Il presidente uscente Joko Widodo sta lavorando per mantenere la propria influenza sull’Indonesia anche dopo la fine del suo mandato, a ottobre. In Thailandia tutti aspettano il 18 giugno. Gli aggiornamenti dal Myanmar, dove l’esercito sta aumentando gli attacchi contro i civili. Poi le tensioni nel mar Cinese meridionale tra Cina e Filippine, Putin che (forse) va in Vietnam, un’altra assoluzione per Imran Khan in Pakistan e i consigli di lettura. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente a cura di Francesco Mattogno (clicca qui per tutte le puntate)
Da qualche mese a questa parte è come se l’Indonesia avesse due presidenti. Uno si chiama Prabowo Subianto: ex generale accusato di una lunga serie di crimini, attuale ministro della Difesa, presidente-eletto del paese dopo la vittoria nelle elezioni dello scorso 14 febbraio. In questo momento è il volto “internazionale” dell’Indonesia. Incontra capi di stato, propone vie d’uscita per la guerra in Ucraina e in Palestina ed è un po’ ovunque, anche sui media. L’11 giugno, per esempio, ha incontrato in Giordania il segretario di stato americano Antony Blinken, al quale ha espresso il proprio sostegno sull’ultima proposta di cessate il fuoco a Gaza.
Mentre Prabowo si trovava in Medio Oriente per partecipare alla conferenza umanitaria su Gaza organizzata da Giordania, Egitto e Nazioni Unite, “l’altro” capo di stato indonesiano, il presidente uscente Joko “Jokowi” Widodo, si occupava invece di questioni più pratiche, legate alla sua eredità politica.
La prima di queste riguarda Nusantara, la futura capitale che l’Indonesia sta costruendo da zero nel Kalimantan orientale, la parte indonesiana dell’isola del Borneo. Si tratta di un progetto nato quasi solamente per volontà di Jokowi, presentato nel 2019 e in costruzione a partire dal 2022. L’idea del presidente, che il 20 ottobre lascerà il posto a Prabowo dopo aver raggiunto il limite dei due mandati, è fare di Nusantara il suo più grande lascito politico. Una nuova capitale, moderna, verde e sostenibile per sostituire l’inquinata Giacarta – che sta letteralmente sprofondando – e incanalare parte della crescita economica del paese lontano dall’isola di Giava (ne abbiamo parlato anche all’interno dell’e-book di China Files dedicato interamente all’Indonesia).
Questo sulla carta. All’atto pratico la realizzazione di Nusantara si sta facendo più complicata di quanto si era immaginato. A inizio giugno si sono dimessi il direttore (Bambang Susantono) e il vicedirettore (Dhony Rahajoe) della Nusantara Capital City Authority, l’agenzia governativa che si occupa del progetto. Nonostante non siano state divulgate le ragioni della loro rinuncia, il sospetto che la costruzione della nuova capitale non stia procedendo come previsto si è riacutizzato.
Già da mesi si parlava di vari problemi legati alla conformazione e alla proprietà dei terreni, oltre che dell’aumento dei casi di malaria nel Kalimantan orientale. A preoccupare è però soprattutto la carenza di investimenti stranieri, tanto che dall’inizio del 2024 l’Indonesia ha speso oltre 300 milioni di dollari per poter terminare la prima fase del progetto entro la fine del mandato di Jokowi (si prevede che l’intera città non sarà completata prima del 2045). La mossa evidenzia una certa corsa contro il tempo considerando che, secondo le stime governative, l’Indonesia dovrebbe coprire solo il 20% dei 33 miliardi di investimenti previsti per la realizzazione di Nusantara.
