Cronaca di una drammatica settimana di politica taiwanese, con l’accordo nell’opposizione per una candidatura unitaria che salta in livestreaming tra accuse incrociate. Lai Ching-te della maggioranza Dpp sceglie come vice l’ex rappresentante negli Usa Hsiao Bi-khim ed è il grande favorito. Nell’opposizione si ritira Gou Taiming dopo l’indagine della Cina sulla sua Foxconn. Restano Hou Yu-ih del Guomindang e Ko Wen-je del People’s Party. Gli scenari a 50 giorni dal voto. Il racconto di Lorenzo Lamperti da Taipei
Lai Ching-te. Hou Yu-ih. Ko Wen-je. Uno tra questi nomi sarà quello del prossimo presidente della Repubblica di Cina, Taiwan. Tre candidati uomini. Tre figure molto diverse l’una dall’altra che avremo modo di parlare in modo approfondito. Il primo è un politico di lungo corso e leader dell’ala più radicale del Partito progressista democratico (Dpp), quello più inviso a Pechino. Il secondo è un ex poliziotto, sindaco di Nuova Taipei e candidato del Guomindang (Gmd), il partito che fu di Chiang Kai-shek. Il terzo è un ex chirurgo ed ex sindaco di Taipei, che si è costruito la fama di figura pragmatica e alternativa alla tradizionale polarizzazione politico-identitaria-ideologica dei due partiti principali fondando il Taiwan People’s Party (Tpp). Salvo poi perdere molto del capitale costruito negli ultimi dieci, drammatici e controversi, giorni. Prima delle ore 17 di venerdì 24 novembre, scadenza utile a presentare le candidature per le elezioni presidenziali e legislative del 13 gennaio prossimo è successo di tutto. Proviamo a ripercorrerlo in un resoconto per forza di cose parziale ma osservato direttamente dai luoghi in cui è andata in scena la rottura dell’opposizione che potrebbe risultare decisiva in vista delle elezioni. A seguire una prima panoramica dei candidati e dei loro vice, sei figure che approfondirò poi in modo dettagliato una per una nelle prossime settimane. Infine, un primo scenario a 50 giorni dal voto.
Cronaca di una morte annunciata
A differenza del romanzo di Gabriel Garcia Marquez qui non ci sono morti vere, ma le ambizioni di vittoria dell’opposizione ne escono quantomeno profondamente ferite. Ore 16.45 di giovedì 23 novembre. Hou Yu-ih, Chu Li-luan (presidente del Gmd) e Ma Ying-jeou (ex presidente di Taiwan) arrivano in auto con lampeggianti davanti al Grand Hyatt Hotel di Taipei, due passi dal municipio. All’interno ci sono già Ko Wen-je e Gou Taiming. Il momento è decisivo. Tra i molti giornalisti presenti si inizia a pensare che possa arrivare davvero il colpo di scena, con l’annuncio di un accordo dell’opposizione che ribalterebbe in modo netto i pronostici in vista del voto del 13 gennaio. A 24 ore dalla scadenza delle candidature le tre anime dell’opposizione si incontrano dopo vari giorni di tatticismi e accuse incrociate. Almeno da sabato 18 novembre, il giorno in cui la Fondazione di Ma avrebbe dovuto annunciato il candidato unitario dopo l’accordo sottoscritto tre giorni prima. Annuncio mai arrivato, come raccontato qui.
Dopo 5 giorni di stallo alla messicana, con Gmd e Tpp a ripetere di essere pronti a parlarsi di nuovo ma senza mai fare il primo passo, sono tutti riuniti nello stesso luogo. La sera prima Gou aveva pubblicato un carteggio contenente le presunte conversazioni avute con Hou e Ko in cui sostanzialmente gli sarebbe stato chiesto di fare da mediatore. Il patron della Foxconn, la cui candidatura appariva naufragata già da alcune settimane dopo l’annuncio dell’indagine fiscale sulla Foxconn da parte delle autorità cinesi, propone un incontro in serata. Piccolo dettaglio: Hou si trova a Tainan a 3 ore circa di distanza da Taipei per un comizio.
