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L’Altra Asia – I danni del tifone Yagi (e non solo) nel Sud-Est asiatico

In Asia Meridionale, Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

Il tifone Yagi ha ucciso centinaia di persone nel Sud-Est asiatico e provocato danni per miliardi di dollari: le notizie dai paesi più colpiti. Poi l’erosione della democrazia in Pakistan e del capitale umano del Myanmar, le speranze (e le enormi difficoltà) del Laos, le prime misure del nuovo governo in Thailandia e i consigli di lettura. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente a cura di Francesco Mattogno (clicca qui per tutte le puntate)

Gli argomenti della puntata, nel dettaglio:

  • Sud-Est asiatico – Gli effetti del tifone Yagi in Vietnam, Myanmar, Thailandia e Laos
  • Pakistan – Arrestati (e poi rilasciati) gli alti dirigenti del PTI, la proposta per emendare la costituzione, i rapporti di difesa con Cina e Stati Uniti, l’accordo che non arriva con l’IMF
  • Myanmar – Il “deterioramento permanente” del capitale umano birmano, due versioni diverse di come si vive nelle zone liberate dai ribelli, la nuova ondata di coscrizioni obbligatorie, due analisi sui rapporti con la Cina
  • Filippine – Il ritiro della Teresa Magbanua da Sabina, la guerra aperta tra i Duterte e i Marcos, i Duran Duran a palazzo
  • Laos – Vientiane vorrebbe diventare un hub manifatturiero, i tanti problemi economici del paese, alcune voci verso il Congresso del 2026
  • Thailandia – Il primo discorso della premier Paetongtarn Shinawatra in parlamento, finalmente il sussidio di 10.000 baht, le sconfitte elettorali del nuovo People’s Party

Tra il 7 e l’8 settembre il tifone Yagi, dopo aver colpito il sud della Cina e le Filippine, uccidendo 24 persone, ha virato verso il Vietnam e raggiunto in poco tempo anche Laos, Thailandia e Myanmar. La tempesta è durata diversi giorni e ancora oggi è difficile quantificare con esattezza il numero di morti, feriti, sfollati e dei miliardi di dollari di danni causati dal tifone. Anche perché, passato Yagi, le piogge torrenziali non sono finite e gran parte del Sud-Est asiatico resta in stato d’allerta.

Secondo le misurazioni degli esperti Yagi è stato un tifone di categoria 5, cioè del livello più alto nella scala Saffir-Simpson, con venti che hanno superato i 250 km/h. In tutto il Sud-Est asiatico – regione che per questioni geografiche è regolarmente soggetta a tempeste tropicali e cicloni – non si vedevano tifoni di questa intensità da decenni (si dice, per esempio, che sia stato il tifone più forte ad aver colpito il Vietnam da 75 anni a questa parte). È uno degli effetti del cambiamento climatico: il surriscaldamento dei mari sta contribuendo alla formazione di tifoni più forti e duraturi, oltre che sempre più vicini alle coste.

Yagi ha causato inondazioni per centinaia di migliaia di ettari, uccidendo oltre un milione di capi di bestiame e distruggendo raccolti, strade e infrastrutture di telecomunicazione. Per giorni milioni di persone nella regione non hanno avuto accesso a energia elettrica e acqua potabile (di queste, almeno 6 milioni erano minori di 18 anni, sostiene l’UNICEF). Le frane hanno spazzato via interi quartieri, in alcuni casi interi villaggi, e in Vietnam è crollato un grande ponte sul Fiume Rosso, nella provincia di Phu Tho. Proprio in Vietnam si sono registrati i danni maggiori. A essere colpito è stato soprattutto il nord del paese (in particolare le province della capitale Hanoi, Lao Cai e Cao Bang), non abituato a tempeste così devastanti. Anche per questo la risposta delle autorità è stata più lenta e complicata del previsto.

Tra le città colpite c’è anche Haiphong, dove ha sede un impianto del marchio di auto elettriche nazionale VinFast, che però non sembra aver subito danni importanti. Non è andata altrettanto bene a decine di fabbriche e magazzini nelle aree costiere a est di Hanoi, regione nella quale diverse multinazionali in uscita dalla Cina hanno spostato parte della propria produzione: ci si chiede se e quali saranno gli effetti sulla catena di approvvigionamento globale. Intanto il bilancio dei morti nel paese ha superato quota 290, quello dei feriti è di quasi 2 mila persone, mentre le case distrutte sono più di 250 mila. Si parla di danni per almeno 2,5 miliardi di dollari.