Nel frattempo il presidente continua a rassicurare tutti. «Se Dio vuole, da luglio inizierò a lavorare nella nuova capitale», ha dichiarato. Con lui dovrebbero muoversi diversi membri del governo, ma intanto il trasferimento a Nusantara di 12 mila funzionari amministrativi, originariamente previsto ad agosto, è stato rimandato a settembre. E la stessa cerimonia per il 79° anniversario dall’indipendenza, il 17 agosto, non si terrà esclusivamente a Nusantara come aveva annunciato il governo. Prabowo sarà a Giacarta, Jokowi nella nuova capitale. A dimostrare come il paese forse abbia davvero due presidenti.
Se tutto andrà bene Nusantara rappresenterà il lascito più evidente di Jokowi, ma certamente non sarà l’unico. Dopo aver piazzato suo figlio Gibran Rakabuming Raka come vice di Prabowo, in modo discutibile, ora il presidente uscente sta cercando di trovare un posto di rilievo anche al suo secondogenito, Kaesang Pangarep. Kaesang ha 29 anni e fino a poco tempo fa non sembrava avere intenzione di fare politica. Poi a settembre 2023 è entrato in un piccolo partito, il Partito Indonesiano della Solidarietà (PSI): due giorni dopo, dal nulla, ne è diventato il leader. E oggi dice di voler correre per diventare vicegovernatore di Giacarta.
Il prossimo 27 novembre in Indonesia si terranno infatti le elezioni locali per eleggere governatori e sindaci. Secondo una legge del 2016 per potersi candidare bisogna avere almeno 30 anni, ma ultimamente le cose sono cambiate. Il 30 maggio la corte costituzionale ha deciso che sì, bisogna avere 30 anni, però al momento dell’insediamento, non della candidatura. Una decisione (contestata a livello politico e legale) che spiana la strada a Kaesang, visto che festeggerà il trentesimo compleanno il 25 dicembre, un mese dopo le elezioni e prima di un suo eventuale insediamento.
La sentenza ricorda in ogni suo particolare quella con cui la corte costituzionale inserì una clausola per la candidatura alla presidenza e vicepresidenza del paese, abbassando di fatto il limite minimo da 40 a 35 anni e permettendo a Gibran di correre insieme a Prabowo. Come in quel caso, anche questa volta la petizione per chiedere di intervenire sul tema è stata presentata da un partito minore, non direttamente riconducibile a Jokowi. Un classico espediente per rendere il capo di stato legalmente inattaccabile. Ma che sia stata una decisione politica è palese: la corte ha deliberato in tre giorni, un tempo record.
Kaesang ha già manifestato l’intenzione di correre nella capitale insieme ad Anies Baswedan, ex governatore di Giacarta (2017-2022) e candidato alle presidenziali 2024, sconfitto da Prabowo. Che i due facciano squadra non è scontato: Anies sta cercando di ottenere l’appoggio dell’ex partito di Jokowi, il Partito Democratico Indonesiano di Lotta (PDI-P), che però ha chiuso tutti i rapporti con il presidente. E non è detto che allearsi con Kaesang, dopo questa ennesima mossa dinastica di Jokowi, possa fargli bene sul piano dei consensi.
Nel dubbio, Jokowi si sta muovendo su più piani. Come forma di ringraziamento per il sostegno ricevuto in questi anni, e forse per garantirsi appoggio anche in futuro, a maggio il capo di stato ha concesso a vari gruppi religiosi delle concessioni minerarie. E nel frattempo ha piazzato diversi suoi parenti e alleati ai vertici delle principali aziende statali del paese. Per esempio a marzo suo nipote Bagaskara Ikhlasulla Arif è stato nominato manager alla Pertamina, colosso petrolifero indonesiano. Non è l’unico “fortunato”, anzi: ne parlano il Jakarta Post e BBC Indonesia, mentre Tempo presenta una lista completa, qui.
Nell’attesa di capire cosa farà una volta lasciata la presidenza (si dice che potrebbe diventare leader del Golkar), Jokowi sta mettendo in chiaro di non essere interessato a perdere la sua influenza sul paese.