Si entra nella giornata di giovedì. Hou va negli uffici di Ma (dove era stato sottoscritto l’accordo del 15 novembre) e annuncia di aspettare lì Ko. Ko va da Gou e annuncia di aspettare lì Hou. Per diverse ore nessuno si muove, il luogo dell’incontro ha una valenza anche simbolica per stabilire i rapporti di forza di fronte all’opinione pubblica. La sensazione netta che avevo espresso già mercoledì è che la priorità di Gmd e Tpp, più che trovare un accordo, sia quella di additare l’altro come il colpevole della rottura dell’accordo. Già, perché la negoziazione appare sostanzialmente impossibile. Il Gmd chiede a Ko di accettare la candidatura alla vicepresidenza facendo valere l’accordo sottoscritto il 15 novembre e il peso del partito, incomparabilmente maggiore rispetto al più piccolo Tpp. Ko chiede invece di essere lui il candidato presidente, sostenendo di essere la scelta preferita dall’elettorato più giovane (punto debole del Gmd) e dunque maggiormente in grado di vincere la contesa con Lai.
Possibile soluzione: Gou si propone di ospitare l’incontro in territorio “neutrale” al Grand Hyatt. Un paio d’ore di dubbi, poi la decisione: l’incontro si fa. Si pensa possa essere la svolta. Ma in pochi minuti diventa subito chiaro che la sensazione che avevo espresso il giorno prima era quella corretta: l’incontro non è funzionale a un accordo ma a scaricare la colpa del mancato accordo che rischia di gettare al vento una possibile (probabile?) vittoria alle presidenziali. La chiarezza c’è quando i giornalisti vengono fatti accomodare dentro la grande sala da ballo del Grand Hyatt. Niente colloquio a porte chiuse, ma confronto pubblico con tanto di livestreaming.
Hou, Chu e Ma prendono posto. Aspettano per circa 15 minuti con due sedie vuote. Poi appaiono Ko e Gou.
90 minuti a disposizione, parte il countdown sul timer al fianco della tavolata.
Inizia a parlare Gou. Non usa certo toni concilianti col Gmd (che gli ha preferito Hou come candidato così come nel 2019 gli aveva preferito Han Kuo-yu). Gou vuole un incontro in privato e in 3 e non in 5, chiedendo dunque a Ma e Chu di non partecipare. Poi toglie la parola a Hou e chiede di parlare a Chu, che resta educato: “I cittadini vogliono unità nell’opposizione). Poi tocca a Hou: dice che Chu e Ma sono stati invitati da Ko e che il Gmd non intende trattare con Gou, la cui presenza è funzionale solo in vece di testimone. “Gou cerca solo una scusa per ritirare la candidatura, non è un nostro interlocutore”, sentenzia Hou.
La disposizione dei posti intanto assume una connotazione molto precisa. Chu e Hou “blocco Gmd”) più vicini sul lato sinistro del tavolo, Ko e Gou “blocco nuova opposizione” più vicini al lato destro del tavolo, Ma che sposta impercettibilmente la sedia verso il centro per provare ad assumere una posizione di relativa equidistanza. Un’immagine che plasticamente potrebbe anche rappresentare una garanzia per Pechino, visto che Ma viene considerata la figura più affidabile dalla Repubblica Popolare Cinese, dove l’ex presidente si è recato in una storica visita lo scorso aprile in concomitanza del doppio transito della presidente Tsai Ing-wen negli Stati Uniti. Ma sta lì al centro e non interviene mai.
