Il segretario di Stato americano a Pechino per la seconda volta in dieci mesi. Continua il dialogo, ma il disaccordo resta su tutti i dossier principali
Quando è sceso dalla scaletta dell’aereo, a riceverlo c’era un semplice funzionario dell’ufficio degli affari esteri della città di Shanghai. L’accoglienza riservata ad Antony Blinken fa già intuire che la visita del segretario di stato americano in Cina è tutt’altro che semplice. Già, perché un paio di settimane fa a Guangzhou c’era il viceministro delle Finanze Liao Min a ricevere la segretaria al Tesoro Janet Yellen. A Pechino e dintorni, d’altronde, considerano lei una colomba e lui un falco. Certo, i rapporti tra le due potenze non sono al minimo storico raggiunto dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan e la cancellazione della visita dello stesso Blinken a causa della vicenda del presunto pallone spia. Ma la stabilizzazione del disaccordo avviata la scorsa primavera e culminata a novembre nel summit di San Francisco tra Joe Biden e Xi Jinping, rischia ora di essere messa a dura prova. Basti pensare che l’arrivo di Blinken è stato anticipato di qualche ora dalla firma di Biden al pacchetto di leggi che prevede otto miliardi di dollari di aiuti militari per Taiwan e impone alla cinese Bytedance la cessione di TikTok entro nove mesi per evitarne il divieto.
Segnale di “mentalità egemonica”, si legge sui media cinesi, col Quotidiano del Popolo che invita Washington ad abbandonare “l’illusione di relazionarsi con la Cina da una posizione di forza”. Nelle 36 ore trascorse a Shanghai, che hanno portato i media cinesi a rievocare il 52esimo anniversario dello storico comunicato del 1972 che diede il via alla normalizzazione dei rapporti diplomatici, Blinken ha usato toni morbidi. “Questa è una magnifica città, un centro commerciale in continua evoluzione”, ha detto a Chen Jining, segretario del Partito comunista locale, dopo aver incontrato gli esponenti delle circa ottomila compagnie statunitensi operanti nella metropoli. Accompagnato dall’ambasciatore Nicholas Burns, Blinken si è anche concesso una cena al celebre giardino del mandarino Yu e una partita degli Shanghai Sharks, squadra di basket dove militano dei giocatori americani.
Le scintille sono state riservate a venerdì, il giorno dei colloqui (ne ho scritto qui). “Se non si fanno progressi, significa che si sta tornando indietro”. Com’è solito fare, Xi Jinping ha sintetizzato con un antico detto cinese il significato dell’incontro con Blinken. Il segretario di stato americano è stato ricevuto dal presidente cinese nel pomeriggio, al termine della sua visita di tre giorni. Entrambe le parti hanno sottolineato più volte che l’obiettivo dei colloqui era quello di mantenere il dialogo, ma hanno usato l’occasione soprattutto per ribadirsi quanto sono in disaccordo. “Dovremmo essere partner, non rivali. Noi siamo pronti a cooperare ma per farlo bisogna essere in due”, ha detto Xi, prima di mandare alcune frecciatine. “Non si può dire una cosa e poi farne un’altra”, ha accusato, prima di invitare Washington a non impegnarsi in “piccoli circoli”, in riferimento alle manovre regionali degli Usa che secondo la Cina sono mirate a costruire una sorta di Nato asiatica dedita al suo contenimento.
Anche Blinken non ha risparmiato critiche. Alla fine degli incontri, ha dichiarato alla Cnn che ci sarebbero le prove del tentativo della Cina di “influenzare e interferire” con le elezioni presidenziali americane del prossimo novembre: “Lo consideriamo totalmente inaccettabile”, ha detto, prima di sottolineare la possibile adozione di nuove sanzioni contro istituzioni finanziarie cinesi per il presunto sostegno alla Russia: “Siamo del tutto pronti ad agire per adottare misure aggiuntive. L’ho detto molto chiaramente. La Russia avrebbe maggiori problemi nella guerra contro l’Ucraina se non avesse il sostegno della Cina. E così facendo sta contribuendo ad alimentare la più grande minaccia alla sicurezza dell’Europa dalla fine della guerra fredda”.
