La vittoria del Leicester in Premier è una festa che non riguarda da vicino soltanto la cittadina delle Midlands inglesi. A 11mila chilometri di distanza, a Bangkok è scoppiata una vera e propria mania per le «Siamese Foxes». Il cui successo è frutto di investimenti mirati ma anche della sapiente arte del galleggiamento del loro patron nelle recenti bufere politiche del paese. Fino al 2010, Chao Khun Tongchai, vice abate del Tempio del Buddha Dorato di Bangkok, del calcio — e dello sport in generale — non si era mai occupato. Monaco dall’età di 15 anni, aveva sempre preferito, come si confà a chi in Thailandia decide di intraprendere la vita monastica, lo studio, la meditazione e la raccolta delle offerte.
Ma quell’anno ricevette uno strano invito da fedele del suo tempio: benedire uno stadio a Leicester, Inghilterra centrale, a oltre 11mila chilometri di distanza da casa.
Era stato Vichai Srivaddhanaprabha, imprenditore e devoto buddhista, a chiamarlo. Da poco aveva acquistato una squadra locale che militava nella Championship — la Serie B inglese — il Leicester City FC.
In meno di tre anni le visite dell’abate Tongchai nella cittadina delle Midlands si sono fatte più ricorrenti. Ogni partita in casa delle «Foxes» era preceduta da un rituale buddhista: benedizione al campo, poi giù negli spogliatoi ai giocatori e meditazione a occhi chiusi in una speciale «Buddha Room» del King Power Stadium di Leicester.
«I giocatori e l’allenatore sono motivati, hanno buone intenzioni, per questo ho fiducia nel loro successo», ha detto giorni fa l’abate ai giornalisti di Sky News.
A Bangkok, dove il calcio europeo — soprattutto quello inglese — è tra gli sport più seguiti, c’è stato un boom di vendite di amuleti portafortuna e merchandising. La febbre delle «Siamese Foxes» ha contagiato tutti, convertendo alla causa della squadra allenata da Claudio Ranieri anche tifosi di club più blasonati, come Manchester United e Chelsea.
Un guadagno enorme in termini di immagine e monetari per Vichai, che a Bangkok è forte del quasi monopolio dei duty free nei due aeroporti della capitale, Don Muang e Suvarnabumi, un hub da quasi 53 milioni di passaggi all’anno, ed è proprietario di due tra i più grandi centri commerciali del paese in centro a Bangkok. Qui «King Power», il nome dell’azienda di Vichai, oltre che suonare benaugurante — il venerato re Bhumibol Adulyadej è da tempo molto malato — è ben noto.
Vichai è uno che si è fatto da sé. Da proprietario di un piccolo negozio di souvenir a Bangkok a proprietario di un impero commerciale da 2,9 miliardi di dollari.
Il boom turistico cinese degli ultimi anni — nel 2014 oltre 4 milioni di cinesi sono sbarcati in Thailandia spendendo mediamente 150 euro a testa, più della media europea — ha favorito il business di King Power.
Dati non da poco in un paese che vive di turismo: secondo dati diffusi dall’organizzazione britannica World Travel and Tourism Council, in Thailandia il turismo contribuisce per l’8,3 per cento al prodotto nazionale — calcolando l’impatto indiretto sull’economia si arriva al 20 per cento — e fornisce lavoro a oltre 2milioni di persone.
In un’intervista del 2009 al quotidiano locale The Nation, Vichai aveva esplicitamente chiesto al governo di facilitare l’ingresso di viaggiatori cinesi, fornendo visti multi-entry per cinque anni.
Alcuni osservatori, però, puntano sui buoni rapporti dell’imprenditore con i diversi governi succedutisi in Thailandia negli ultimi dieci anni.
Prima con la famiglia Shinawatra, e in particolare con Thaksin, ex primo ministro ed ex proprietario del Manchester City. Principalmente a lui Vichai deve l’esclusiva dei duty free nell’aeroporto di Suvarnabumi aperto nel 2006. Poi, dopo l’allontanamento di Thaksin nello stesso anno, quelli con la famiglia reale e l’attuale leadership militare.
Quest’anno tra gli ospiti di Vichai al King Power Stadium si sono visti generali, politici e dignitari thailandesi. Per loro, si dice, Vichai, spesso descritto come un «imprenditore con i piedi per terra», non avrebbe badato a spese. Oltre al karma è forse questo a tenerlo al sicuro da possibili ripercussioni politiche sul suo business.
[Scritto per Il Fatto Quotidiano Online]