A Pechino cercano il rapporto diretto col tycoon, forse anche attraverso Elon Musk. A Taipei si aspettano un aumento notevole delle pressioni, mentre Tokyo e Seul temono il disimpegno americano
“È imprevedibile, ma potrebbe anche essere influenzabile”. Un diplomatico asiatico descrive così Donald Trump, mentre la regione prova a intuire in che modo il prossimo presidente degli Stati uniti giocherà la sua seconda partita in questa parte di mondo. Forse la più importante, per gli interessi americani. C’è chi è pronto a scommettere che il tycoon voglia chiudere in fretta la guerra in Ucraina per dedicarsi al cosiddetto Indo-Pacifico. Con la Cina nel mirino, ça va sans dire. Anche se in pochi si sentono di escludere un Trump incline a una qualche sorta di “grande accordo” col primo rivale, anche a discapito dei propri alleati. Non è forse un caso che Xi Jinping abbia scelto di rompere gli indugi e di contattare Trump per le congratulazioni meno di 24 ore dopo la sua dichiarazione di vittoria.
Quattro anni fa, erano passate tre settimane per i complimenti a Joe Biden, con il primo colloquio telefonico avvenuto solo due settimane dopo l’insediamento. Il gioco d’anticipo è dovuto dai risultati più chiari di allora, ma forse anche da un intento strategico. Trump ha concluso il suo primo mandato con una linea parecchio ostile alla Cina, ma ha spesso esaltato la sua presunta amicizia con Xi, più volte lodato per il “pugno di ferro” con cui governa. La sensazione è che la Cina voglia fare leva proprio su questo. Pechino considera Trump in parte slegato dalle logiche politico diplomatiche di Biden. Appunto: senz’altro più imprevedibile, ma potenzialmente anche più influenzabile. Stringendo un rapporto diretto, Xi potrebbe cercare di ottenere concessioni o raggiungere accordi solleticando l’ego di Trump che ama definirsi un uomo d’affari.
Senza dimenticare che Pechino ora ha anche a disposizione il rapporto privilegiato con Elon Musk, protagonista di un viaggio in Cina solo pochi mesi prima delle elezioni. Il “presidente ombra” ha enormi interessi con Tesla nel paese asiatico, dove in passato è stato soprannominato affettuosamente “fratello Ma”, ammirato come “pioniere” e sui social persino suggerito come presidente degli Stati uniti. Musk potrebbe diventare un anello di congiunzione informale tra Xi e Trump, utile strumento di potenziale pressione.
Scenario che preoccupa parecchio Taiwan, dove il proprietario di X gode di una pessima reputazione a causa del suo ripetuto appoggio alle rivendicazioni territoriali di Pechino. Nei giorni scorsi è emerso che SpaceX ha chiesto ai fornitori taiwanesi di trasferire la produzione fuori dall’isola, portando allo spostamento di alcune parti della loro catena di approvvigionamento. Da tempo il governo locale cerca alternative al sistema satellitare Starlink, di cui non si fida. A Taipei sanno che il Trump bis aumenterà ulteriormente la pressione. Da una parte sul fronte militare, con le richieste di incrementare esponenzialmente le spese di difesa. Dall’altra sui chip, col tentativo di Trump di cooptare l’industria di settore, peraltro forse senza i vantaggi sui finanziamenti garantiti dal Chips Act di Biden. Sul fronte diplomatico, la voce è che il presidente Lai Ching-te stia cercando di avere un colloquio telefonico con Trump, come accaduto nel 2016 alla ex leader Tsai Ing-wen. L’ufficio presidenziale smentisce, ma le incognite sul rapporto sono molte, con Taiwan che potrebbe restare in bilico tra un supporto persino più forte che in passato e il finire all’interno di una logica transattiva fra Trump e Pechino.
Ieri, diversi altri leader asiatici hanno subito contattato Xi. Tra questi il giapponese Shigeru Ishiba e il sudcoreano Yoon Suk-yeol, entrambi alle prese con gravi crisi politiche interne. Le incognite sul potenziale isolazionismo americano e l’inedita instabilità nipponica possono causare alcuni scossoni, facendo in parte evaporare i sogni di una Nato asiatica con lo sfilacciamento del sistema di alleanze rinvigorito negli anni scorsi da Biden. Tokyo e Seul temono il disimpegno degli Usa, così come eventuali colpi di testa di Trump nel rapporto con Kim Jong-un, che secondo alcuni analisti potrebbe essere tentato di cercare la riapertura del dialogo. Il leader supremo nordcoreano partirebbe però da una posizione negoziale più vantaggiosa che in passato, dopo l’accordo di mutua difesa siglato con la Russia, e l’ipotesi della denuclearizzazione sembra ormai fuori dagli orizzonti. Tanto che, fra Giappone e Corea del sud, in molti pronosticano un’accelerazione della corsa al riarmo e un rafforzamento della voce di chi vorrebbe costruirsi un proprio deterrente nucleare. Sia Ishiba sia Yoon stanno cercando di fissare un incontro con Trump già prima del suo insediamento. Xi, invece, potrebbe incontrare Biden a margine del summit del G20 in Brasile. Poteva essere il viatico alla stabilizzazione dei rapporti con Kamala Harris, rischia ora di essere un’ultima danza fuori tempo.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.