Ko parla per ultimo e più brevemente degli altri. Anche lui chiede colloqui privati a 3, cercando di far pesare l’appoggio incassato da Gou come leva negoziale per ottenere la candidatura presidenziale. Niente da fare: Hou non cede e sostiene che il confronto si possa e si debba fare in pubblico. Da tenere presente che il Gmd è stato spesso criticato in passato per la poca trasparenza: si tratta del partito più antico e per alcuni antiquato della scena taiwanese. Dopo le controversie sul primo accordo da cui Ko si è poi sfilato, il Gmd non intende lasciare spazio ad altre ambiguità. Mossa comprensibile.
Mancano ormai solo 40 minuti. Qui arriva forse il momento più paradossale. Viene annunciata una pausa di “alcuni minuti”. Escono tutti dalla sala, con giornalisti al seguito. Passano letteralmente non minuti, ma secondi e tornano tutti indietro. Tranne Gou, che dice di dover andare in bagno, salvo poi essere ripreso a bersi un tè nel foyer. Restano il Gmd e Ko. E qui il confronto diventa uno scambio di accuse su chi non mantenga la parola data. Ko prende in giro Hou per essersi portato “2 babysitter” in riferimento a Chu e Ma, Hou risponde leggendo in pubblico la chat in cui il molto teorico alleato invitava entrambi. Ko si arrabbia, iniziano a litigare anche i portavoce. Chu interviene per zittirli, ma ormai è tardi. Ko continua a chiedere di superare la “logica di partito” e parlare tra candidati per scegliere il nome migliore, il Gmd gli chiede di rispettare gli accordi già presi. Nulla. Chu si mette anche a litigare col portavoce di Gou.
Scade il tempo: il Gmd lascia la sala con Chu visibilmente arrabbiato. Nessuna parola definitiva anche se la frattura è avvenuta sotto gli occhi di tutti. Dalla hall arrivano le canzoni di Natale suonate da un’orchestra di bambini. Rientrano Ko e Gou che si dicono delusi per il risultato dell’incontro. “Il sole sorgerà ancora domani”, dice Gou, che poi se ne va continuando ad augurare un “felice giorno del Ringraziamento” ai giornalisti. Finita, con uno dei momenti più drammatici e insieme assurdi della politica taiwanese. Venerdì 24 novembre l’opposizione va a registrare le candidature separate.
Lai Ching-te e Hsiao Bi-khim (Dpp)
Mentre si consumava la battaglia nell’opposizione, la maggioranza del Dpp si era già mosso con ampio anticipo, osservando però con preoccupazione il raggiungimento di un possibile accordo unitario. Lunedì 20 novembre, come anticipato una settimana prima, Lai ha annunciato Hsiao Bi-khim come candidata alla vicepresidenza. La scelta, ampiamente attesa, manda diversi segnali rilevanti. Per candidarsi, Hsiao ha lasciato il posto da ambasciatrice de facto negli Stati Uniti, dove negli scorsi mesi ha accolto sia Tsai sia Lai. Insieme al candidato presidente si era fatta fotografare a una partita di baseball con due magliette che già avevano in qualche modo anticipato la scelta.
Eppure, Hsiao e Lai sono parecchio diversi. La prima è nata in Giappone da madre caucasica americana e padre pastore presbiteriano taiwanese. Viene considerata una confidente della presidente Tsai ed è esponente della corrente più moderata del Dpp, nonostante il Partito comunista cinese l’abbia inserita nella lista nera di quelli che definisce “secessionisti” dopo aver lavorato al transito di Tsai negli Usa. In realtà, come ricorda Wen Ti-sung, in passato era stata persino presa di mira dalla parte più radicale del Dpp che l’aveva etichettata “China’s Khim”. Lai è invece colui che aveva portato il Dpp a un passo dalla scissione nel 2019, quando contestava apertamente la leadership di Tsai. Frattura ricomposta in tempo delle elezioni del 2020 con la promessa di vicepresidenza allo stesso Lai.