THAILANDIA – UN GIORNO FONDAMENTALE
Una sola data: 18 giugno. Per la Thailandia sarà un giorno importantissimo, per varie ragioni. Mettiamole in ordine.
3 casi alla corte costituzionale
1) La corte costituzionale è chiamata a dare indicazioni su tre questioni. La prima riguarda il primo ministro Srettha Thavisin: martedì il tribunale deve decidere se portare avanti l’indagine contro l’ex magnate dell’immobiliare, accusato di aver commesso delle violazioni etiche nominando come ministro dell’Ufficio del premier Prachit Chuenban, un ex avvocato condannato per corruzione, durante l’ultimo rimpasto di governo. Non si mette in dubbio la legalità della nomina, ma la moralità di Srettha. Se in futuro il primo ministro verrà giudicato non idoneo a ricoprire l’incarico, il governo cadrà.
A quel punto verrebbe nominato un governo ad interim nell’attesa di eleggere un nuovo primo ministro attraverso un voto parlamentare. C’è una lista di papabili, in ordine di probabilità: Paetongtarn Shinawatra e Chaikasem Nitisiri del Pheu Thai (il partito di Srettha che guida la maggioranza di governo), Anutin Charnvirakul (leader del Bhumjaithai, secondo partito della coalizione), Prawit Wongsuwan (ex generale golpista e leader del Palang Pracharath Party, il principale partito dei militari) e Pirapan Salirathvibhaga (dello United Thai Nation Party, un altro partito dell’esercito). Secondo le ricostruzioni, smentite dai diretti interessati, la petizione contro Srettha sarebbe stata presentata sotto pressioni di Prawit, in un segnale di attrito tra l’establishment militare e il Pheu Thai, a cui contribuisce la questione legata a Thaksin (di cui parliamo più avanti).
Una cosa da tenere a mente è che il mandato dei 250 senatori nominati dai militari, in carica dal 2017, è terminato. Sono infatti attualmente in corso le elezioni per il nuovo senato, che sarà composto da 200 senatori. Questo significa che, se la decisione della corte costituzionale arriverà nei primi giorni di luglio, la camera alta, decisiva nella costituzione degli ultimi due governi pro-establishment, non potrà votare per nominare l’eventuale nuovo primo ministro. I risultati delle elezioni del senato sono infatti previste al più presto per il 2 luglio.
2) La corte costituzionale dovrà poi decidere se far proseguire il procedimento per la dissoluzione del Move Forward. Il 9 giugno Pita Limjaroenrat, leader de facto degli arancioni, ha presentato la sua difesa: secondo lui il tribunale non ha la giurisdizione per sciogliere un partito politico, cosa che però ha fatto più volte in passato. Il Move Forward è accusato di aver tentato di rovesciare la monarchia tramite la sua proposta di modificare la legge sulla lesa maestà (ne abbiamo parlato nel dettaglio qui). Se il partito verrà sciolto, i suoi vertici verranno squalificati dalla vita politica per 10 anni.
3) Infine la corte dovrà valutare se la legge elettorale per la nomina del nuovo senato (piuttosto contorta e ambigua) è costituzionale. Questo è l’unico caso che dovrebbe arrivare a sentenza il 18 giugno. Se verrà giudicata incostituzionale, i risultati del voto verranno annullati. Le elezioni sono cominciate il 9 giugno e si tengono in tre fasi distinte: di fatto, ad oggi manca solo la fase nazionale prevista il 26 giugno.
Il processo a Thaksin
Il 18 giugno inizierà anche il processo contro l’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, che dovrebbe essere formalmente incriminato per lesa maestà e per aver violato la legge sulla sicurezza informatica. Thaksin era stato rimosso nel 2006 da un colpo di stato militare ed è rientrato in Thailandia ad agosto del 2023, dopo 15 anni di esilio. Condannato per corruzione a 8 anni, la sua pena è stata commutata dal re a un solo anno. Alla fine si è limitato a scontare 6 mesi nell’ospedale penitenziario di Bangkok, senza passare una notte in carcere, prima di finire in libertà vigilata (dove non se la passa malissimo). Tutti gli analisti sono concordi nel dire che abbia barattato la sua libertà in cambio di un accordo di governo tra Pheu Thai e militari, escludendo il Move Forward, vincitore delle scorse elezioni.
