È possibile immaginare un ordine mondiale fondato sulla coesistenza pacifica? Siamo in grado di individuare un numero sufficiente di punti focali transculturali tra i popoli, per costruire un mondo futuro migliore? Secondo Zhao Tingyang, filosofo della politica della Cina contemporanea, se andiamo ad attingere al Tianxia, (letteralmente Tutto ciò che sta sotto il Cielo), uno dei concetti cardine dell’antica filosofia politica cinese, questa ipotesi potrebbe prendere corpo e aprire orizzonti insperati per il mondo futuro globalizzato.
Una visione che si ripropone in Cina da secoli e di cui ora si discute spesso anche in Occidente, un sistema di pensiero ampiamente approfondito nel volume Tianxia: Sotto il Cielo, un antico sistema per un mondo futuro, il saggio sul tema di Zhao Tingyang, testo avvincente, pieno di metafore, tradotto nelle principali lingue europee e che ora esce in italiano per Ubaldini Editore grazie alla nuova traduzione dal cinese della sinologa Alessandra Lavagnino. Che cos’è il Tianxia? Che cosa potrebbe suggerire all’Occidente questa teoria di matrice filosofico-politica tutta cinese ma che la Cina ha sempre in qualche modo ritenuto di portata universale?
Espressione non riconducibile a nessuna categoria del pensiero Occidentale, il concetto del Tianxia nasce in Cina più di 3000 anni fa , (dinastia Zhou, tra il 1045 e il 256 a.c) e presuppone innanzitutto l’auto percezione, la predisposizione a considerare il proprio paese, la Cina, come il centro del mondo, idea ben rappresentata nella parola cinese Zhongguo, (Cina), che significa letteralmente Paese del Centro. Un’idea sinocentrica che identificava il Celeste Impero come “il vortice capace di attrarre, integrare e armonizzare i popoli e le loro culture” secondo la definizione dello stesso Zhao. All’epoca Zhou, la visione universalistica del Tianxia rappresentava il mondo intero, mentre in epoca imperiale (durata in Cina molti secoli dal 221 a.c. al 1911) era identificata con l’impero stesso: al di fuori dei suoi confini vivevano i barbari non civilizzati . Dal Tianxia si irradiavano i valori della civiltà cinese: i popoli limitrofi facendoli propri, potevano entrare a far parte di quella struttura politica sotto la sovranità dell’imperatore (il Figlio del Cielo) che non era un semplice sovrano, ma il tramite tra Cielo e Terra, il garante sulla terra dell’armonia tra il mondo umano e quello della natura. L’autodeterminazione della superiorità culturale dell’impero era alimentata dal confucianesimo che metteva in primo piano il potere di attrazione della cultura e della civiltà cinese. La Cina era dunque il punto di riferimento per le altre popolazioni, che dovevano essere trasformate, educate, migliorate dalla superiorità culturale dell’impero.
Oggi la teoria del Tianxia, è nuovamente dibattuta, riadattata e utilizzata dalla narrazione ufficiale del Partito Comunista Cinese per proporre un nuovo concetto di governance globale e legittimare la missione pacificatrice della Cina, ruolo che dal punto di vista cinese poggia su una tradizione storicamente dimostrata, la cui anima politica è proprio il Tianxia. “Bisogna trasformare le armi in doni di giada e seta…, ci deve essere buon vicinato e amicizia tra Stati, Pace sotto il Cielo e La Grande Unità sotto il Cielo”. Parole dello stesso presidente cinese Xi Jinping, tratte dal suo librone bianco “Governare la Cina”, il Xi Jinping pensiero tradotto in oltre quaranta lingue tra cui l’italiano e che in molti passaggi (Grande Unità sotto il Cielo) rimanda proprio al Tianxia. Zhao Tingyang, da pensatore contemporaneo, sostiene che l’Occidente non ha concepito o sviluppato una teoria del “mondo” ma soltanto delle teorie delle relazioni internazionali e questa incapacità di pensare al mondo come categoria unica e irriducibile ha come conseguenza che la teoria politica moderna non riconosce appunto l’interesse comune, al di là dello stato nazione. Nella sua mondializzazione del mondo il Tianxia considera il mondo stesso nella sua interezza come soggetto politico e non come una serie di stati- nazione in conflitto l’uno contro l’altro.