In Myanmar i morti sono invece almeno 337. La situazione è ancora molto grave in diverse zone del paese, dove gli effetti di Yagi si sommano alla distruzione dovuta a oltre tre anni di guerra civile. Loikaw, la capitale dello Stato Kayah (Karenni), si trova in condizioni particolarmente critiche, ma le operazioni di soccorso restano molto complicate in tutta la Birmania. Le frane e le inondazioni hanno aggiunto almeno altri 300 mila sfollati alle 3 milioni di persone che già avevano perso la propria casa per via della guerra.

Il tifone – che ha colpito sia le zone periferiche controllate dai ribelli, sia il centro del paese ancora nelle mani dell’esercito – ha distrutto anche vari campi profughi, costringendo migliaia di persone a lasciare nuovamente le proprie case temporanee o rifugi. La giunta militare e il governo democratico in esilio hanno chiesto alla comunità internazionale di aiutare il paese, che già a luglio era stato soggetto a forti piogge e conseguenti inondazioni.

Nonostante gran parte dei danni si siano registrati nelle zone sotto il controllo dei ribelli, però, le agenzie delle Nazioni Unite (così come qualche ONG) hanno deciso di coordinarsi solo con il regime per organizzare l’invio di aiuti umanitari nel paese, attirandosi le critiche di vari gruppi che si occupano di tutela dei diritti umani. La scelta di parlare esclusivamente con la giunta, che anche di recente è stata accusata di aver limitato l’accesso di medicinali e beni di prima necessità nelle aree al di fuori della sua giurisdizione, è problematica sia sul piano etico che politico. Sembra evidente infatti che l’esercito stia cercando di sfruttare la crisi per crearsi dei canali di dialogo con vari attori internazionali, che in questi anni non hanno mai riconosciuto il regime, così da rafforzare la legittimità del proprio governo.

In Thailandia, intanto, l’esecutivo ha approvato lo stanziamento di 3,5 miliardi di baht (circa 95 milioni di euro) per sostenere le 338 mila famiglie rimaste vittima delle alluvioni. Il tifone Yagi ha ucciso 42 persone soprattutto nel nord del paese (come a Chiang Mai e Chiang Rai), cioè in un’area già provata da quasi due mesi di forti piogge, che non accennano a fermarsi. L’arrivo di una nuova forte tempesta, chiamata Soulik, minaccia di aggravare la situazione in tutta la regione. Il 19 settembre il monsone ha causato frane e inondazioni nel Vietnam centrale, prima di spostarsi nel nord-est della Thailandia. Era almeno vent’anni che il livello di diversi fiumi, tra cui il Mekong, non era così alto e anche il governo laotiano – poco trasparente sui danni causati da Yagi, che dovrebbe aver ucciso 4 persone nel paese – si è detto preoccupato.

PAKISTAN – È QUESTO UN GOVERNO DEMOCRATICO?

Non accennano a placarsi gli scontri parlamentari e giudiziari in Pakistan. Lunedì 9 settembre le forze di sicurezza del paese hanno arrestato tredici vertici del Movimento per la Giustizia del Pakistan (PTI), compreso il leader del partito, Gohar Khan, poco dopo il loro arrivo in parlamento. I tredici politici dell’opposizione sono rimasti in stato di fermo per 24 ore, prima di essere rilasciati a seguito di forti polemiche fuori e dentro l’Assemblea Nazionale. Lo speaker della camera Ayaz Sadiq ha sospeso cinque agenti di sicurezza e formato una commissione d’inchiesta per fare chiarezza sull’accaduto.

Nel fine settimana che ha preceduto gli arresti si erano tenute a Islamabad delle nuove – le ennesime – manifestazioni di protesta da parte dei sostenitori del PTI, che da mesi chiedono due cose. La prima è il rilascio dal carcere del loro leader, l’ex primo ministro Imran Khan (Gohar, con cui non è imparentato, è solo il suo sostituto). La seconda è il riconoscimento del “vero” risultato delle elezioni dello scorso 8 febbraio, che il PTI (insieme a diversi osservatori internazionali) sostiene siano state manipolate dall’esercito e dai partiti che hanno poi formato l’attuale maggioranza di governo.

Secondo le autorità, gli esponenti del PTI sono stati arrestati perché il partito non avrebbe rispettato alcune delle condizioni pattuite riguardo lo svolgimento delle manifestazioni. Ma non è difficile pensare che si sia trattata di un’altra forma di intimidazione nei confronti dell’opposizione: dalla caduta di Khan, ad aprile 2022, l’establishment pakistano sta facendo di tutto per indebolire il PTI, che continua però a godere di grande sostegno popolare.