È accusato di aver diffamato la corona durante un’intervista del 2015 a un giornale sudcoreano, il Chosun Ilbo, nella quale sosteneva che il consiglio privato del re avesse appoggiato il golpe contro sua sorella Yingluck, nel 2014. Secondo alcune analisi, il fatto che sia stato incriminato solo ora dimostrerebbe che il suo rapporto con l’establishment si starebbe nuovamente incrinando, anche per via del suo eccessivo attivismo politico. Per molti il caso intentato contro di lui rappresenta solo un avvertimento e alla fine non verrà condannato. Si vedrà. Intanto, il 18 giugno dovrebbe essergli garantita la libertà su cauzione.
Il matrimonio egualitario
Sempre martedì il senato dovrebbe approvare in via definitiva la legge sul matrimonio egualitario, che entrerebbe in vigore entro la fine dell’anno, 120 giorni dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale (ne avevamo parlato qui). È un giorno storico anche per questo.
Altre notizie in breve. La Thailandia ha fatto domanda per entrare nei BRICS. Un incendio al mercato Chatuchak di Bangok ha ucciso più di mille animali. I thailandesi non sono per niente soddisfatti dell’operato di questo governo.
MYANMAR – I MASSACRI DEL REGIME NON CONTINUANO, PEGGIORANO
Alcuni aggiornamenti con le notizie più importanti arrivate dal Myanmar negli ultimi 20 giorni. La guerra continua, e fa sempre più vittime civili.
- I bombardamenti del regime nel Rakhine hanno ucciso almeno 130 persone nelle prime due settimane di giugno. Altre 29 persone sono morte dopo che un bombardamento ha colpito deliberatamente una festa di matrimonio nel villaggio di Mataw: la giunta sostiene che tra gli invitati c’erano dei membri delle People’s Defence Forces (PDF), le milizie affiliate al governo in esilio (NUG). Secondo il gruppo di ricerca indipendente Nyan Lynn Thit Analytica, solo da gennaio ad aprile il regime ha ucciso 369 civili in almeno 46 massacri, dove per “massacro” si intende un attacco che faccia almeno 5 morti.
- Il 1° giugno è morto Tin Oo. Ex generale, poi politicamente attivo contro l’esercito. Ha fondato la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) insieme ad Aung San Suu Kyi. Il Nikkei racconta qui la sua storia: lettura consigliata.
- Nelle ultime settimane il leader della giunta, Min Aung Hlaing, ha rimpiazzato decine di ufficiali dell’esercito (tra cui il comandante della capitale Naypyitaw, Saw Than Hlaing, sostituito da Soe Min) e diversi membri del governo. Su tutte spicca la rimozione del ministro dell’Unione, Aung Naing Oo, che si occupava di gestire le finanze del regime. Alcuni sono stati rimossi sotto pressioni della Cina, perché potenzialmente collegati al “settore” delle truffe nello Stato Shan, altri per le paranoie di Min Aung Hlaing, che non si fida più quasi di nessuno.
- Il Ta’ang National Liberation Army (TNLA) ha accusato il regime di aver violato il cessate il fuoco, che regge da alcuni mesi dopo la mediazione della Cina, nello Stato Shan. Entrambe le parti – i ribelli della Three Brotherhood Alliance (3BHA) e l’esercito – stanno radunando le truppe. La situazione è in divenire.