Per l’imperatore rosso Xi Jinping, recuperare l’idea del Tianxia dalla tradizione culturale antica sembra la soluzione più opportuna per legittimare la postura cinese in politica estera nonché per valorizzare a livello internazionale il progetto di “inclusione” e di espansione commerciale della BRI, la Nuova Via della Seta, il gigantesco piano infrastrutturale che in un certo senso rimette in piedi anche dal un punto di vista degli scambi commerciali , quell’atteggiamento dei regnanti e dell’impero cinese protratto per molti secoli, espressione di convinta superiorità economica e culturale. “Ancora oggi la Cina non è uno Stato multinazionale ma uno Stato-civiltà” , ha scritto Franco Mazzei, ne L’insospettabile convergenza, “che incarna i valori del confucianesimo e che si oppone a una civiltà del tutto diversa, quella Occidentale di cui la manifestazione estrema, o “eccezionale” sono gli Stati Uniti secondo la mitologia politica americana”.
“Nella concezione tradizionale la Cina non era al centro del mondo ma era il mondo” sostiene la filosofa cinese Anna Cheng, “ossia una totalità cosmica e morale. Siffatta rappresentazione, nella quale la barbarie (alla periferia) non ha rapporti con la civiltà (al centro) se non pagandole un tributo, non favorisce a priori l’emergere di un nazionalismo fondato sul sentimento di appartenere ad un paese in mezzo ad altri. La priorità è di costituire un ordine del mondo coerente che si connota fondamentalmente come universalistico e se molti pensatori dell’epoca sono consapevoli della necessità di creare il sentimento di una comunità nazionale, non sembrano aver concepito il nazionalismo come fine in sé”. E in effetti al dominio e alla superiorità della cultura cinese che si era riuscita a imporre sugli altri paesi per tanti secoli, fatta eccezione per l’impero romano, l’unico altro grande impero che la Cina aveva implicitamente riconosciuto, rispettato e legittimato, si lega il sistema dei “tributi”, una pratica imposta dalla Cina e di conseguenza accettata da tutti gli altri paesi che gravitavano nell’orbita dell’impero cinese, quei paesi con cui la Cina aveva rapporti prevalentemente lungo la Via della Seta, dall’Asia Centrale, all’India, ma anche quelli dell’Estremo Oriente come Corea, Siam, Giappone.
Il sistema dei tributi è stato studiato a fondo da uno dei più grandi sinologi di tutti i tempi, John K. Fairbank, attivo in America negli anni ’40. Basandosi su fonti primarie della dinastia Qing, Fairbank ha documentato che il sistema dei tributi, per quanto mutevole e diversificato in base agli sviluppi storici delle varie dinastie, testimoniava il potere di attrazione dei popoli vicini nei confronti del Tianxia: i paesi limitrofi si ponevano in un certo senso ”spontaneamente” in posizione subordinata rispetto al Celeste Impero. Regni, etnie, popolazioni che quando entravano in contatto con la Cina rendevano omaggio all’imperatore arrecando i doni più preziosi o inviando ambascerie con i beni più pregiati che la propria civiltà era in grado di produrre: la quintessenza della bellezza, della ricchezza, della capacità artigianale o quanto di più raro di cui quel paese era in possesso, veniva offerto sotto forma di tributo all’imperatore , gesto simbolico e implicito riconoscimento della superiorità cinese. Anche quando fu l’impero cinese ad uscire dai suoi confini, come in epoca Ming (1368-1644) , quando la flotta imperiale raggiunse la sua massima potenza, gli scambi di doni o meramente commerciali tra la Cina e le popolazioni straniere raggiunte, raramente furono alla pari: le navi cinesi, le cui stive erano cariche di merci di scambio come porcellane, seta, arazzi, tappeti, ricevevano in cambio merci spesso altrettanto preziose e una serie di doni in quantità e in valore decisamente più alto dalle popolazioni locali, in quanto soggiogate non tanto dalla superiorità militare della flotta cinese quanto da quella che riconoscevano la superiorità culturale del Tianxia.
Tutte le spedizioni delle navi Ming, erano guidate dal leggendario ammiraglio Zheng He, il quale, secondo la narrazione storica ufficiale ebbe raramente bisogno di combattere e non si propose mai né di invadere né di conquistare le terre straniere nelle quali approdava. Ovunque, dalla Corea a Calicut, dalla Somalia, alla Tanzania, all’Egitto i sovrani locali facevano atto di sottomissione all’imperatore cinese. Ecco perché le navi Ming riportarono in patria come “tributi” erbe sconosciute da utilizzare in medicina, pietre e minerali preziosi, animali esotici come elefanti e rinoceronti dal Champa, orsi dal Siam, pappagalli e pavoni da Giava, zebre e giraffe dall’Africa. Più di tutti gli altri fu la giraffa a destare stupore, già paragonata dall’impero romano a un incrocio tra cammello e leopardo e dai cinesi a una sorta di unicorno della mitologia occidentale, o al qilin, animale mitico cinese, un incrocio fra cervo e cavallo, o leone e drago. La giraffa al guinzaglio dell’ammiraglio Zheng He, offerta alla corte Ming di ritorno dalla sua missione in Africa, è uno dei dipinti più pregiati e affascinanti della pittura cinese antica, commissionato a un pittore di corte dall’imperatore Yongle.