Negli ultimi giorni è inoltre trapelata una bozza di legge, scritta dalla coalizione di governo, per cambiare alcune parti della costituzione. Gli emendamenti riguarderebbero in particolare il sistema giudiziario: con le nuove norme si andrebbe a formare una corte costituzionale il cui compito sarebbe quello di esaminare i ricorsi presentati contro la corte suprema. Di fatto, secondo i critici, il nuovo tribunale andrebbe a erodere i poteri dell’alta corte del paese, che nell’ultimo anno si è pronunciata più volte in favore di Imran Khan, assolvendolo o annullando vari processi a suo carico. Il governo, i cui esponenti hanno espresso candidamente di volere tenere Khan in carcere, si libererebbe così di un problema, troncando l’indipendenza della magistratura. Per Dawn sarebbe un ulteriore passo verso un regime sempre più autocratico, anche se non sarà così semplice: il governo ha bisogno della maggioranza dei due terzi del parlamento per emendare la costituzione. Numeri che al momento non ha.

In breve. Da gennaio ad agosto gli attentati hanno ucciso 757 persone. Perché ci sono tanti attacchi terroristici in Pakistan? Un articolo di Deutsche Welle. Negli ultimi giorni i vertici dell’esercito pakistano, compreso il comandante Asim Munir, hanno incontrato sia le controparti americane che quelle cinesi. È un esercizio di equilibrismo complesso, quello del Pakistan, che acquista armi da Pechino ma rischia le sanzioni di Washington proprio per i suoi legami di difesa con la Cina. Intanto il Fondo Monetario Internazionale non ha ancora finalizzato l’accordo per un nuovo prestito da 7 miliardi di dollari a Islamabad: dopo l’intesa preliminare di luglio la trattativa sembra essersi arenata, e questo sta creando qualche timore riguardo la stabilità economica del paese.

MYANMAR – VERSO IL “DETERIORAMENTO PERMANENTE” DEL CAPITALE UMANO

Secondo un report del programma di sviluppo delle Nazioni Unite, il Myanmar rischia il «deterioramento permanente» del suo capitale umano come conseguenza della progressiva distruzione dei tre pilastri di ogni sistema statale: educazione, sanità e servizi di base. L’instabilità dovuta alla guerra ha portato a una graduale ma netta diminuzione degli iscritti a scuola, mentre mancano strutture sanitarie, medicinali e beni di prima necessità. È un disastro umanitario che ha una sola matrice: il colpo di stato del 1° febbraio 2021. Per questo è interessante capire anche come si vive nelle zone liberate dai ribelli.

Il Diplomat racconta qui i tanti problemi, dovuti a minacce, abusi e lotte di potere nella regione del Sagaing, dove il governo in esilio (NUG) non riesce propriamente a controllare le sue milizie. Gli eserciti e le formazioni politiche dei vari gruppi etnici, così come le People’s Defence Forces (PDF) affiliate al NUG, sono molto spesso degli attori indipendenti, ognuno con propri interessi politici ed economici, non sempre convergenti. La propaganda non esiste solo dal lato del regime, e capita che si decida di tacere sugli errori della resistenza per il “bene ultimo” della rivoluzione. Ricordato questo, la resistenza in Myanmar è soprattutto una cosa: speranza (sempre dal Diplomat). Nel frattempo la giunta non ha mai smesso di bombardare i civili nelle aree liberate e di arrestare e torturare i dissidenti. Lo dicono i ribelli, e lo dicono le Nazioni Unite.

In breve. È partito il quinto turno di chiamate alla leva obbligatoria: dallo scorso febbraio sono stati reclutati forzatamente 15 mila uomini. Il comandante dell’Arakan Army, l’esercito etnico che ha conquistato gran parte dello Stato Rakhine, dice di volere uno «stato federale» in cui possano convivere pacificamente sia i Bamar (cioè le persone di etnia “birmana”) che le minoranze etniche: non è una dichiarazione scontata. Nelle ultime settimane Min Aung Hlaing ha cambiato approccio, uscendo più spesso da Naypyidaw per visitare, seppur brevemente, vari comandi regionali. Lo fa per rafforzare la sua leadership e alzare il morale dell’esercito (ma non sempre gli riesce). Sui rapporti tra il regime e la Cina, di cui abbiamo parlato qui, un articolo più approfondito di Emanuele Giordana. E qui un altro di David Scott Mathieson. Il Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAAha dichiarato di non voler collaborare con il NUG né sul piano politico, né su quello militare: potrebbe c’entrare di nuovo la Cina.

