Il neo-eletto primo ministro delle Isole Salomone, Jeremiah Manele, era il ministro degli Esteri del precedente governo di Manasseh Sogavare, che a sua volta è stato nominato ministro delle Finanze del nuovo esecutivo. Si mischiano le carte ma a Honiara continua a comandare la stessa leadership, sempre molto vicina a Pechino. Anche se Manele è visto come una figura più aperta al dialogo con l’occidente
Dopo cinque anni le Isole Salomone hanno un nuovo primo ministro. Si chiama Jeremiah Manele, ha 56 anni e la fama di essere una figura affabile, di certo meno controversa del suo predecessore, Manasseh Sogavare. Le differenze tra i due, però, finiscono quasi tutte qui. Manele è stato il ministro degli Esteri di Sogavare durante il suo mandato da premier, ovvero dal 24 aprile 2019 al 17 aprile 2024, giorno in cui si sono tenute le elezioni nell’arcipelago. In questo periodo, dall’alto del suo ruolo, Manele ha contribuito in modo determinante allo storico riposizionamento internazionale di Honiara, che nel settembre 2019 ha rotto le relazioni diplomatiche con Taiwan (che duravano da 36 anni) per riconoscere la Repubblica popolare cinese come “unica Cina”.
Proprio sui rapporti tra le Isole Salomone e Pechino si sono concentrate la maggior parte delle analisi sul voto nell’arcipelago, che diversi osservatori hanno descritto come una sorta di referendum con il quale la popolazione avrebbe dovuto scegliere se posizionarsi con la Cina o con Taiwan, e quindi più esplicitamente con i paesi occidentali. Come quasi sempre accade, però, è probabile che le questioni di politica estera non abbiano inciso poi così tanto sull’esito delle elezioni, che hanno visto il partito di Sogavare e Manele (Proprietà, Unità e Responsabilità, OUR) perdere diversi seggi rispetto alla precedente legislatura.
Le Isole Salomone sono un paese composto da centinaia di isole in cui sono distribuiti 700 mila abitanti, che per circa l’80% abitano fuori dalla capitale Honiara, situata sull’isola di Guadalcanal. La maggior parte dei residenti dell’arcipelago non ha facile accesso all’elettricità o a servizi di base come istruzione, sanità e trasporti pubblici. Durante i cinque anni di mandato di Sogavare l’economia del paese non ha fatto grandi passi in avanti, e anzi si trova in uno stato «precario», ha detto il governatore della banca centrale Luke Forau.
Una delle ricette di Sogavare per stimolare lo sviluppo infrastrutturale dell’arcipelago è stata quella di affidarsi agli investimenti cinesi. Pechino ha costruito strade, porti, stadi e torri di telecomunicazione, ma soprattutto nel 2022 ha firmato con Honiara un accordo di sicurezza che prevede, tra le altre cose, la possibilità per la polizia o i militari cinesi di intervenire sul territorio delle Isole Salomone su richiesta del governo. Che la crescente influenza cinese su Honiara, insieme alla precaria situazione economica del paese, abbia contribuito alla perdita di consenso nei confronti dell’OUR è comunque possibile, visto che la scorsa legislatura è stata caratterizzata da varie proteste di massa, anche anti-cinesi.
L’OUR ha ottenuto 15 dei 50 seggi da cui è composto il parlamento nazionale, un risultato modesto che ha spinto Sogavare a fare un passo indietro e a candidare Manele al suo posto per il ruolo da primo ministro. Il premier nelle Isole Salomone viene eletto da una maggioranza parlamentare che si forma sempre a seguito di trattative a porte chiuse, su cui hanno una certa influenza i candidati indipendenti (in questa tornata elettorale ne sono stati eletti 10). Il sistema politico del paese non gode di una grande fama, visto che secondo gli osservatori è facile che ai deputati venga offerto del denaro e un ruolo di spicco nel governo per cambiare schieramento.
Così, nonostante lo scarso risultato elettorale, la coalizione guidata dall’OUR è riuscita a raggiungere la maggioranza dei seggi (31 su 50). Il 2 maggio Manele ha giurato da primo ministro, e per prima cosa ha promesso che risollevare l’economia del paese sarà la sua «priorità». In un segno non troppo incoraggiante di continuità con il recente passato economico del paese, però, ha scelto come ministro delle Finanze proprio Sogavare.
Sul fronte internazionale, in una sua intervista all’emittente australiana ABC il nuovo premier ha detto che Honiara è «amica di tutti e nemica di nessuno», un atteggiamento di classico equilibrismo che, a detta di diversi analisti, potrebbe però essere molto più autentico di quello del suo predecessore, considerato più radicale nel suo posizionamento filo-cinese. In passato Manele ha servito come incaricato d’affari delle Isole Salomone alle Nazioni Unite, è conosciuto a livello internazionale e si ritiene abbia buoni rapporti anche con Australia, Stati Uniti e Giappone, non solo con la Cina.
Nonostante sia plausibile che Manele darà seguito all’amicizia tra Honiara e la Pechino, visto il suo trascorso nel precedente governo, la sua nomina potrebbe aver momentaneamente messo in stand by i timori dei paesi occidentali, preoccupati che l’accordo di sicurezza con Pechino possa prevedere in futuro una più chiara cooperazione tra i rispettivi eserciti e l’accesso dei soldati cinesi alle basi militari del paese. I primi mesi della nuova legislatura serviranno a capire quanto il nuovo governo assomiglierà al precedente nel suo approccio alla Cina, o se ci sarà spazio di manovra e corteggiamento per gli Stati Uniti e i loro alleati nella regione.
Intanto l’ex premier di Malaita (l’isola più popolosa delle Salomone), Daniel Suidani, ha rinunciato a cercare un nuovo mandato da capo del governo locale (il 17 aprile si è votato anche a livello provinciale). Nonostante la sua coalizione non sia riuscita a ottenere la maggioranza per un solo seggio, la rielezione a premier di Suidani, che ha stravinto nella sua circoscrizione, sembrava solo una formalità. La sua rinuncia potrebbe avere a che fare proprio con le pressioni di Pechino. Suidani è uno dei più forti oppositori agli investimenti cinesi nel paese, e a febbraio del 2023 era stato rimosso da premier provinciale a seguito di un voto di sfiducia voluto dai membri pro-Pechino dell’assemblea locale. Già prima della rinuncia aveva detto al Sunday Guardian che ad alcuni deputati del suo partito era stato offerto l’equivalente di 35 mila dollari per sostenere un altro candidato.
A cura di Francesco Mattogno