- Aggiornamenti dal campo. Il regime ha perso quasi tutti i suoi centri per il commercio transfrontaliero con la Cina (di fatto l’esercito è rimasto solo a Kanpiketi, nello Stato Kachin, ma potrebbe non durare molto), così come sta perdendo il controllo di tutto il confine col Bangladesh. Si combatte per un’autostrada nel sud del paese, mentre avanza l’alleanza Chin.
- Altre cose più in breve. A luglio potrebbe iniziare la leva obbligatoria per le donne. Gli sfollati interni hanno superato i 3 milioni. Il kyat vale sempre meno e il regime se la prende con chi compra e vende appartamenti in Thailandia. La giunta scrivendo una legge per arrestare chi ha una VPN, ma intanto si sta portando avanti. Gli studenti iscritti per l’anno scolastico sono 6,39 milioni: erano 8 milioni nel 2023. Più di 200 mila Rohingya rischiano di morire di fame nel Rakhine, e sono solo una parte degli sfollati. Dovremmo iniziare a parlare di come gestire la “frammentazione” del Myanmar.
FILIPPINE – IL MAR CINESE MERIDIONALE NON È UN POSTO TRANQUILLO
Il 15 giugno è entrata in vigore una disposizione con cui la Cina dà alla sua guardia costiera il potere di trattenere i cittadini stranieri che attraversano le linee di demarcazione stabilite da Pechino nel mar Cinese meridionale. Le detenzioni possono essere estese fino a 60 giorni, senza processo, e le Filippine non l’hanno presa bene. Il presidente Ferdinand Marcos Jr. (già molto duro sul tema mar Cinese meridionale nei suoi discorsi allo Shangri-La Dialogue e nel giorno dell’indipendenza) ha definito la misura «completamente inaccettabile», visto che di fatto si intromette in quella che il diritto internazionale riconosce come Zona Economia Esclusiva (ZEE) delle Filippine. E che potrebbe dunque portare all’arresto di pescatori filippini. Il 17 giugno si è già registrato il primo incidente a largo di Second Thomas: un’imbarcazione della guardia costiera cinese si è scontrata con una nave da rifornimento filippina entrata nelle acque attorno all’atollo. La collisione è stata lieve, ma conferma come da mesi le tensioni nell’area siano in costante aumento.
A maggio la guardia costiera cinese è stata accusata di aver sequestrato e gettato in mare cibo e altri rifornimenti destinati alle truppe filippine di stanza a Second Thomas, e di aver anche ostacolato l’evacuazione di soldati malati. La Cina sostiene invece che alcuni soldati filippini abbiano puntato armi verso gli ufficiali cinesi (Manila nega). Nelle prime settimane di giugno la marina cinese ha tenuto delle esercitazioni nella ZEE filippina, con oltre 140 imbarcazioni coinvolte, e il 14 giugno Pechino ha per la prima volta dispiegato una nave d’assalto anfibia nell’area, vicino alle isole Spratly. Eppure i progetti infrastrutturali della Belt and Road Initiative cinese nelle Filippine continuano senza grandi intoppi: un elemento che dimostra la complessità dei rapporti tra Pechino e Manila, o in generale tra Pechino e i paesi del Sud-Est asiatico.
VIETNAM – (FORSE) ARRIVA PUTIN
Dopo il suo viaggio in Corea del Nord, il presidente russo Vladimir Putin dovrebbe visitare il Vietnam, il prossimo 19 e 20 giugno (manca ancora la conferma ufficiale). Putin era stato invitato nel paese lo scorso marzo dall’allora presidente Vo Van Thuong, ma il caos politico che ne è seguito ha rimandato tutto. Sarà il suo primo viaggio nel paese dal 2017, e gli Stati Uniti non sono proprio contenti. Intanto il 6 giugno l’Assemblea Nazionale ha approvato la nomina del tenente generale Luong Tan Quang a ministro della Sicurezza Pubblica. Quang sostituisce To Lam, diventato presidente del paese, ma non è un membro del politburo del Partito Comunista del Vietnam (CPV): ci si aspetta venga promosso nelle prossime settimane, altrimenti il rischio è che la legittimità del suo mandato potrebbe risentirne.