Il sinologo Maurizio Scarpari ha scritto sul Corriere della Sera che la dottrina della “comunità umana dal destino condiviso” ricavata dalla cultura classica cinese è una mistificazione e che l’uso di questa antica visione viene sapientemente reinterpretata dalle autorità del governo della Repubblica Popolare Cinese “con la riformulazione dell’ideologia imperiale da parte di Xi Jinping, tornata prepotentemente in auge in nome dell’aspirazione di riportare la Cina al centro di “Tutto ciò che è sotto il Cielo”. Resta il fatto che questa idea tutta cinese dai confini evanescenti , “spazio fluttuante senza tempo”, se alla maggior parte di noi occidentali può sembrare pura illusione, un’utopia, si alimenta comunque di spunti e sostanza che la rendono ancora viva dopo tanti secoli e al centro di un dibattitto, una visione come alternativa globale non tanto al capitalismo, ma all’Occidente tutto, proprio perché “la Cina non sente più il bisogno di rifarsi unicamente a idee importate dall’Occidente come il marxismo” ha scritto la sinologa e giornalista Renata Pisu, “ma deve affermare il suo ideale cosmopolita che segna la via della pace universale”.
“Nelle diverse civiltà, ai loro primordi, erano già emersi tutti i problemi di fondo” scrive Zhao nel suo libro “forse gli stessi problemi cruciali che nel corso dell’evoluzione delle civiltà avrebbero poi continuato a riproporsi in maniera ricorrente, senza che l’uomo riuscisse a venirne a capo, nonostante i tentativi altrettanto ricorrenti e i metodi diversi di volta in volta adottati… io propongo invece una congettura diversa che a qualcuno può sembrare visionaria …un sistema ibrido che combini i vantaggi di più sistemi , cioè che metta insieme in reciproco equilibrio, democrazia, libertà, giustizia responsabilità, efficienza. Le guerre e i conflitti rendono manifesta l’inefficacia della politica, anzi la sua sconfitta. Se la politica non serve a strutturare una vita in comune per il genere umano che senso ha”?
Armonia, pace e benessere collettivo, un’età dell’oro che la cultura confuciana ha sempre eletto a modello per l’umanità. Idealismo puro? Nella Grande Armonia confuciana (Datong) il mondo governato dai saggi sovrani raggiunge un alto grado di fiducia e sicurezza, un mondo pacifico in cui sono completamente inutili le strategie di competitività. Come recitano i testi confuciani: “Nel percorso lungo la Via Maestra, tutto sotto il Cielo appartiene a tutti, si sceglie il saggio e il capace…si insegna la fiducia e si coltiva l’accordo, perciò l’uomo non ritiene cari solo i propri cari e figli solo i propri figli e questo fa si che i vecchi abbiano una fine dignitosa, i forti un giusto utilizzo, i bambini una crescita corretta e gli orfani, le vedove, i derelitti e i disabili abbiano i dovuti mezzi per nutrirsi, gli uomini un ruolo, le donne un riparo…così non dando più spazio ad astuzie e complotti non ci saranno più furti, saccheggi, disordini e crimini: ecco tutto questo viene detto Grande Armonia”.
È facile immaginare l’incredulità e la perplessità che susciti un sistema di pensiero simile soprattutto in Occidente. Una filosofia che peraltro propone questo concetto di armonia inclusiva elaborato dall’alto di un’élite, quella dei letterati confuciani. Resta il fatto che avvicinarsi a una visione altra cercando di capirla e di conoscerla un po’ più a fondo, senza pregiudizi, potrebbe senz’altro esserci d’aiuto, forse un modo più sensato per confrontarsi e “attrezzarsi” nei confronti di una potenza, come quella cinese, che innegabilmente avanza, continuando ad avere un ruolo di sempre maggior rilievo nello scacchiere geopolitico internazionale.
Di Maria Novella Rossi*
*Maria Novella Rossi, sinologa e giornalista RAI tg2, redazione esteri. Laureata in Lingua e Cultura Cinese, Dottore di Ricerca su “Gesuiti in Cina”, è stata in Cina la prima volta con una borsa di studio del Ministero degli Esteri dal 1984 al 1986; quindi è tornata molte volte in Cina per studio e per lavoro; è autrice di servizi e reportage sulla vita e la cultura in Cina trasmessi da Tg2 Dossier e da Rai Storia. Autrice anche di reportage sulle comunità cinesi in Italia. Corrispondente temporanea nella sede di Pechino per le testate RAI in sostituzione di Claudio Pagliara, attualmente continua a occuparsi di esteri con particolare attenzione alla Cina e all’Asia.