Ci sono alcuni Paesi preoccupati di collaborare con gli Stati Uniti guidati da Trump, ma secondo il ministro degli esteri indiano S. Jaishankar “l’India non è tra questi”. È un’opinione largamente condivisa nei commenti a caldo della vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi che, vista dall’India, significa prepararsi a governare New Delhi facendo i conti con uno dei governi americani più a destra di sempre.
Per l’India di Modi non è una brutta notizia.
DUE VERI AMICI
Modi e Trump hanno già governato in parallelo nel quadriennio 2017-2021 consolidando un rapporto personale che entrambi descrivono come “amicizia”. È vero che Modi dice di essere amico di praticamente ogni capo di governo del pianeta Terra, salvo pochissime eccezioni (leggi Cina), ma è vero anche che Modi e Trump vantano una sintonia di opinioni evidente di cui, in passato, hanno dato ampio sfoggio.
Tra il 2019 e il 2020 l’amministrazione indiana era riuscita a mettere a punto un’accoppiata di eventi promozionali eccezionale. Il 22 settembre del 2019 Modi, in visita ufficiale negli Stati Uniti, aveva partecipato assieme al presidente Trump a un mega evento pubblico all’NGR Stadium di Houston, in Texas, intitolato “Howdy Modi” (Howdy abbreviazione di “hello, how do you do”, cioè “Ciao Modi, come va?”). Davanti a cinquantamila persone i due si erano dati il cambio sul palco snocciolando tutti i temi di interesse comune su cui le due amministrazioni, in tandem, si sarebbero impegnate a livello globale: sicurezza, protezione dei rispettivi confini nazionali e “lotta al terrorismo islamico”.
Significativo, in questo senso, il passaggio in cui Trump parla di “minaccia del terrorismo islamico radicale” e a Houston scatta la standing ovation collettiva, a cui Modi si aggiunge affiancato da Jaishankar. (min 17:10).
Pochi mesi dopo, tra il 24 e il 25 febbraio 2020, ad Ahmedabad (Gujarat) va in scena il mega evento gemello di Houston: si intitola “Namaste Trump” (“Ciao Trump”, in hindi) e si tiene nel “Narendra Modi Stadium”, il nuovo stadio del cricket della città intitolato senza falsa modestia al primo ministro indiano.
Sugli spalti ci sono 125mila persone e quando Narendra Modi introduce al pubblico il suo “amico” Donald Trump lo stadio esplode in un boato (min 12:33).
Si tratta di una cortesia che Narendra Modi, da quando è al potere, non ha riservato a nessun altro leader internazionale e che, secondo gli osservatori, nel futuro prossimo potrebbe fare la differenza: Trump non disdegna le adulazioni e far leva sul rapporto personale potrebbe dare a Narendra Modi un’arma di persuasione in più per navigare un futuro prossimo geopoliticamente incerto.
LA MINACCIA DEI DAZI
Al di là delle amicizie, l’agenda ultranazionalista di Trump sulla carta è destinata a danneggiare l’India, a partire dall’imposizione di dazi sulle importazioni che il prossimo presidente degli Stati Uniti ha promesso di applicare a tappeto per tutelare il mercato nazionale. Gli Stati Uniti sono la prima destinazione dell’export indiano e se esportare sotto Trump costerà di più mantenere i tassi di crescita del Pil di questi ultimi anni per New Delhi sarà un’impresa.
Oltre ai dazi si aggiunge l’incognita immigrazione. Trump ha un’agenda protezionista anche sul mercato del lavoro e ha promesso di “chiudere le frontiere” all’immigrazione illegale e di tagliare sensibilmente quella legale. Il timore dell’India è che la Casa Bianca proceda a una stretta degli ingressi negli Stati Uniti regolati dal visto H-1B, una categoria speciale istituita per attirare negli Stati Uniti lavoratori specializzati nei settori strategici del Paese, soprattutto legati al tech.
Nel 2023 le autorità statunitensi hanno accolto la richiesta di visto H-1B a più di 750mila persone, di cui oltre il 72% provenienti dall’India. Durante il primo mandato di Trump le autorità sono arrivate a respingere quasi una domanda di visto H-1B su quattro, scatenando le proteste ufficiali di New Delhi.
L’INDIA È ANCORA L’UNICA ANTI-CINA ALL’ORIZZONTE
Sullo sfondo rimane però l’importanza strategica che l’India rappresenta per gli Stati Uniti, e non solo, in chiave anti-cinese. Incentivare la crescita indiana e stringere collaborazioni a tutto campo con New Delhi per contrastare l’avanzata di Pechino in questi ultimi anni è stato l’obiettivo più o meno esplicito di gran parte del blocco delle democrazie occidentali, anche a costo di chiudere un occhio sullo scricchiolare delle fondamenta democratiche che in India, da quando Modi è al governo, si è fatto sempre più preoccupante.
Se è ragionevole pensare che Trump, non esattamente un paladino della democrazia, non darà noie a Modi su come governare a casa sua, non è detto che gli Stati Uniti proseguano in una politica di “sostegno” all’Indian Dream a discapito del motto elettorale “America First”. I margini per una collaborazione sembrano però esserci, a partire da un dato da prendere un po’ con le pinze, ma potenzialmente indicativo: a poche ore dalla vittoria, Modi è stato uno dei primi leader che Trump ha sentito al telefono e secondo l’agenzia di stampa indiana PTI avrebbe detto che Modi è “un vero amico”, “l’India è un Paese magnifico, Modi è una persona magnifica” e “tutto il mondo ama Modi”.
“JAMOORA”, COME FUNZIONA LA DEMOCRAZIA ELETTORALE INDIANA
Per il consiglio di visione di questo mese segnalo il documentario “Jamoora”, disponibile interamente e gratuitamente su Youtube sottotitolato in inglese.
Parla di una vicenda di cui avevo scritto brevemente nella prima puntata di Elefanti a parte, a maggio 2024, quando il comico e imitatore Shyam Rangeela aveva provato a candidarsi contro Narendra Modi al seggio parlamentare di Varanasi, in Uttar Pradesh.
Il documentario, scritto e diretto da Varrun Sukhraj, segue per una settimana Shyam Rangeela nel tentativo di completare le procedure di iscrizione nei registri dei candidati di Varanasi: un incubo burocratico in cui gli ostacoli non sembrano casuali e dicono molto di come, nella pratica, funzioni la più grande democrazia del mondo.
A cura di Matteo Miavaldi