La scelta di Hsiao ora rappresenta dunque una garanzia per la componente del Dpp che resterà “orfana” di Tsai (figura ben più pragmatica e meno “politica” di Lai, più prevedibile anche agli occhi di Pechino nonostante la retorica su di lei, visto che in passato aveva guidato l’Ufficio per gli Affari continentali di Taipei che si occupa proprio di mantenere i rapporti con la Repubblica Popolare). Di più: Hsiao è apprezzata soprattutto nella componente più urbana, Lai invece ha il suo zoccolo duro nel sud di Taiwan dopo aver iniziato la sua ascesa politica nel feudo Dpp di Tainan. Ma Hsiao è una garanzia anche per gli Usa, che hanno conosciuto bene Hsiao in questi anni e si fidano presumibilmente più di lei rispetto a un Lai che ha sì dato a più riprese garanzie di seguire la linea pro status quo di Tsai ma è incline a uscite potenzialmente sensibili come quando a luglio disse di voler vedere un giorno vedere entrare alla Casa Bianca un leader taiwanese.
Giovedì 23 novembre Hsiao ha incontrato la stampa internazionale. “È importante che la comunità internazionale, che concorda con la nostra posizione di mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan, chiarisca alle nostre controparti al di là dello Stretto di Taiwan che il dialogo è l’unico modo per risolvere le differenze. La guerra non è un’opzione”, ha dichiarato tra le altre cose. Lai ha intanto reiterato la sua cornice retorica in vista del voto come una scelta “tra democrazia e autoritarismo”. Mentre circolano meme dei sostenitori del Dpp che giocano sui due nomi e li presentano con Washington sullo sfondo.
Hou Yu-ih e Jaw Shau-kong (Gmd)
Venerdì 24 novembre ha depositato la sua candidatura Hou. Come vice, il Gmd ha scelto un nome molto noto all’opinione pubblica taiwanese: Jaw Shau-kong. Già ex politico del Gmd, nel 1993 ne uscì durante la presidenza di Lee Teng-hui (qui un mio ritratto) per fondare il New Party, forza poi tramontata che aveva posizioni più nette a favore della unificazione con la Cina continentale. Jaw è poi passato al mondo dei media ed è arrivato alla presidenza della Broadcasting Corporation of China (BCC). Presenza fissa in televisione, è un noto polemista che utilizza toni molto netti.
Dal 2021 era rientrato nel Gmd poco prima del ritorno di Chu alla presidenza del partito (processo che avevo raccontato qui). Hou ha presentato Jaw come suo compagno di corsa, lodandolo come “il candidato più formidabile, capace e pronto a combattere”. Jaw, 73 anni, ha una connotazione diversa da quella di Hou. Intanto, è un waishengren di seconda generazione, cioè figlio di genitori provenienti dalla Cina continentale dopo la fine della colonizzazione giapponese, mentre Hou è un benshengren (dunque un nativo taiwanese di etnia han). Nel 1994 disse tutti i waishengren sarebbero stati gettati nel fiume Tamsui dai benshengren se Chen Sui-Bian (futuro presidente Dpp dal 2000 al 2008) avesse vinto le elezioni a sindaco di Taipei nel 1994. Ha poi una connotazione più “blu scura” rispetto a quella di Hou, garanzia per tenersi lo zoccolo duro dell’elettorato del Gmd.
Senza dimenticare che Jaw ha maggiore esperienza di politica internazionale (in passato ha spesso criticato gli Stati Uniti) rispetto a Hou e anche maggiori capacità comunicative. La sua scelta sembra dunque conservativa e mirata soprattutto a “salvare” l’elettorato tradizionale, evitando un travaso verso il Tpp. Insomma, se bisogna perdere si deve assolutamente quantomeno evitare di arrivare terzi alle presidenziali.