Altre cose in breve. Come anticipato qui, il Vietnam sta costruendo sempre più isole artificiali nel mar Cinese meridionale (ora ci sono i numeri). Il giornalista Truong Huy San, anche conosciuto come Huy Duc, è stato arrestato per via delle sue critiche al governo. La comunità internazionale ha chiesto il suo rilascio, ma come lui altre centinaia di attivisti politici sono in carcere per aver manifestato pubblicamente il proprio dissenso nei confronti del CPV.
PAKISTAN – UN’ALTRA ASSOLUZIONE E CE LA FAI, IMRAN
Il 3 giugno l’Alta corte di Islamabad ha assolto l’ex primo ministro Imran Khan e il suo ex ministro degli Esteri, Shah Mahmood Qureshi, nel processo in cui i due sono stati accusati di aver diffuso dei segreti di stato (e per il quale erano stati condannati a 10 anni in primo grado). Ora, dopo che un’altra condanna per corruzione è stata sospesa a maggio, su Khan pende solo un’altra sentenza, quella a 7 anni per aver stipulato un matrimonio illegale con sua moglie (qui per maggiori dettagli). Se dovesse ricevere un’altra assoluzione potrebbe uscire dal carcere, dove è rinchiuso da agosto del 2023.
Come avevano anticipato qui, la situazione giudiziaria e politica del fondatore del Movimento per la Giustizia del Pakistan (PTI) sembra tutt’altro che definitiva. L’attuale leader del PTI, Gohar Khan, ha detto che Imran sarebbe anche pronto a parlare con il governo riguardo le questioni più pressanti per il Pakistan, come la legge di bilancio per il 2024-2025, anche se poi altri vertici del partito hanno smentito. In ogni caso Khan è più presente sui media – ha persino rilasciato un’intervista – e abbiamo anche delle immagini della sua cella: a quanto pare apprezza Oriana Fallaci.
LINK DALL’ALTRA ASIA
La costruzione del canale Funan Techo, in Cambogia, comincerà ad agosto, ha detto il primo ministro Hun Manet. Gli Stati Uniti stanno tentando di rafforzare i legami con Phnom Penh, che negli ultimi anni si è decisamente avvicinata a Pechino (come forse suggerisce il fatto che una strada della capitale sia stata rinominata “Xi Jinping Boulevard”). Wang Wenbin, ex portavoce del ministero degli Esteri cinese, è il nuovo ambasciatore di Pechino in Cambogia. E l’ex premier Hun Sen ha ammesso di aver parlato per anni regolarmente con la CIA.
La Malaysia vuole formare 60 mila ingegneri per diventare un hub di produzione dei microchip. E intanto un nuovo porto verrà costruito a Kualu Lumpur per rafforzare il ruolo del paese all’interno dei commerci marittimi internazionali.
I primi viaggi all’estero del nuovo premier di Singapore, Lawrence Wong, sono stati in Brunei e Malaysia. Poi si continua a speculare sul fatto che le elezioni si terranno a settembre, anche se è «improbabile», hanno detto alcuni analisti allo Straits Times.
L’economia laotiana non se la passa così male (+4,7% del PIL nei primi sei mesi del 2024), ma l’inflazione è altissima (25,8% a maggio). Intanto il premier Sonexay Siphandone ha promesso di combattere la deforestazione.
Nel primo trimestre del 2024 i paesi ASEAN hanno esportato più negli Stati Uniti che in Cina, con il Vietnam in testa (ne abbiamo parlato qui).
Asia Centrale. L’attacco al giornalismo e alla libertà di stampa, in Kirghizistan. La scorsa settimana il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol ha visitato Tukmenistan, Kazakistan e Uzbekistan: qui un resoconto.
A cura di Francesco Mattogno