Il racconto della visita del presidente russo in Corea del nord, culminata con un documento di partnership strategica che prevede assistenza reciproca in caso di aggressione esterna
Le venti ore di Vladimir Putin in Corea del nord sono finite come erano iniziate, con Kim Jong-un ad abbracciarlo ai piedi del suo aereo, pronto a decollare dopo le 11 di sera in direzione Vietnam. Le venti ore di Pyongyang sono state piene di forma e retorica, ma anche di sostanza. La giornata è con una sfilata su una limousine a tetto aperto, dopo una querelle di gentilezze reciproche a favore di camera su chi deve salire a bordo per primo. Intorno, per chilometri, folla festante con palloncini, bandiere e girasoli di carta. Poi l’arrivo in piazza Kim Il-sung, dove Putin e Kim Jong-un hanno ascoltato gli inni nazionali, un colpo d’artiglieria e inni dell’era sovietica. Per poi assistere al passaggio di mezzi militari e a spettacoli artistici.
Poi si è iniziato a fare sul serio, coi colloqui bilaterali di un’ora e mezza tra le due ampie schiere di funzionari e ministri. Sottoscritti diversi accordi di cooperazione in materia di salute, educazione medica e scienza. Predisposta la costruzione di un ponte stradale di confine. I temi più “delicati e sensibili” sono stati invece affrontati da Putin e Kim nel loro faccia a faccia privato. Due ore nella residenza del leader supremo, più del previsto, con lunga passeggiata per il palazzo e una pausa tè. Al termine, ecco l’annuncio: firmato il trattato di partnership strategica.
Pochi dettagli sul contenuto, ma quello che emerge va oltre le aspettative della vigilia. In brevi comunicazioni alla stampa, Putin spiega infatti che l’accordo prevede aiuto e assistenza reciproci nel caso di uno dei due Paesi venga attaccato. Mosca e Pyongyang hanno ripetuto più volte in questi giorni che non si sarebbe trattato di un’alleanza militare rivolta contro paesi terzi. Ma il lessico utilizzato da Putin è proprio quello degli accordi di mutua difesa che richiedono gli interventi degli alleati in caso di aggressione esterna. Da sottolineare che, subito dopo aver parlato dell’accordo, Putin ha menzionato i possibili attacchi con armi Nato sul territorio russo.
L’ambiguità lasciata intorno al nuovo meccanismo di cooperazione non consente di escludere che possa fungere da ombrello per l’invio di armi nordcoreane a Mosca. Nell’altra direzione, lo stesso Putin non ha escluso il rafforzamento della cooperazione tecnica e militare. La presenza del capo dell’agenzia spaziale russa a Pyongyang rappresenta un altro indizio sulla potenziale assistenza tecnologica di Mosca al programma satellitare nordcoreano, che preoccupa non poco Seul e Tokyo. Si è parlato anche di economia. Kim riceve già cibo e petrolio raffinato, ma vorrebbe capitalizzare la contingenza favorevole per ottenere di più. Non sono emersi dettagli pubblici sul progetto di un sistema di commercio e pagamento alternativo, paventato da Putin nel suo articolo pubblicato dai media di regime.
Il richiamo alle armi c’è stato anche durante il concerto di gala che si è svolto in serata. Presente il cantante pop russo Shaman, noto putiniano, che ha cantato “Ci alzeremo in piedi”, canzone scritta per ricordare i caduti della grande guerra patriottica. Anche se in molto ritengono che la canzone sia diventata una sorta di inno per quella che Putin chiama “operazione militare speciale”.
La scenografia della visita è stata attentamente studiata per rafforzare l’idea di un’amicizia “eterna”, come recitavano alcuni striscioni di benvenuto. Putin e Kim hanno posto molta enfasi sulla forza dei loro legami, che molti analisti ritengono soprattutto un matrimonio di convenienza strategica dai vantaggi concreti che potrebbero anche rivelarsi limitati. Dopo averlo ricevuto lo scorso settembre nell’Estremo oriente russo, Putin ha invitato Kim a Mosca. Il leader nordcoreano ha invece definito il presidente russo “l’alleato più onesto” di Pyongyang. Una definizione che sembra contenere anche un implicito messaggio al terzo incomodo, il presidente cinese Xi Jinping. Da Pechino nessun commento significativo sul vertice, anche se ci sono diversi segnali che la Cina non vuole essere percepita parte integrante di un’alleanza trilaterale, anche per evitare nuove ripercussioni nei rapporti con l’occidente. Anche per questo avrebbe chiesto a Putin di evitare la tappa a Pyongyang subito dopo la visita a Pechino del mese scorso.
Il presidente russo non ha però intenzione di andare a rimorchio, nemmeno del suo partner più importante. Anzi, ieri si è messo al volante della nuova limousine Aurus donata a Kim, con il leader supremo sul sedile passeggero. Putin vuole ancora guidare.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.