Ko Wen-je e Wu Hsin-ying (Tpp)
Poco prima di Hou, anche Ko ha presentato la sua candidatura, scegliendo come vice Wu Hsin-ying, istruzione negli Stati Uniti e nel Regno Unito ed ex direttrice esecutiva della Shin Kong Life Foundation. Wu, figlia maggiore dell’ex presidente del colosso Hsin Kong Financial Holding, porta al ticket “prospettiva internazionale e la sua esperienza finanziaria” ma una molto scarna esperienza politica. Wu è entrata allo yuan legislativo (il parlamento taiwanese) nel novembre 2022 per occupare il seggio lasciato vacante dall’ex deputata Tsai Pi-ju, che si è dimessa dopo che è stato scoperto che aveva plagiato la sua tesi di laurea.
Wu viene percepita come una esponente dell’élite economica taiwanese e sembra la figura meno esperta delle 6 in corsa tra i tre ticket. La scelta indica la natura personalistica del progetto politico di Ko, fondato sulla sua figura ma ancora ampiamente privo di struttura. Per questo Ko aveva ceduto al pressing del Gmd con l’accordo del 15 novembre, consapevole di non avere alle spalle una macchina in grado di reggere l’urto della presidenza.
Ko si definisce ancora il principale candidato di opposizione, ma la querelle sull’accordo col Gmd ha esposto molte lacune nelle sue capacità politiche. Come già sottolineato, non è la prima volta che Ko si è improvvisamente “pentito” di una decisione presa in precedenza. Era già accaduto alle elezioni poi vinte a Taipei, quando aveva disatteso un precedente accordo col Dpp. Stavolta, le sue spiegazioni sulle “pressioni” di fronte alle trattative col Gmd hanno preoccupato diversi taiwanesi, che immaginano con angoscia un ipotetico incontro tra Ko e il Partito comunista cinese dove la posta in gioco sarebbe decisamente più alta di un possibile accordo nell’opposizione.
Secondo alcuni osservatori, peraltro, la debolezza negoziale di Ko potrebbe averlo privato di un accordo migliore col Gmd, ma quando il leader del Tpp se n’è accorto era troppo tardi perché il Gmd tornasse indietro e ridiscutesse i termini di individuazione del ticket. La grande scommessa di Ko sarà il tentativo di arrivare al secondo posto, anche se l’obiettivo appare dagli ultimi sondaggi complicato. Con un risultato forte alle legislative (anch’esso non più scontato) potrebbe comunque ambire a giocare un ruolo da kingmaker in parlamento.
Il ritiro di Gou Taiming (Foxconn)
Sempre venerdì 24, Gou ha annunciato il suo ritiro. Nonostante avesse raccolto il numero di firme necessario a depositare la candidatura, il fondatore del colosso dell’elettronica Foxconn (principale fornitore di iPhone per Apple) ha deciso di fare un passo indietro. Non ha fornito una motivazione precisa, limitandosi a dire che tale decisione è “per il futuro della Repubblica di Cina”, ma la sensazione è che abbia inciso in maniera molto forte l’annuncio di qualche settimana fa dell’avvio di un’indagine sulla Foxconn da parte delle autorità cinesi. Una notizia che ha sostanzialmente smantellato la retorica di Gou, che si presentava da indipendente con la pretesa di essere l’unico in grado di trattare sia con Pechino sia con Washington.
Ma il Good Timing promesso dallo slogan elettorale e i tanti investimenti coi cartelloni pubblicitari col suo volto che hanno tappezzato città e taxi sono stati sostanzialmente inutili. Gou ha provato a giocare quantomeno un ruolo da mediatore per un accordo nell’opposizione e c’era la possibilità di un ticket congiunto con Ko. Ma alla fine ha deciso di restare fuori dalla corsa, mossa che ha fatto tirare un sospiro di sollievo alla Foxconn che ora si aspetta sviluppo positivi in Cina continentale.
Curiosità: la popolare attrice Tammy Lai era stata indicata da tempo da Gou come sua vice e aveva dovuto anche rinunciare alla cittadinanza statunitense per potersi candidare. Tutto inutile per una delle protagoniste della fortunata serie Netflix Wave Makers, in cui interpretava una candidata (ritagliata in larga parte sulla presidente uscente Tsai) alla fine vittoriosa.