FILIPPINE – LE GRANE DI MARCOS: LA CINA E I DUTERTE

La guardia costiera filippina ha annunciato di aver ritirato la nave Teresa Magbanua dall’atollo di Sabina (Escoda, in tagalog), dove sostava ininterrottamente dallo scorso aprile. Esattamente come la Sierra Madre, l’imbarcazione da guerra fatta incagliare appositamente sull’atollo di Second Thomas nel 1999, la presenza della Teresa Magbanua serviva a evitare che la Cina occupasse Sabina e la rivendicasse come parte del suo territorio. Il ritiro della nave è arrivato pochi giorni dopo che si sono tenuti alcuni colloqui tra i funzionari di Manila e Pechino per allentare le tensioni nel mar Cinese meridionale, ma il portavoce della guardia costiera filippina, Jay Tarriela, ha escluso una correlazione tra le due cose. La nave aveva bisogno di manutenzione e di un cambio di equipaggio, ha detto Tarriela, che ha precisato come questo non significhi che la marina non continuerà a pattugliare Sabina. Manila sostiene inoltre di avere un piano per evitare l’espansione cinese nell’area: per il South China Morning Post è probabile che comprenda l’aiuto degli Stati Uniti.

Politica interna. La vicepresidente Sara Duterte si è rifiutata più volte di comparire alla camera per spiegare il budget richiesto per le sue attività da presidente e da segretaria all’Educazione (ruolo dal quale si è dimessa a giugno): di conseguenza le sono stati ritirati più del 60% dei fondi che avrebbe dovuto ricevere. Ormai quella tra le famiglie Marcos e Duterte è una guerra aperta. L’arresto del predicatore Apollo Quiboloy, un protetto dell’ex presidente Rodrigo Duterte, e il divieto alle attività di scommesse e truffe online affiliate alle organizzazioni criminali cinesi (anche queste come minimo tollerate dall’amministrazione Duterte) ha reso evidente la spaccatura con il presidente Ferdinand Marcos Jr. Ne parla qui nel dettaglio Asia Sentinel.

Intanto Marcos ha ingaggiato i Duran Duran per la sua festa di compleanno privata, con tutta probabilità usando soldi pubblici (anche se il governo nega). «Ecco un triste promemoria per voi. Feste sfarzose finanziate dallo stato? È così che sono iniziate le cose (…) Poi sono arrivate le proprietà. E poi i milioni di dollari nascosti altrove». Così ha commentato la vicenda Glenda M. Gloria di Rappler, che poi è andata a vedere alcune delle spese pazze del dittatore Ferdinand Marcos, padre dell’attuale capo di stato. È una lista interessante.

LAOS – L’INFLAZIONE NON SCENDE, SPERANZE MANIFATTURIERE E CONGRESSO

Il Laos vorrebbe diventare un hub di produzione manifatturiera, seguendo l’esempio dei suoi vicini regionali, come Vietnam e Thailandia, che da qualche tempo hanno iniziato ad accogliere sempre più aziende in uscita dalla Cina. Vientiane ha del potenziale, legato soprattutto alla possibilità di garantire alle multinazionali manodopera a basso costo. Ma i problemi strutturali dell’economia laotiana restano un grande ostacolo ai suoi sogni di sviluppo. A inflazione e debito si aggiungono la carenza di manodopera specializzata e la corruzione diffusa, oltre che un sistema bancario inefficiente e dunque poco attraente per gli investitori stranieri.

L’inflazione ad agosto si è attestata al 24,3%, un livello più alto anche del Myanmar in guerra civile (20%), mentre per il Fondo Monetario Internazionale il debito del paese raggiungerà il 115% del PIL nel 2024. La costante svalutazione del kip sta accelerando la riduzione delle riserve di valuta estera (che oggi corrispondono a 1,8 miliardi di dollari, utili per due mesi e mezzo di importazioni) e il reddito reale dei laotiani continua a diminuire: il costo dei beni primari è più che duplicato negli ultimi tre anni. Per risollevare il paese sarà necessaria anche una nuova leadership. Secondo alcune indiscrezioni raccolte da David Hutt, l’attuale ministro degli Esteri Saluemxay Kommasith è tra i principali candidati per diventare il nuovo primo ministro del paese in vista del Congresso del Partito Rivoluzionario del Popolo Lao, in programma a gennaio 2026.

La popolarità di Saluemxay si deve in buona parte al ruolo diplomatico che ha svolto durante quest’anno di presidenza ASEAN del Laos. Nel frattempo, sono già in corso i preparativi per i due summit dell’Associazione che si terranno a ottobre.