La questione del presunto invio di componenti e beni con doppio uso è stata al centro delle discussioni tra Blinken e il ministro degli Esteri Wang Yi, il vero cuore diplomatico della giornata. Le accuse americane vengono bollate come “false” e “ipocrite”. Nella prospettiva cinese, sono proprio gli Usa a “gettare benzina sul fuoco” continuando a inviare armi in Ucraina invece di favorire un negoziato. Posizione che Wang ha ribadito, ammonendo: “Le relazioni si sono in generale stabilizzate, ma i fattori negativi continuano ad aumentare e ad accumularsi” tanto che i rapporti rischiano di tornare a una “spirale discendente”. Tra i nodi principali c’è ovviamente Taiwan, la prima delle “linee rosse” che Wang ha chiesto agli Usa di “non calpestare” su “sovranità, sicurezza e interessi di sviluppo della Cina”. A Pechino osserveranno con attenzione i movimenti della delegazione americana inviata all’insediamento del neo presidente taiwanese Lai Ching-te, previsto il 20 maggio.
Il riferimento di Wang non è comunque solo allo Stretto, ma anche alle dispute territoriali con le Filippine nel mar Cinese meridionale e al rafforzamento del sistema di alleanze di Washington nell’Asia-Pacifico. Quando Wang parla di sviluppo pensa invece alle restrizioni e alle tariffe che gli Usa potrebbero presto introdurre su batterie, pannelli solari e auto elettriche.
Blinken ha spiegato che il dossier TikTok non è emerso nei colloqui, ma intanto la casa madre cinese ByteDance non pare intenzionata a cedere l’app di video brevi, come impone di fare entro nove mesi la legge firmata nei giorni scorsi da Joe Biden. Troppo importante l’algoritmo, alla base anche del funzionamento di Douyin, il “gemello cinese” di TikTok. Senza un complicato scorporo degli algoritmi, che potrebbe consentire di evitare il no del governo di Pechino, l’azienda preferirebbe andare incontro al divieto. Sempre che TikTok esca sconfitta da una battaglia legale che ha già annunciato di voler combattere in tutte le sedi possibili.
Tra i tanti ostacoli, spunta anche qualche spiraglio di cooperazione. Per esempio sull’intelligenza artificiale, tema su cui sono stati annunciati i primi colloqui bilaterali nelle prossime settimane. Rilevante anche l’incontro tra Blinken e Wang Xiaohong, ministro di Pubblica sicurezza, durante il quale si è convenuto di intensificare il contrasto al traffico illegale di fentanyl, oppioide responsabile di decine di migliaia di morti all’anno negli Stati uniti. Comune auspicio anche sull’aumento degli scambi culturali e universitari, mentre Blinken ha riconosciuto alla Cina un possibile ruolo per “favorire il calo delle tensioni in Medio oriente”. In queste ore, tra l’altro, i rappresentanti di Hamas e Fatah starebbero parlando proprio in Cina. Secondo il quotidiano libanese al-Liwaa, sono a Pechino due delegazioni. La prima sarebbe guidata dal vice capo dell’ufficio politico di Hamas, Moussa Abu Marzouk, la seconda dal membro del comitato centrale di Fateh, Azzam al-Ahmad. A metà marzo, l’inviato cinese Wang Kejian aveva incontrato in Qatar il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh.
Insomma, la stabilizzazione del disaccordo prosegue ma all’orizzonte ci sono diversi ostacoli in grado di farla deragliare. Basti pensare all’agenda delle prossime settimane, che prevede per Xi un tour in Europa con tappe a Belgrado (in occasione dell’anniversario del bombardamento dell’ambasciata cinese nel 1999) e Ungheria, Paese non certo allineato alla politica estera di Washington e Bruxelles. In seguito, Xi riceverà di nuovo a Pechino il presidente russo Vladimir Putin, che non a caso ha maliziosamente confermato la sua prossima visita in Cina durante il viaggio di Blinken. La conferma cinese, da prassi, arriverà più a ridosso della data.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.