Primi scenari sul voto
Lai appare il favorito ma attenzione a dare il risultato per scontato. Mancano ancora 50 giorni (qui un primo outlook) e possono succedere molte cose. Secondo l’ultimo sondaggio di My Formosa, peraltro, Hou è segnalato in rimonta al 31,1%, praticamente in parità con Lai al 31,4%. Staccato Ko al 25,2%. Va ricordato che a Taiwan ci sono diversi sondaggi, ognuno con percentuali molto diverse a seconda del committente e del campione esaminato. La logica fa pensare che Lai sia nettamente favorito, ma la pratica potrebbe essere diversa, anche perché dopo 8 anni al potere c’è una certa stanchezza dell’elettorato nei confronti del Dpp.
Ovviamente, più regge la candidatura di Ko e più le chance di vittoria di Lai aumentano. Hou spera invece di attrarre progressivamente i voti di parte dell’elettorato di Ko, una sorta di “voto utile” per un cambio di governo. C’è chi ricorda che lo stesso fenomeno è accaduto lo scorso anno, quando per le elezioni a sindaco di Taipei molti voti del Tpp sono confluiti sul candidato del Gmd Chiang Wan-an quando ci si è accorti che aveva maggiori chance di vittoria. Non sarà comunque semplice vista la composizione dei ticket. Chiang è infatti una figura giovane, presentabile e più largamente apprezzata. Tanto che tra i sussurri di questi giorni (in realtà già dell’anno scorso) si individua proprio in lui un potenziale candidato per il 2028 in caso di sconfitta il prossimo 13 gennaio.
Manca però ancora tantissimo e in mezzo ci saranno 4 anni contraddistinti anche da nuovi equilibri in parlamento. Lo yuan legislativo ha 113 seggi ed è ritenuto piuttosto difficile che il Dpp raggiunge i 57 necessari alla maggioranza assoluta. Tra i funzionari del partito, come già raccontato la scorsa settimana, ci si prepara a perdere la maggioranza con un possibile impatto sulla capacità dell’ipotetica amministrazione Lai a far passare alcune riforme chiave. Uno scenario polarizzante e con ogni probabilità litigioso che potrebbe non dispiacere dalle parti di Pechino, dove si giudica negativamente anche l’operato dell’opposizione che non è riuscita a mettersi d’accordo.
Secondo le primissime proiezioni, è possibile prevedere un pareggio tra Dpp e Gmd, con una decina di seggi per il Tpp. Ancora presto, troppo presto, ma la prospettiva di un presidente senza maggioranza è concreta.
Biden-Xi e segnalazioni
Intanto, si continua a ragionare sul possibile impatto del summit di San Francisco tra Joe Biden e Xi Jinping. “I commenti fatti dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden e dal presidente cinese Xi Jinping su Taiwan durante il loro incontro della scorsa settimana evidenziano il fatto che il mantenimento di uno status quo pacifico attraverso lo Stretto di Taiwan è nell’interesse di tutti”, ha dichiarato il Consiglio per gli Affari Continentali.
Ma Janet Yellen sottolinea che le posizioni sono rimaste lontane su Taiwan e c’è chi si concentra, più che sulla frase che Xi avrebbe pronunciato sull’assenza di “piani militari per i prossimi anni” su un’altra sua frase in cui si segnalerebbe il fatto che la questione taiwanese “non può restare per sempre irrisolta”. In seguito al summit, da Pechino arrivano chiarimenti/avvertimenti al Dpp e a Washington stessa da parte di alcuni esperti citati dal South China Morning Post.
Foreign Policy scrive della “scomoda verità” delle popolazioni indigene.
Di Lorenzo Lamperti
Taiwan Files – La puntata precedente
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Taiwan Files – Le elezioni locali e l’impatto sulle presidenziali 2024
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.