THAILANDIA – IL DISCORSO DI PAETONGTARN

Il 12 settembre la prima ministra Paetongtarn Shinawatra ha presentato il suo programma di governo al parlamento. In mezzo alle tante le promesse sull’economia, la premier ha voluto sottolineare come negli ultimi vent’anni i colpi di stato e l’instabilità politica abbiano rallentato la crescita economica del paese. Tra le altre cose, Paetongtarn ha detto che la cannabis resterà legale, ma che verrà regolamentata, promettendo poi di rafforzare l’industria del turismo (anche con la legalizzazione dei casinò) e il sistema di welfare. Il 17 settembre, dopo un anno di fallimenti da parte del suo predecessore Srettha Thavisin, ha infine approvato il piano per versare un sussidio unico di 10.000 baht (270 euro) nelle tasche dei thailandesi. In campagna elettorale il Pheu Thai aveva promesso che lo avrebbero ricevuto tutti a prescindere dal loro reddito, ma per ora il sussidio verrà erogato solo alle persone più fragili, come disoccupati, lavoratori precari e disabili.

Nel frattempo il nuovo People’s Party ha perso tre elezioni su tre (due locali e una suppletiva): un’analisi del Thai Enquirer per provare a spiegare le ragioni delle sconfitte. Se anche il Move Forward, predecessore del People’s Party, non brillava troppo nei voti locali, a essere decisiva questa volta potrebbe essere stata l’unità dei partiti di opposizione. Ormai anche i conservatori votano Pheu Thai (ma il voto nazionale sarà probabilmente un’altra storia). Ci sono poi alcune preoccupazioni riguardo la legalizzazione del matrimonio egualitario: sembrava una formalità, ma i tempi per l’approvazione definitiva si stanno stringendo.

LINK DALL’ALTRA ASIA

Il ministro della Difesa del Vietnam, Phan Van Giang, ha incontrato l’omologo americano Lloyd Austin al Pentagono, il 9 settembre, per rafforzare i legami di difesa tra i due paesi. Negli stessi giorni il presidente dell’Assemblea Nazionale Tran Thanh Man si trovava a Mosca, mentre il 18 settembre il segretario del partito e presidente del paese, To Lam, ha detto al nuovo ambasciatore cinese in Vietnam che mantenere buoni rapporti con la Cina resta una «priorità massima» di Hanoi. È la bamboo diplomacy.

Nonostante l’annuncio in pompa magna dello scorso 5 agosto, i lavori per la costruzione del canale Funan Techo in Cambogia non sono ancora iniziati. Gli Stati Uniti hanno sanzionato un senatore cambogiano per il suo ruolo nell'”industria delle truffe”: è un bel colpo alla reputazione internazionale del governo di Hun Manet. Le Nazioni Unite, inoltre, hanno duramente criticato il nuovo codice per la regolamentazione della stampa proposto dall’esecutivo cambogiano.

Le manovre di Jokowi e Prabowo Subianto, presidente uscente e futuro dell’Indonesia, per allargare la propria influenza sul paese hanno raggiunto anche la camera di commercio (che ora risponde a un alleato dell’ex generale). Intanto Jokowi ha detto che trascorrerà a Nusantara le ultime settimane del suo mandato, che scade il 20 ottobre. Si è sciolto il gruppo terrorista Jemaah Islamiyah.

L’intervista di Paolo Affatato al primo ministro di Timor-Leste, Xanana Gusmao. Si dice che il 95% della popolazione di Timor (1,3 milioni) sia cattolica: non è un caso che in molti siano impazziti per la visita del Papa.

A Singapore l’opposizione ha chiesto la formazione di sindacati indipendenti. Al momento il Congresso Sindacale Nazionale (NTUC) è di fatto una propaggine del PAP, il partito che governa il paese da sempre.

In Malaysia sono state arrestate 171 persone, membri di un’associazione religiosa, con l’accusa di aver abusato sessualmente dei bambini che frequentavano l’organizzazione.

Asia Meridionale. Il 21 settembre si vota per le elezioni presidenziali in Sri Lanka, a due anni dal default. Il Bangladesh ha bisogno di riforme istituzionali per riportare il paese alla normalità dopo quindici anni di governo di Sheikh Hasina: ne parlano Asia Sentinel e il Nikkei.

Asia Centrale. Il 17 settembre si è tenuto ad Astana, in Kazakistan, il secondo summit Germania-Asia Centrale, con la partecipazione del cancelliere tedesco Olaf Scholz. A ottobre dovrebbe iniziare la costruzione della ferrovia che collegherà Cina, Kirghizistan e Uzbekistan (per maggiori dettagli, qui e qui).

A cura di Francesco Mattogno