliardi di metri cubi di metano all’anno, per i prossimi trent’anni e a cominciare dal 2018, forniti dalla Russia alla Cina, con un gasdotto da 2.200 chilometri, per un giro totale d’affari di oltre 400 miliardi di dollari.
La Cina dunque comprerà, secondo indiscrezioni, mille metri cubi di gas a un prezzo tra i 350 e i 400 dollari. Secondo quanto comunicato dai media cinesi, il gas arriverà in Cina dalla Siberia (dagli impianti di Kovyktin e Chayandin) e verrà convogliato nel nord-est cinese, attraverso l’area metropolitana di Pechino-Tianjin-Hebei e il delta del fiume Yangtze a est. Cina e Russia inoltre hanno promesso di rafforzare la cooperazione nel settore dell’energia e delle infrastrutture in Russia.
Per rispondere a chi ieri ha gridato alla debacle di Gazprom e di Putin, rispetto a questo accordo, Mosca vendeva a Yanukovich in Ucraina la stessa quantità di gas a 265 dollari. La cifra per altro, secondo esperti, è più alta di quella annunciata, ma cosa significa per i due paesi, e per il resto del mondo «l’accordo del secolo»? E soprattutto, segna anche un passaggio politico, fondamentale, per i futuri assetti globali?
Partiamo quindi da Cina e Russia. Pechino da tempo cerca via alternative al carbone, da cui dipende il 70 percento del proprio consumo energetico e che provoca problemi gravi di invivibilità e malattie mortali ai propri cittadini. Cresce – inoltre – quel ceto medio urbano che chiede una migliore qualità della vita.
Ma i cinesi avevano bisogno di strappare un contratto favorevole soprattutto sul prezzo. Trent’anni non sono pochi, l’esborso è notevole e Pechino ha sempre chiesto a Mosca di non essere trattato come un paese qualunque. I fatti internazionali, complici la Siria e ultimamente l’Ucraina, hanno portato i due paesi a condividere sentimenti anti occidentali. Mosca sulla questione ucraina si è trovata completamente sola contro Usa e Ue, mentre la Cina soffre da tempo il tentativo di accerchiamento Usa in Asia.
Non c’era migliore possibilità di questo momento, in particolare, per sancire un’alleanza economica che getta oltre di sé l’ombra, e forse solo quella, di accordi di natura più geostrategica. E poco prima della firma dell’accordo un quotidiano giapponese (Asahi Shimbun) ha rivelato che la Cina avrebbe annunciato una produzione annuale di 6,5 miliardi di metri cubi di shale gas (gas di scisto, ovvero il metano intrappolato nei pori e nelle fratture di una roccia composta di fango e argilla mista a a minerali, di cui la Cina pare sia ampiamente fornita, benché le tecniche di estrazione possano risultare potenzialmente pericolose), sufficienti a coprire il 3 per cento del suo fabbisogno energetico interno, entro il 2015.
Putin dal canto suo, benché avesse già digerito le sanzioni, ritenendo che resistere all’avanzata della Nato verso est, valesse una mini recessione, ha dovuto spingere sull’acceleratore. Ora la Russia può considerare la Cina il suo mercato più grande, mentre fino all’anno scorso il primo cliente era proprio l’Europa, che oggi rischia inevitabilmente grosso. Si tratta di un accordo anche simbolicamente rilevante che crea un fronte comune sino russo in funzione anti Unione europea a Stati uniti.
Non a caso, ieri, poco dopo l’accordo non sono mancati i grattacapi locali per la Cina con Vietnam e Filippine che all’unisono si sono dichiarate contrarie alla politica di potenza nell’area. Le Filippine a fine aprile avevano chiuso un accordo con gli Usa per l’utilizzo delle basi militari per 10 anni. Questa situazione – potenzialmente esplosiva nell’area asiatica – ingrandisce ancora di più l’importanza dell’accordo tra Mosca e Pechino, benché i toni cinesi siano più tiepidi rispetto a quelli di Mosca per quanto riguarda questioni internazionali di natura politica, vedi l’Ucraina.
[Scritto per il manifesto]