Il bilancio dei colloqui tra il presidente russo e quello cinese a Pechino. Ampia intesa sul fronte politico e retorico, si parla in profondità anche di economia e commercio. Ma la Cina detta i tempi sull’energia
Le relazioni sono a un livello “senza precedenti”, dice la Russia. O forse no. Abbiamo “a cuore le relazioni” e le vogliamo “coltivare”, risponde la Cina. Xi Jinping e Vladimir Putin, al 43esimo incontro tra leader in poco più di dieci anni, mandano in scena l’ultimo episodio della loro conclamata amicizia tra segnali di allineamento totale e parziali distinguo. Reduce dal primo tour europeo in oltre cinque anni, il presidente cinese ha accolto quello russo a Pechino per la terza volta in poco più di 27 mesi, quelli trascorsi dall’invasione dell’Ucraina.
Al di là delle scelte lessicali nelle dichiarazioni e nel documento congiunto di settemila parole, Xi offre a Putin la passerella d’onore su piazza Tiananmen nel suo primo viaggio all’estero dopo la rielezione, così come era successo a parti opposte a marzo 2023. Strette di mano, sorrisi, canzoni militari e allineamento quasi totale su tutti i dossier di politica estera. “I nostri colloqui hanno riaffermato che abbiamo opinioni simili o identiche su molte questioni internazionali e regionali”, ha detto Putin. “Entrambi abbiamo una politica estera indipendente. Stiamo lavorando insieme per creare un ordine mondiale multipolare più giusto e più democratico”, ha aggiunto, citando gli sforzi per rafforzare piattaforme multilaterali come l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai e i Brics, il cui summit annuale (il primo allargato ai cinque nuovi membri) si terrà nei prossimi mesi a Kazan. Dopo aver magnificato la leadership di Xi e la sua proposta per un negoziato di pace sull’Ucraina, Putin ha ribadito l’appoggio alla “volontà della Cina di svolgere un ruolo costruttivo nella risoluzione della crisi attraverso canali politici e diplomatici”. Xi, come sempre, sostiene che “per risolvere in modo duraturo la crisi ucraina sia necessario tenere conto dei legittimi interessi e delle preoccupazioni di sicurezza di tutti i Paesi”. Nella prospettiva cinese, ciò significa che va ascoltata la prospettiva di Mosca interrompendo l’invio di armi a Kiev e abbandonando le sanzioni.
La critica a Stati uniti e Nato, tacciate di “mentalità da guerra fredda” è funzionale alla Cina per denunciarne le manovre nel suo vicinato. “Gli Usa hanno iniziato ad adottare misure per schierare sistemi missilistici terrestri a raggio intermedio in Asia-Pacifico”, si legge nel documento congiunto. In risposta, i due leader mirano a rafforzare la “cooperazione nella sfera militare e ad espandere la portata delle esercitazioni e dell’addestramento congiunto”. Se Usa e Nato vengono descritte come forze portatrici di caos e rischi per la sicurezza, Cina e Russia dicono che il loro rapporto è “una forza di stabilità”.
Andando però oltre la retorica, è tutto da vedere se Xi fornirà tutto l’aiuto che Putin vorrebbe. Il presidente cinese ha garantito a Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen che non sosterrà lo sforzo bellico di Mosca e che eserciterà maggiore controllo sulla spedizione di dispositivi a potenziale doppio utilizzo. Sul fronte economico, negli ultimi mesi le banche cinesi hanno posto maggiori ostacoli alle transazioni con la Russia per il timore delle sanzioni. E a marzo si è registrato un calo del 15% delle esportazioni cinesi in Russia su base annuale. La presenza, insieme a Putin, della governatrice della banca centrale Elvira Nabiullina e del ministro delle Finanze Yuri Ushakov suggerisce che si sia parlato anche di qualche possibile contromisura creativa.
I colloqui hanno toccato un ampio ventaglio di settori. Dall’automotive, con Mosca che ha aperto all’importazione di ancora più veicoli elettrici cinesi. Si rinnova poi l’impegno a incrementare le relazioni nel settore creditizio e in quello tecnologico e si sottolinea che ormai il 90% di tutti gli scambi bilaterali avviene con yuan o rubli, non dollaro o euro. Spazio come sempre anche all’energia. La Cina, come l’India, ha nettamente aumentato l’import di petrolio dalla Russia negli ultimi due anni. Tanto che Mosca ha scalzato l’Arabia saudita come primo fornitore. Ma sul gas sembra andare a un ritmo diverso da quello desiderato dal Cremlino. Nel 2022 Gazprom ha firmato un accordo per la fornitura di ulteriori 10 miliardi di metri cubi all’anno, con flussi previsti a partire dal 2027. Le esportazioni di gas potrebbero arrivare a un totale di 98 miliardi di metri cubi con il nuovo gasdotto Forza della Siberia 2, su cui però stentano per ora ad arrivare dettagli definitivi. Con uno sguardo verso il futuro, c’è chi sostiene che presto il settore fotovoltaico cinese possa entrare in competizione coi produttori russi di gas naturale.
Nessuna citazione del nuovo gasdotto nei colloqui e documenti di ieri, significativo che nella nutrita delegazione di Putin non figurava l’amministratore delegato di Gazprom. Mentre la dipendenza russa nei suoi confronti aumenta, la Cina sa di avere partner alternativi e vuole probabilmente far pesare i nuovi rapporti di forza a suo vantaggio per ottenere condizioni ancora migliori. Semplicemente, vuole dettare i tempi, che non sono necessariamentre gli stessi di quelli desiderati da Mosca.
Di Lorenzo Lamperti
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.